B2B e B2C, che cosa cambia in termini di comunicazione digitale?

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Nei corsi sulla comunicazione digitale trovo in aula persone che lavorano in aziende di tipo completamente diverso. Spesso si dividono in fazioni contrapposte: da una parte i B2B e dall’altra i B2C. Ho deciso di scrivere questo articolo per fare un po’ di chiarezza su questa distinzione (come vedremo, a volte arbitraria) ma soprattutto per raccontare che cosa cambia in termini di comunicazione.

Qual è la differenza tra B2B e B2C?

La differenza tra aziende B2B e B2C sembra scontata, ma non lo è. Quando ne parlo durante i miei corsi sulla comunicazione digitale, faccio vedere questo semplice schema:

Che cosa rappresenta? Perché ci sono quattro sigle diverse? Vediamole una a una.

B2B. È il commercio interaziendale: aziende che vendono ad altre aziende o professionisti. Il caso tipico si vede nelle filiere, il fornitore di pneumatici per chi produce automobili. Ma anche io, nel mio piccolo, facendo corsi aziendali ed emettendo fatture, rientro nella categoria B2B. Tranne quando faccio consulenze personalizzate a chi non ha una partita IVA.

B2C. È il commercio propriamente detto, aziende che vendono agli utenti finali. È il gelataio, la concessionaria d’auto, il parrucchiere, ma anche Ikea. Tipicamente non fanno fatture ma scontrini (poi c’è qualcuno che non fa nemmeno gli scontrini, ma questa è un’altra storia).

C2B. Strana sigla, mai sentita vero? Eppure esiste anche il caso dei C2B, nell’era del Web. Il consumer-to-business, nel commercio elettronico, vede i consumatori usare siti di intermediazione per proporre alle aziende un prezzo (reverse auction) che queste sono libere di accettare e rifiutare. Un altro caso tipico è quello di blog o forum dove l’autore di un contenuto offre un link che conduce a un business online per spingere un prodotto (per esempio: le affiliazioni per vendere prodotti Amazon).

C2C. Il caso consumer-to-consumer si ha quando i consumatori scambiano beni tra loro, per esempio con il mercato dell’usato oppure, online, su eBay o Facebook Marketplace. Caso tipico di disintermediazione (parola odiata da agenzie di viaggio e tassisti, tra gli altri).

Il caso Coca Cola

Il problema è che molti business che ci sembrano B2C non lo sono: per esempio Coca Cola non vende al consumatore finale direttamente (sei mai andato a comprare una lattina ad Atlanta?), ma si appoggia a una rete di intermediari (grande distribuzione, ristoranti e bar): è quindi, in realtà, un B2B; qualcuno parla più correttamente di B2B2C (così ci si avvicina pericolosamente al mondo delle seghe mentali).
Online si trovano riferimenti del genere: “As a distributor to hospitals, universities, hotels and other businesses in addition to retailers, Coca-Cola Refreshments maintains a large business-to-business distribution network designed to keep customers stocked with its refreshment products. And it lets its business-to-business customers research products and place orders on a dedicated B2B e-commerce site, MyCoke.com” (“How Coca-Cola refreshes B2B customers with live chat”, www.digitalcommerce360.com).

Il caso Facebook

A volte in aula faccio questa domanda: che cos’è Facebook, un B2B o un B2C? La risposta solitamente è istintiva, come quella dei cani di Pavlov (senza offesa): “B2C!”. Gli iscritti al più popolare social network mondiale (ormai oltre 2,5 miliardi) sono convinti di essere i clienti di Zuckerberg. Invece sono la sua merce (se un servizio è gratis, il prodotto sei tu!), la sua “carne da macello”: persone che passano ore della propria giornata a produrre dati e informazioni che poi Facebook vende ai suoi veri clienti, vale a dire le aziende che mettono mano alla carta di credito e comprano le sponsorizzazioni. Quindi Facebook è solo un B2B!

Vuoi una dimostrazione? Facebook ha preparato una serie di contenuti per i suoi veri clienti, dove usa questo linguaggio: “Storie di successo: case study come questi ci ispirano e motivano. Scopri come aziende simili alla tua stanno crescendo grazie alle soluzioni di marketing di Facebook”. (fonte Facebook).

Diverso invece il caso di LinkedIn:

  • LinkedIn è un B2C quando vende gli abbonamenti Premium a chi cerca lavoro.
  • LinkedIn è un B2B quando vende le sponsorizzazioni alle aziende che fanno marketing o recruiting.

Che differenza c’è tra comunicazione B2B e B2C?

Le differenze sono sostanzialmente tre:

  1. Target
  2. Relazione
  3. Canali di comunicazione

Prima di tutto la comunicazione nei due ambiti è diversa perché diversi sono gli interlocutori, i cosiddetti target: nel caso del B2C si tratta dell’utente finale, che spesso con conosciamo direttamente (un conto è l’utente del bar o della gelateria, un altro l’acquirente di un pacchetto di patatine); nel caso del B2B è il buyer di un’azienda che conosciamo, visto che vendere un macchinario da 50.000 euro non è esattamente come vendere un Crodino. Tra l’altro sempre più spesso gli interlocutori, in una vendita B2B, sono più d’uno. Quel che cambia, quindi, è la relazione. Per questo si usano anche canali diversi: se parliamo di social l’utente B2C posso intercettarlo su Facebook e Instagram, quello B2B su LinkedIn.

Prendiamo, per esempio, il caso non di una azienda ma di una biblioteca. Dal punto di vista della comunicazione deve lavorare sui due piani, come se fosse in due mercati, B2B e B2C. La biblioteca ha due target diversi: quello del pubblico che frequenta le sue sale e i suoi eventi da una parte e quello degli interlocutori istituzionali (Comune, enti, associazioni) dall’altra. Per questo usa canali diversi: per esempio Facebook (ma anche strumenti analogici come i vecchi volantini) per il pubblico, una newsletter per gli stakeholder. Cambiano anche i contenuti e il tone di voce, ovviamente, come vedrai nel prossimo paragrafo.

Emozionale e razionale, pomata e prurito

Se cambia l’interlocutore cambia anche il tipo di comunicazione. La comunicazione B2C è tipicamente emozionale, quella B2B razionale. Del resto nel primo caso i destinatari sono interessati prevalentemente ai benefici dei prodotti, non alle caratteristiche: nel B2C, si dice, non si parla della pomata ma del prurito. Nel B2B invece abbiamo a che fare con persone preparate che necessitano di informazioni e dettagli tecnici. Chiaramente l’ambito B2B è ampio, quindi ci possono essere dei distinguo: per esempio nel mondo della grande distribuzione le comunicazioni tra industria e retail sono diversi rispetto a quelle tra industria e industria da una parte e retail e retail dall’altra.

Pensiamo a un’agenzia di comunicazione: scrive comunicati stampa destinati ai giornalisti. I giornalisti devono prendere quei comunicati, che in pratica rappresentano la voce dalle aziende, e tradurli in un linguaggio giusto per il pubblico finale, i loro lettori. Sono due mondi diversi, non si parlano perché non si capiscono. L’azienda (e l’agenzia) vuole comunicare il prodotto, il giornalista vuole la notizia perché sa che il pubblico non digerirebbe una comunicazione commerciale. Ricapitolando: l’azienda parla del prodotto, il pubblico cerca informazioni sul problema (o bisogno).
Capita anche a me: se faccio un evento di presentazione di un libro non viene nessuno, se faccio una serata di approfondimento sul tema del libro (problemi e soluzioni) ci sono più possibilità di coinvolgimento del pubblico. È un po’ quel che dice Simon Sinek nel suo “Stat with why”: tanti comunicano chi sono, qualcuno che cosa fanno, pochi il perché. Bisogna sempre partire dal perché!

Oltre la distinzione tra B2B e B2C: H2H

Quello che emerge dalle ricerche nel campo della comunicazione indica che, attualmente, l’unità primaria della connettività sia l’individuo, non il nucleo familiare, il gruppo di parenti o di lavoro. Come afferma Giuseppe Riva nel suo libro sui social network: “Le persone si connettono come individui ad altri individui, in network person-to-person. Agiscono attraverso set multipli di legami la cui importanza e la cui frequenza di contatto varia di giorno in giorno. Questo orientamento comunicativo posiziona le persone al centro di network personali che, in forma aggregata, possono garantire loro supporto, socialità, informazione e senso di appartenenza”. Quindi, al diavolo B2B e B2C, quello che conta è la comunicazione H2H: da umano a umano. Per esempio in un social network come LinkedIn anche se cerchi un’azienda trovi una persona che la rappresenta. La distinzione tra B2B e B2C, quindi, in qualche modo cade.

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