Brand journalism: la mia lezione all’Università di Pavia (+ slide)

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Lo scorso lunedì 5 marzo 2018 sono stato invitato da Marco Camisani Calzolari (volto noto di Uno Mattina e Striscia la notizia, ma anche docente universitario) a tenere una lecture durante il suo corso di Business digital communication alla Facoltà di Scienze Politiche di Pavia.

Qui di seguito metto a disposizione le slide che ho usato durante la lezione:

brandjournalism_gianluigi_bonanomi_scienze_politiche_pavia

Per approfondire i temi del brand journalism puoi seguire i miei corsi presso Primopiano di Milano.

I Premi di Studio e di Laurea 2017 della BCC Milano di Carugate

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Il 17 dicembre 2017 sono stato invitato dalla BCC Milano, sede di Carugate, per l’evento “I Premi di Studio e di Laurea 2017”: la banca ha premiato i migliori studenti dell’anno scolastico 2017/18, i laureati e una start-up che ha finanziato.
Ho parlato di uso consapevole dei social network davanti a 500 persone, tra genitori e figli. Queste le foto dell’evento:

Qui invece trovate le slide che ho usato durante la presentazione:

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Se vuoi organizzare una conferenza o uno speech per la tua azienda, scrivimi!

 

 

 

 

 

 

Qui

Motori di ricerca per minori

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Il computer di casa è usato da tutti, anche dai miei figli minorenni? Come evitare che, accidentalmente (o meno…), nei risultati di Google compaiano immagini sconvenienti? Detto che esistono delle strumentazioni hardware, come il nuovo Routerhino, è anche possibile chiedere a Google di adeguarsi all’uso dei minori. SafeSearch è uno strumento che permette di escludere le pagine Web contenenti immagini porno. In base alle impostazioni predefinite, Google non applica alcun filtro. Per attivarlo, vai nelle impostazioni delle preferenze delle ricerche, raggiungibile direttamente da www.google.com/preferences, quindi concentrati sulla prima sezione: “Filtri SafeSearch”.

In alternativa si possono usare dei motori di ricerca studiati ad hoc per minori, che filtrano i contenuti proibiti. Ce ne sono diversi, questi i migliori. KidSearch cerca in una directory di oltre 2.000 siti in tre lingue (italiano compreso). BAOL (BAmbini OnLine, www.baol.it), con evidente citazione benniana[1], si presenta come il mago del Web, è dedicato ai bambini e ragazzi dai 9 ai 16 anni e funziona come una directory di siti consigliati. Dade (www.dade.it) non è un motore, ma si definisce un “motorino” di ricerca, anche se in realtà è una sorta di portale con Web mail e altri servizi. Google stessa ha pensato ai bambini, mettendo a punto www.safesearchkids.com.

Questo brano è tratto dal mio libro “Il guru di Google”, che trovi su tutti gli store online, compreso Amazon:

[1] Stefano Benni, Baol. Una tranquilla notte di regime, Feltrinelli

Formazione di successo: i due elementi chiave

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Faccio moltissima formazione in azienda e, come si suol dire, insegnare è prima di tutto imparare: anzi, come diceva Joubert, è imparare due volte. Ma mi capita raramente che una discente, per mettere in pratica quanto discusso in aula, produca un contenuto che poi studio  a mia volta e che sia fonte di ispirazione per i corsi successivi. Mi è capitato oggi, quando sono stato taggato nell’articolo Pulse (su LinkedIn) scritto da Alice Goddi, incontrata durante un corso di formazione di tre giorni che ho tenuto presso la sua azienda, Tecniche Nuove.

Alice scrive che:

Gli elementi determinanti l’efficacia e il successo di un corso di formazione sono due: contenuti e docenti.

Il contenuto: solo un contenuto a valore aggiunto arricchisce la cultura professionale dei discenti e consente di mantenere i livelli di attenzione sufficienti ad apprendere nuovi concetti anche in breve tempo. È fondamentale tenere sempre presente l’obiettivo di fornire “youtility” al proprio target.

Il docente: deve essere caratterizzato da competenza e professionalità, ma anche da significative doti di public speaking, per coinvolgere e mantenere una relazione costante, bidirezionale e riadattabile (nel senso di “adjustable”) con i discenti.

Ringrazio poi Alice per i complimenti che fa a me e al partner PrimoPiano: questo il link all’articolo originale su LinkedIn.

Per organizzare un corso anche nella tua azienda, scrivimi.

Dipendenza dalla tecnologia: che cosa sono “FOMO” e “Nomofobia”?

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Esistono due sindromi connesse all’uso eccessivo della tecnologia e alla dipendenza da smartphone. La prima si chiama “No.Mo.Fobia”: sta per “no mobile fobia” (la paura di rimanere senza connessione alla Rete da mobile) e la seconda è nota come FOMO (acronimo che sta per “fear of missing out”, la paura di perdersi qualcosa).

La No.Mo.Fobia è quindi traducibile come “timore ossessivo di non essere raggiungibili al cellulare”: colpisce per lo più giovani tra i 18 e 25 anni, con bassa autostima e problemi relazionali. Chi ne è colpito può arrivare a sperimentare attacchi di panico con vertigini, tremore, mancanza di respiro e tachicardia in caso di assenza di Rete mobile o di cellulare fuori uso. La No.Mo.Fobia è connessa all’uso eccessivo dei social network. Ezio Benelli, presidente del congresso e dell’International foundation Erich Fromm, spiega:

“L’abuso dei social network può portare all’isolamento –  – l’utilizzo smodato e improprio del cellulare può provocare non solo divari enormi tra persone, ma anche a chiudersi in se stesse e a alimentare la paura del rifiuto” (fonte).

Uno studio dell’ente di ricerca britannico Yougov mostra che oltre la metà degli utenti di telefonia mobile (53%) tende a manifestare stati d’ansia quando rimane a corto di batteria, di credito o senza copertura di Rete. In generale l’abuso dello smartphone è un fenomeno diffusissimo: uno studio curato dal centro americano Kleiner Perkins Caufield & Byers’s rivela che, in media, si controlla il proprio telefono almeno 150 volte al giorno (fonte).

E i nostri ragazzi? Secondo il Report annuale Osservatorio Nazionale Adolescenza 2017 i numeri sono veramente allarmanti:

8 adolescenti su 10 hanno questa paura e il 50% riferisce che il solo pensiero che ciò possa accadere lo fa star male e gli fa sperimentare uno stato ansioso. Nei più piccoli il problema è un po’ più contenuto: parliamo di un 60%, dagli 11 ai 13 anni, che presenta la paura di rimanere senza smartphone e di un 32% che si allarma solo all’idea.

Collegata alla nomofobia c’è anche la FOMO. Tra parentesi l’acronimo è entrato nell’Oxford Dictionary nel 2013. Secondo Annamaria Testa:

“fa perdere il senso di sé. Ed è strettamente connesso con un accesso compulsivo ai social media: si va su Facebook appena svegli. Durante i pasti. E un’ultima volta appena prima di addormentarsi. L’unico modo per alleviare lo sconforto generato dal confronto sociale è presentare una versione della propria vita accuratamente editata. Ma c’è un risultato secondario: qualcun altro starà male sentendosi inferiore” (fonte).

Che cosa sappiamo della FOMO? Andrew Przybylski dell’università di Oxford – il primo a dare una definizione puntuale del fenomeno – evidenzia che i livelli di FOMO sono più alti nelle persone giovani e in particolare negli individui di sesso maschile. Bassi livelli di considerazione della propria vita coincidono con alti livelli di FOMO. La FOMO è sempre esistita, ma ora è aggravata da un rapporto ambiguo con i social media, che possono portare a vere crisi di astinenza.

Questa sindrome, che deriva quindi da bassa autostima, va combattuta ricreando un rapporto sano ed equilibrato con la tecnologia mobile, e con sé stessi. Circa la metà degli adolescenti ha la sensazione che i loro pari abbiano esperienze più gratificanti. Evidentemente non è così.

A che età si può avere Instagram?

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A che età si può avere Instagram? La risposta giusta è 13 anni, il problema è che non lo sa quasi nessuno. Durante i miei corsi di uso consapevole della Rete e dei social che faccio per genitori e figli, nelle scuole e nelle biblioteche, a un certo punto mostro una slide con il faccione di Gerry Scotti. Lo chiamo il “momento quizzone”.

Sembra proprio una scena di “Chi vuole essere milionario”, con la fatidica domanda che tutti i genitori – chi più, chi meno – si stanno facendo: a che età si possono usare i social network e i sistemi di messaggistica?
Le risposte possibili sono quattro:

A – 18 anni

B – 12 anni

C – 13 anni

D – nessuna età

Chiedo di alzare la mano, moltissimi indicano che occorre essere maggiorenne, qualcuno azzarda 12 o 13 senza convinzione, pochi (di solito i ragazzi) auspicano che non ci sia alcuna età minima. La risposta giusta, come anticipato, è 13 anni (vedi Facebook), anche se a livello di UE si vorrebbe portare l’età minima a 16 anni; in Italia, dopo l’entrata in vigore del GDPR, si è impostata un’età minima di 14 anni come specifica il Garante per la privacy:

[…] il minore che ha compiuto i quattordici anni può esprimere il consenso al trattamento dei propri dati personali in relazione all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione. Con riguardo a tali servizi, il trattamento dei dati personali del minore di età inferiore a quattordici anni, fondato sull’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), del Regolamento, è lecito a condizione che sia prestato da chi esercita la responsabilità genitoriale.

Inoltre:

In relazione all’offerta diretta ai minori dei servizi di cui al comma 1, il titolare del trattamento redige con linguaggio particolarmente chiaro e semplice, conciso ed esaustivo, facilmente accessibile e comprensibile dal minore, al fine di rendere significativo il consenso prestato da quest’ultimo, le informazioni e le comunicazioni relative al trattamento che lo riguardi.

In parole povere: tra i 13 e i 14 anni è necessaria una esplicita autorizzazione da parte dei genitori.

Perché proprio 13 anni?

Perché 13 anni e non 14, l’età minima per guidare un motorino, o 16 anni, l’età del consenso in Italia? Si tratta di una regola contrattuale proposta da multinazionali americane, alle quali è stata imposta dalla legge federale Usa: il Children’s Online Privacy Protection Act (nome in codice COPPA). Questa legge, come si spiega sul sito Protezionedatipersonali.it, “prescrive che nessuna persona giuridica (tranne gli enti pubblici) può raccogliere dati relativi a minori di 13 anni. Il COPPA prevede, inoltre, il preavviso di trattamento ai genitori, il consenso degli stessi, dimostrabile a richiesta, l’obbligo di adottare misure di sicurezza e il divieto di sollecitare dati non necessari al trattamento”.
Quindi, ricapitolando, 13 anni non è un’età legale riconosciuta dal nostro ordinamento, ma chi viola questa regola commette comunque un illecito: il dodicenne che si iscrive ugualmente viola un contratto. Questo vale per tutti i social (su Facebook c’è la possibilità di segnalare chi sgarra), Instagram compreso (qui l’Informativa, vedi foto sotto), per Gmail e tutto il mondo Google (ecco i requisiti in tutto il mondo); solo Twitter non fa cennno a un’età minima. Per WhatsApp, fino a qualche tempo fa l’età minima era 13 anni, ora è stata adeguata alla direttiva europea: vedi mio articolo “WhatsApp: è cambiata l’età minima per usarlo.

Ma torniamo a Instagram. Dopo quattro anni di tour nelle scuole di mezza Italia posso dire che la stragrande maggioranza degli undicenni e dodicenni ha lo smartphone e moltissimi sono su Instagram: la maggior parte dei ragazzi riceve il telefonino dai dieci anni (vedi statistiche) ma sempre più è il regalo della prima comunione (8 anni). Tra i ragazzi della fascia 10-15 anni l’uso di Instagram è passato dal 5% del 2014 al 55% del 2015, fino al 61% del 2016 (fonte: indagine nei Comuni della Brianza).
Instagram, molto amato da Millennials e generazione X/Z perché molto “visuale”, con poco testo e sempre più pieno di video, oggi vanta 19 milioni di italiani attivi. Secondo le stime di Vincenzo Cosenza, +36% in un anno. Come vedi dal grafico qui sotto, il 10% degli utenti è minorenne, ma è plausibile pensare che in quel milione e mezzo di ragazzi ci siano anche gli under 13 che falsificano l’età al momento dell’iscrizione.

Il videocorso gratuito sulle pillole di igiene digitale in famiglia

Ho messo a punto un videocorso gratuito sull’igiene digitale in famiglia: 10 videopillole da ricevere quotidianamente in posta elettronica. Per iscriverti fai clic su questo link: VIDEOCORSO IGIENE DIGITALE IN FAMIGLIA. Oppure fai clic sull’immagine qui sotto:

Amnesia digitale: hai fatto il test di Kaspersky Lab?

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– sai che cos’è l’amnesia digitale? 
– certo
– cos’è?
– è che non…
– non… cosa?
– non mi ricordo più… scusa, ma me l’ero segnato sullo smartphone
– giusto!

La “digital amnesia”, in italiano amnesia digitale, è una delle nuove malattie professionali (e non). È definita come “l’esperienza di dimenticare le informazioni affidate a un dispositivo digitale”.
Una ricerca di Kaspersky Lab ha analizzato la presenza e l’impatto dell’amnesia digitale nell’ambiente di lavoro. I risultati sono interessanti: il 44% dei professionisti ha ammesso che prendere appunti su un dispositivo digitale li porta a perdere importanti informazioni di contesto, emozionali o comportamentali: prendere appunti digitali vuol dire sacrificare l’ascolto attivo. Il 46% degli intervistati crede sia più importante prendere appunti accurati che fare attenzione alle sfumature della conversazione (anche se ormai tutti sanno che nella comunicazione umana la parte preponderante riguarda non verbale e paraverbale). Il 67% ha aggiunto che gli appunti digitali possono essere archiviati e condivisi: quindi stanno in un posto più sicuro della propria memoria.


Kaspersky Lab non si è limitato a questo. Ha anche messo a punto un test per valutare il proprio grado di amnesia digitale. Nel test si trovano domande di questo genere.

– Senza andare a controllare sapresti ricordare il numero di telefono di parenti, amici, poso di lavoro, dottore o nessuno?

– Ricordi il numero di telefono di quando avevi dieci anni?

– Quando cerchi la risposta a un quesito, qual è la prima cosa che fai? Cercare di ricordarla, chiedere a qualcuno, cercarla in un libro, cercarla online?

– Una volta trovata un’informazione che cerchivi, che cosa te ne fai? La memorizzi, la scrivi da qualche parte, la usi e poi la dimentichi o altro?

– Quanti dei seguenti device usi per collegarti alla Rete? Smartphone, tablet, portatile o PC fisso.

– Quale sensazione provi quando perdi delle informazioni digitali? Panico, tristezza, calma o altro?

– Memorizzi o annoti le informazioni che ritieni importanti anche se sono salvate su un device oppure online?

– Sei d’accordo con le seguenti affermazioni?

– Uso Internet come estensione online della mia memoria.

–  Non mi serve ricordare quello che posso trovare online, solo sapere dove.

– Il mio smartphone è la mia memoria, tutto quello che mi serve ricordare è lì.

– Molte persone ora hanno diversi numeri, indirizzi mail ecc. che è impossibile ricordarli tutti.

– Di solito se mi serve velocemente un’informazione non ho tempo di cercarla sui libri o in biblioteca.

Il questionario interattivo si trova online (in inglese) a questo indirizzo. I risultati arrivano in tempo reale: nel mio caso, per esempio, ho scoperto di non essere un caso grave.

Routerhino: 7 cose da sapere sul router che protegge i minori

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Lo scorso 8 novembre 2017 a Milano è stato presentato un innovativo router Wi-Fi per proteggere le famiglie dai contenuti online non adatti ai bambini, concentrando l’azione di filtraggio sulla rete domestica invece che sui singoli dispositivi. Per conoscere Routerhino, proposto dalla start-up tecnologica CFBOX Srl di Desenzano del Garda, ecco sette cose da sapere.

  1. Il dispositivo è stato realizzato per proteggere bambini di età compresa tra i 2 e i 12 anni.
  2. Il sistema protegge ogni dispositivo e si auto-aggiorna quotidianamente per filtrare contenuti inadatti o indesiderati.
  3. Routerinho è facilissimo da installare: basta collegare due cavi, alimentazione e rete (si collega al modem di casa). Non richiede alcun software aggiuntivo: bastano cinque minuti ed è operativo!
  4. In casa ci sarà una seconda Wi-Fi dedicata, e parallela a quella esistente ma che non rallenta la navigazione.
  5. I filtri possono essere personalizzati per categorie (permettono anche ricerche sicure su Google, Bing e YouTube) e 80 sottocategorie.
  6. Si possono possono gestire gli orari, impostando quelli di studio e quelli del sonno.
  7. Il progetto è stato realizzato con il contributo di Microsoft, che ha contribuito con la sua piattaforma cloud Azure. Proprio perché si parla di un progetto in cloud, il genitore può intervenire in qualsiasi momento e in modo autonomo, anche da remoto.

Per ulteriori informazioni vistate il sito Web di Routerhino.

Lo sconto di 5 euro per te

Routerhino vuole diffondere la protezione delle famiglie e per farlo dà a tutti la possibilità di avere il prodotto con uno sconto.

Per usufruire di questo sconto occorre utilizzare questo codice: PROX922362.

Il codice va inserito nel carrello del sito www.routerhino.com in fase di acquisto.

Navigazione familiare: come creare un albero genialogico con Geni.com

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Navigazione familiare: come creare un albero genealogico con Geni.com

Geni è un social network davvero particolare, ma soprattutto risulta perfetto per un uso congiunto di genitori e figli. Usato da famiglie, genealogici e storici, permette di realizzare l’albero genealogico della propria famiglia. Si possono invitare a collaborare altri parenti (per questo è considerato un social) per aiutarvi a inserire le parti mancanti, si possono cercare i propri antenati negli altri milioni di profili già pronti, così come si possono conoscere nuovi parenti o caricare e trovare documenti relativi alla propria famiglia.

Cenni storici e curiosità

Attivo dal lontano 2007, Geni (ora di proprietà di un gruppo israeliano) nacque con il proposito, molto ambizioso, si creare un unico enorme albero genealogico che includesse tutte le persone del mondo. Per ora gli iscritti sono quasi cento milioni.

Eventuale Costo

Gratis nella versione base. Quella a pagamento, detta Pro e con molte caratteristiche aggiuntive e gestione documentale illimitata, costa 119,40 dollari all’anno.

Installazione SÌ/NO

No

Lingua interfaccia

Italiano

Categoria di appartenenza

Social network

Registrazione richiesta

Come registrarsi

Basta compilare un piccolo form con nome, cognome ed email.

Come usarlo

Una volta registrati al sito Geni.com potete iniziare a costruire il vostro alberto genealogico andando nella sezione Albero. Per ogni nodo del grafico che aggiungete dovete compilare una scheda anagrafica, con nome, cognome, sesso, luogo e data di nascita, residenza e occupazione; si può anche indicare se è ancora vivo. Con un clic su “Aggiungi un altro familiare…” si ingrandisce l’albero.

Una volta creato l’albero genealogico, ecco come condividerlo. Basta andare in Famiglia/Condividi il tuo albero, quindi scegliere come: si può ottenere il link diretto all’albero (sotto forma di indirizzo Web) oppure ottenere una versione ridotta dell’albero da pubblicare sui social network o nei propri siti o blog. Gli addetti ai lavori possono anche esportare l’elaborato in formato GEDCOM, file standard per informazioni genealogiche.

Altra sezione interessante di geni è quella relativa ai Cognomi, che si trova nel menu Ricerca. Le pagine dei cognomi, cui chiunque possono contribuire, consentono agli utenti di individuare rapidamente profili, documenti, progetti o discussioni riferite a quel nome.

Forse non tutti sanno che

Geni vende anche test del DNA: li trovate alla pagina www.geni.com/dna-tests.

Scheda-attività per genitori e figli

Parenti serpenti: una romantica attività da fare con i nonni

Livello di difficoltà: medio

Tempo previsto: a vostra scelta

Chissà perché succede sempre ai matrimoni e ai funerali: si scoprono parentele inaspettate, una zia riesumata da qualche angolo della terra e salutata con grande affetto dal più saggio della famiglia o uno zio americano sconosciuto, ma quasi sicuramente non miliardario. Seguono quasi certamente lunghe narrazioni della nonna che spiega, con dovizie di particolari e dettagli fondamentali, la biografia del fratello e dalla sorella di loro, del cognato del genero sposatosi due volte.
Parentele complicate ma affascinanti germogliate su persone che diventano personaggi attraverso le parole dei nostri genitori. Per chi subisce il fascino della storia, del passato e del ricordo il mistero che ci ha preceduto può diventare terribilmente accattivante, andando a fondo ad una delle domande più ancestrali per l’uomo: da dove vengo?
Può farsi strada l’eroica idea di salvare queste storie familiari, magari umili e non sedimentate in alcun libro di storia, ma sicuramente vere, intense e determinanti; può sorgere in noi l’esigenza di salvare queste vicende che ci appartengono e che rischiano di andare perdute per sempre.
Vi suggeriamo un’attività da proporre a vostro figlio e ai vostri genitori insieme: ricostruire la storia famigliare, viaggiando tra i ricordi e i documenti con il pretesto di completare l’albero di Geni.
Poi si potrebbero arricchire le descrizioni dei parenti con qualche piccola narrazione che li riguarda arrivando a creare un album dei ricordi di famiglia.
Geni offrirà la base per costruire un albero genealogico chiaro in un discorso organizzato; le narrazioni potrebbero essere trascritte a parte ma anche registrate in podcast, mentre i meno anziani intervistano e dialogano con i meno giovani del gruppo.

Il libro

Per acquistare una copia del libro Navigazione familiare (Ledizioni), fai clic qui di seguito:

Il corso

Se vuoi informazioni sui miei corsi sulla navigazione familiare, fai clic qui.

Galareteo: dieci regole di bon ton in Rete

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La prima volta che ho sentito parlare di netiquette, crasi delle parole inglesi e francesi “net” ed “etiquette”, avevo appena comprato il mio primo modem a 56K e, per dire, pagavo un canone per la posta elettronica del provider del mio Paese. Erano gli anni Novanta. Oltre a “netiquette”, tra l’altro, girava anche una sorta di traduzione italiana di quel gioco di parole, vale a dire “Galareteo”: il galateo della Rete. Le regole di comportamento in Rete sono valide oggi più che mai, dato che ormai gli strumenti di comunicazione sono utilizzati dalla gran parte della popolazione, anche da chi non ha molta dimestichezza con LOL e ROTFL, blastare e niubbo (per un glossario di questi termini, fai clic qui).
In questo post ho raccolto dieci regole di buon vicinato digitale, un decalogo di bon ton online.

1. NON URLARE! Scrivere in maiuscolo sul Web equivale a urlare ma soprattutto un uso smodato del caps lock, “uniformando la grandezza delle lettere, ostacolerebbe la lettura, specie in presenza di lunghi blocchi di testo” (vedi articolo “QUESTO ARTICOLO STA URLANDO” su Rivista Studio). Nel 2009 una donna neozelandese fu licenziata dalla sua azienda poiché troppo propensa all’invio massivo di mail “aggressive” scritte in caps lock, che il giudice di una corte dell’emisfero australe reputò colpevoli della diffusione di discordia sul suo luogo di lavoro.
C’è chi si batte per il caps off.

2. Scrivere correttamente. In Rete siamo quello che scriviamo e, al di là della paura dei cosiddetti “grammar nazi” (i giustizieri della grammatica), infarcire i nostri post o messaggi di “un’altro”, “pò” e “qual’è” non contribuisce alla propria popolarità online. Ecco un elenco degli strafalcioni più diffusi in Rete secondo TPI News.

3. La comunicazione mediata dal computer, come spiegavo nella mia tesi di quasi venti anni fa, si basa quasi esclusivamente sulla parte verbale, escludendo le altrettanto importanti comunicazioni non verbali (gesti ed espressioni) e paraverbali (il tono della voce). Per questo servono espedienti per evitare fraintendimenti, per esempio in caso di frasi ironiche, come un tempo le emoticon (puntini, trattini e altri simboli che formavano le faccine) e ora le emoji.

4. Non pubblicare informazioni personali e dati sensibili di altri utenti. Oltre a essere una questione di privacy, si tratta anche del tradimento della fiducia di quell’utente. Lo stesso vale per messaggi privati che mai, per alcun motivo, possono essere resi pubblici senza il consenso del mittente.

5. Non spammare. Si tratta di un neologismo che deriva dalla parola Spam, marchio di carne in scatola che anni fa fu protagonista di questo sketch dei Monthy Python (sotto un fotogramma). Da allora la parola indica la pubblicità non voluta online, prima in mail o ora ovunque (per esempio nei commenti di una pagina Facebook o in YouTube). Nel mondo delle chat spammare vuole dire “inviare messaggi inutili, privi di contenuto o fuori tema, creando disturbo” (Garzanti).

6. Chiedere il permesso prima di taggare. Bisogna necessariamente avere il consenso del protagonista di una foto prima di pubblicarla (nel caso di minori il consenso deve essere quello dei genitori) ma lo stesso vale anche per l’aggiunta di un tag, in pratica associando un volto a un nome e a un profilo social.

7. Usare un linguaggio appropriato. Molte persone pensano di stare sui social come se fossero al bar, con conseguenze anche devastanti. Oltre a evitare parolacce o peggio, sarebbe il caso di evitare anche insulti per questioni legali: si rischiano denunce per ingiuria (per il codice civile “lo commette chi offende l’onore o il decoro di una persona presente”) o per diffamazione (“lo commette chi offende l’altrui reputazione in assenza della persona offesa e sempre che siano presenti almeno due persone”). Ci sarebbe anche la calunnia: “Incolpare di un reato un innocente”.

8. No alle discriminazioni. Sempre i famosi leoni da tastiera si stanno lasciando andare a rigurgiti di razzismo e discriminazione davvero fastidiosi. Per esempio, a seguito di questo meme evidentemente ironico, tantissimi utenti hanno risposto con post razzisti.

9. Rispettare il copyright. Se una foto trovata online non indica alcuna nota sul diritto d’autore, NON si può prendere e ripubblicare. Piuttosto occorre cercare foto gratis (si può usare, tra gli altri, il motore di ricerca LibreStock) o distribuite in Creative Commons (dove si trovano anche video, musica e altro distribuiti con la filosofia del copyleft).

10. Leggere prima di commentare. Nell’articolo “You’re not going to read this”, The Verge dimostrava che non c’è correlazione tra condivisioni e lettura di un articolo.

Il giornale italiano Udine Today ha fatto di più, creando un articolo con un evidente errore nel titolo (La prima squola di social network e friulana) e un testo che spiegava l’esperimento: (“Questo non è un articolo. Abbiamo scritto un titolo generico, a caso, in cui abbiamo inserito – volutamente – due errori ortografici da penna rossa. La nostra iniziativa vuole essere solamente un’indagine, quasi un gioco, per scoprire quante persone commentano di getto – sui social – gli articoli senza accedere al contenuto. Spesso sono presi dalla rabbia, dalla foga, dalla noia, da manie di superiorità o da altre mille motivazioni e trovano la necessità di commentare a priori, fermandosi solamente alle prime informazioni che trovano”). Il risultato? Sotto la condivisione sulla pagina Facebook sono arrivati gli insulti di chi si è fermato solo al titolo, senza approfondire.

L’intervista sul galareteo su Rete 55

Il 31 luglio 2020 nella trasmissione “Vivere Bene” su Rete 55 è andato in onda questo speciale su “Galareteo: le regole di comportamento in Rete”:

Per organizzare un workshop sulla netiquette nella tua scuola, scrivimi.