Che cos’è la iGeneration?

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Qualche tempo fa si è molto parlato del libro “Iperconnessi” della psicologa americana Jean Twenge. Ho aspettato un po’ a leggerlo, per gustarmelo e analizzarlo senza condizionamenti. Ora sono pronto per scriverti che cosa mi ha colpito del libro e quali considerazioni possono essere utili per noi genitori, al netto del fatto che il testo, pieno zeppo di interviste e dati, è totalmente USA-centrico.

Che cos’è la iGeneration?

Ci hanno insegnato che le generazioni sono queste:

  • Baby Boomers: nati tra il 1946 e il 1964
  • Generazione X: nati dalla seconda metà degli anni 60 e i primi anni 80
  • La Generazione Y/Millenial: nati tra il 1980 e il 2000
  • Generazione Z: nati dopo il 2000

E allora che cos’è la iGen, termine inventato dall’autrice in un altro libro del 2006? Secondo l’autrice, che rivoluziona la classificazione appena vista, sono i nati dal 1995 in poi, ragazzi che non hanno esperienza di un mondo senza Internet e che controllano lo smartphone almeno 80 volte al giorno. Non sono mai stati così bene fisicamente, ma anche qualche problema psicologico. Sono quasi un quarto della popolazione americana.

Le otto tendenze della iGeneration

L’autrice, dopo tre anni di interviste e di studio, ha tracciato queste otto tendenze della iGen (tutte con la “i” davanti, come gli iPhone e gli iPod):

  1. immaturità
  2. iperconnessione
  3. incorporeità
  4. instabilità
  5. isolamento
  6. incertezza
  7. indefiinitezza
  8. inclusivita

In particolare gli iGen tendono a prolungare l’infanzia oltre le soglie dell’adolescenza: prendono più tardi la patente, bevono meno alcool (hanno paura delle conseguenze del binge drinking, soprattutto in ottica social) e fano meno sesso; voglio ancora essere protetti dai genitori, hanno una grande avversione ai rischi. Hanno meno relazioni con i pari e usano tantissimo il cellulare: questo porta fragilità emotiva e potenziale infelicità e depressione.

Un TED dell’autrice

L’autrice Twenge ha tenuto uno speech a un TED dal titolo  “iGen: The Smartphone Generation”, che puoi vedere qui:

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La videorecensione di “La guida calcistica di LinkedIn” su Business Community

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Business Community ha recensito La guida calcistica di LinkedIn. Gigi Beltrame ha registrato anche un video per raccontare il mio libro:

Perché i social network provocano dipendenza?

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Sempre più persone si lamentano del fatto che non riescono a staccarsi dai social network, tant’è che si parla sempre più spesso di dipendenza (o di sindromi come la FOMO). Ho scoperto, leggendo un gran bel libro intitolato “Catturare i clienti (hooked)” che è perfettamente normale: questi servizi, e in particolare le loro interfacce, sono studiate appositamente per influenzare i comportamenti e le abitudini degli utenti, facendo leva sulle loro emozioni. In questo post racconto come ci riescono.

Come fanno i social ad “agganciare” gli utenti?

Nel libro di Nir Eyal, esperto di psicologia del consumatore, si svela qual è la formula magica per agganciare (da “hook”, gancio) gli utenti:

TRIGGER + AZIONE + RICOMPENSA VARIABILE + INVESTIMENTO

Il trigger, o innesco, è l’elemento che aziona il comportamento. I trigger possono essere esterni o interni. Di solito si usano prima i trigger esterni, per esempio un messaggio di posta elettronica o l’icona dell’app sul telefono. Una serie di clic porta a ganci successivi, e gli utenti cominciano a formare associazioni con trigger interni, che si innestano su comportamenti ed emozioni già esistenti. Le persone, per esempio, associano Facebook al bisogno di connessione sociale.

Il trigger porta a un’azione, un comportamento che l’utente fa perché si aspetta una ricompensa. Restando nell’ambito dei social network, il semplice clic su un’immagine interessante che appare nel newsfeed di Facebook porta, per esempio, su Pinterest.

L’azione, come anticipato, deve procurare a una ricompensa. Che però, in questo modello del gancio, deve essere variabile. L’utente non sa esattamente che cosa aspettarsi (contenuti interessanti o noiosi, un selfie dell’amata o i soliti gattini?) e questa imprevedibilità acuisce il desiderio.

Per spiegare il concetto Eyal fa un esempio curioso. Ogni volta che apriamo il frigo si accende una luce: non è per niente eccitante. E se ogni volta che aprissimo il frigo apparisse una leccornia diversa?

Scientificamente parlando, le ricompense variabili sono strumenti perché i livelli di dopamina hanno un picco quando il cervello si aspetta una ricompensa. Basta l’attesa. Ecco perché slot machine e lotterie sono micidiali.

La quarta fase del modello del gancio è quello dell’investimento. L’utente deve compiere un po’ di lavoro: se spende un po’ di tempo ed energie nel servizio online, per esempio in un social (con contenuti, like, follow), sarà più probabile che voglia ripercorrere nuovamente il ciclo del gancio in futuro. Questo si chiama Effetto IKEA.

Il caso Instagram

Instagram è un esempio perfetto di come il modello del gancio funziona. La componente fondamentale del successo di Instagram è quella di far tornare ogni giorno milioni di utenti che bramano qualcosa. Che cosa? Partiamo dall’inizio del ciclo.

I trigger di Instagram sono esterni ed interni: un esempio di quello interno è un consiglio di un amico oppure vedere la app tra le più scaricare dell’App Store, mentre quello interno è l’illusione che solo scattando una foto e postandola sul social si sta vivendo davvero quel momento, e non si perderà il ricordo. Altri trigger sono le notifiche delle attività degli amici. Più si usa l’app più si creano trigger interni.
La ricompensa è variabile: ogni volta che ci si collega non si sa che immagini si troveranno e ogni volta che si posta non si sa quanti like si riceveranno. L’investimento? Seguire gli altri e, soprattutto, continuare a condividere.

Il ciclo del gancio nel mio podcast

Ascolta qui la puntata sul tema da “Genitorialità e tecnologia”:

Ascolta “#49 Perché i social network provocano dipendenza?” su Spreaker.

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Come convincere gli altri con i feedback positivi

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Come convincere gli altri, come influenzarne il comportamento? Secondo la neuroscienziata Tali Sharot, autrice dell’interessante “La scienza della persuasione” (Feltrinelli), una delle possibili risposte è questa: con i feedback positivi.

Convincere i medici a lavarsi le mani con i feedback positivi

La media delle persone che rispettano l’igiene delle mani nei centri medici (ma lo stesso vale nel mondo della ristorazione) viaggia intorno al 38%. Agghiacciante!
Come convincere i medici a lavarsi le mani? Non basta la sorveglianza, non basta nemmeno ricordare i danni da mancata igiene. Sharot racconta invece di un esperimento della New York State University del 2008. In un ospedale fu messa una lavagna luminosa: ogni volta che qualcuno si lavava le mani, si dava un’immediata segnalazione dell’avanzare dell’esperimento, un feedback positivo. Il rispetto dell’igiene è passato dal 10% al 90%. Perché il trucco della lavagna luminosa ha funzionato?

Dolore e piacere: bastone e carota

Bentham scrisse:

La natura ha posto il genere umano sotto il dominio di due supremi padroni: il dolore e il piacere. Spetta ad essi soltanto indicare quel che dovremmo fare, come anche determinare quel che faremo.

Il piacere – un’emozione positiva – si può ottenere da una varietà di stimoli e situazioni, come ricompense materiali, affetto, riconoscimento, ammirazione, speranza. Siamo motivati altrettanto a evitare il dolore, sia fisico che emotivo. Cerchiamo di sfuggire alla malattia, ai prepotenti che ci opprimono; vogliamo evitare la perdita di una persona cara e di qualsiasi cosa possediamo.

Quando cerchiamo di spingere altri ad agire, quindi, spesso offriamo una ricompensa o minacciamo una perdita: il classico gioco “bastone e carota”. Promettere al dipendente una promozione se resta a lavorare di più è una carota. Minacciare il figlio di una punizione se non finisce i compiti è un bastone.

Nel caso citato dei medici, invece di usare un bastone (per esempio le statistiche sui decessi causati da infezioni in sala operatoria) si è scelta una strategia positiva. Tra l’altro, non c’è bisogno di continuare a usare feedback positivi, perché i comportamenti virtuosi presto diventano abitudini.

Avvicinamento ed evitamento: Go e no go

Tali Sharot scrive, a proposito di piacere e dolore:

La legge dell’avvicinamento e dell’evitamento dice che ci avviciniamo alle persone, agli oggetti e agli eventi che pensiamo ci facciano bene ed evitiamo quelli che ci possono fare male. Compiamo azioni che ci portano più vicini a un pezzo di torta, a una persona cara o a una promozione e ci teniamo a distanza da qualcosa a cui siamo allergici, da una relazione negativa o un progetto fallimentare.

Semplice: ci muoviamo verso il piacere e ci allontaniamo dal dolore. Di solito è una tattica efficace. In alcuni casi, però, per avere quello che vogliamo devi allontanartene. Caso tipico: lasci un partner dubbioso affinché capisca quanto ti ama.

Il nostro cervello è fatto in modo tale che l’aspettativa di una ricompensa non solo innesca il movimento di avvicinamento, ma è più probabile che in generale produca un’azione. Il timore di una perdita è più probabile che generi inazione. Ecco perché il feedback positivo ha funzionato per il personale medico che non voleva lavarsi le mani, piuttosto che il tentativo di instillare il timore di una malattia. Siamo fatti in modo che l’aspettativa di “cosa buone” spinga all’azione (GO) e quella di “cose negative” induca a stare fermi (NO GO).

Se vuoi che qualcuno agisca rapidamente, prometti una ricompensa che generi un’aspettativa di piacere. Funziona molto meglio che minacciare una punizione, che genera un’aspettativa di dolore. Se vuoi motivare il team a lavorare di più, dai un riconoscimento settimanale per il dipendente più produttivo. Se vuoi convincere il tuo bambino a mettere in ordine la camera, innesca la reazione Go del cervello: non minacciarlo di proibirgli il dolcetto, ma spiegagli che potrebbe trovare il giocattolo tanto amato, e da qualche tempo disperso, sotto a quel casino. A tua figlia che non vuole mettere il cappotto, non dirle che si ammalerà ma falle immaginare quanto starà bene con quel capo addosso. A tuo figlio che non vuole studiare non dire che sarà un disoccupato ma digli che, se si impegnerà, troverà un bel lavoro. E ancora: per convincere qualcuno a continuare ad andare in palestra non devi fargli notare la pancia che cresce o i pericoli di disturbi cardiaci: fagli i complimenti per i risultati dopo i primi giorni di sforzi. Al contrario, quindi, se vuoi che qualcuno NON faccia qualcosa (NO GO), allora conviene minacciare conseguenze negative per provocare l’immediata paralisi.

Il libro della Sharot

Il libro “La scienza della persuasione” racconta moltissimi esperimenti e approfondisce tanti altri temi, come il potere delle storie, delle emozioni, della curiosità e dell’influenza sociale. Puoi acquistare il libro direttamente su Amazon:

Perché non mi è piaciuto “Bassa risoluzione” di Mantellini

Bassa risoluzione, libretto Einaudi di Massimo Mantellini, è un testo in bassa risoluzione.

Prima di parlarti del volume, però, fammi fare una premessa. In ogni corso che faccio, soprattutto quello sul social media marketing o LinkedIn, affermo che siamo nell’era di Tripadvisor e che si può recensire di tutto: anche le persone. Figuriamoci i prodotti culturali. Predico bene ma una volta ho razzolato male: mi sono trovato in una libreria e ho acquistato, d’impulso (mai più), il testo in oggetto. In ogni caso non avrei trovato nulla, il testo è in vendita da pochi giorni. Avrei dovuto quindi aspettare ed evitare di essere, per una volta, un early adopter.

Chiariamo: il libretto è se vuoi anche interessante, ben scritto. Peccato però che sul tema della bassa risoluzione, ovvero sul fatto che Internet ci faccia perdere la profondità in tutti i campi (informazione, cultura, relazioni e così via), avevo già letto, anni fa, un altro testo. Questo molto più completo e interessante (e che Mantellini non cita nemmeno, l’avrà letto?). Si trattava di “Good enough society” di Paolo Magrassi. Così ne parlavo nel mio “Non mi piace”, il contromanuale di Facebook:

“Viviamo nella “good-enough society”, l’era del buono quanto basta: non serve la qualità ottimale del CD, basta l’MP3; non consultiamo le enciclopedie, tanto c’è Wikipedia; telefonate con audio perfetto? Il VOIP di Skype è più che sufficiente”.

Mantellini, ottimo giornalista informatico che scoprii tanti anni fa seguendo Punto Informatico, cita nel libro alcuni esempi di bassa risoluzione, di “buono quanto basta” direbbe Magrassi. Parla di musica, per esempio: tema a me caro perché l’ho studiato e raccontato in “Musica liquida”. Ma la storia di MP3 e streaming è liquidata (scusa il gioco di parole) in pochissime frasi. Poi parla di selfie, film in prima visione piratati, notizie su Facebook e finisce con l’elencare altri esempi per nulla tecnologici: dalle cucine IKEA alle pareti di compensato (!), dalla free press ai voli low cost. A proposito di low cost, tra parentesi, se vuoi leggere invece una bella inchiesta sul tema, c’è sempre il buon vecchio “Italia low cost” (ne parlai in TV, qualche anno fa: vedi qui).

Insomma, il testo di Mantellini, infarcito anche di buone citazioni, non pretendeva di essere esaustivo, ma mi ha deluso ugualmente. Forse, come dicevo all’inizio, è solo coerente: un libro sulla superficialità non poteva essere anche utile.

Tre motivi per leggere “Metti via quel cellulare” di Cazzullo

“Metti via quel cellulare”, libro di meno di 200 pagine pubblicato nel 2017 da Mondadori, lo ammetto, mi incuriosiva ma ero scettico: temevo che la lettura mi facesse perdere tempo. Invece ho letto volentieri il testo che il giornalista del Corriere della Sera ha scritto con i due figli (una liceale e uno studente di Scienze Politiche), pur con qualche perplessità, e ho individuato tre motivi per cui vale la pena leggerlo.

  1. Nei miei corsi racconto che i più grandi esperti di tecnologia e genitorialità, per esempio Alberto Pellai, suggeriscono di non proibire la tecnologia, ma di usarla in famiglia, trasformarla in un momento di condivisione (c’è chi suggerisce di organizzare dei “tech talk”). È per questo che ho creato il corso sulla navigazione familiare. Nel libro di Cazzullo questa logica del confronto è alla base del testo. Si tratta di un ping-pong di opinioni, un confronto costruttivo tra generazioni.
  2. Il libro dimostra che, come sempre, bisognerebbe andare oltre gli stereotipi. In particolare per quanto riguarda i due giovani, Millennial o della generazione successiva, è godibile leggere il loro punto di vista e, in alcuni casi, il ribaltare alcune concezioni errate. Per fare solo un esempio, quando li si accusa di perdersi dietro agli youtuber, ridimensionano le varie Sofia Viscardi e soci, ma soprattutto rispondono che gente come Gianluca Vacchi (il cinquantenne di buona famiglia diventato un influencer a colpi di tatuaggi e balletti sui social) non è certo roba loro. Sospetto che il gioco di Cazzullo sia questo: in alcuni passaggi fare la parte del bigotto per fornire una serie di assist ai figli.
  3. Vi si leggono alcuni spunti interessanti, Cazzullo è una buona penna. Me ne sono appuntati alcuni:
  • Non parlate attraverso il cellulare. Parlate al cellulare
  • Il telefono e la Rete sono il più grande rincoglionimento della storia dell’umanità
  • Avete presente quando si rallenta in macchina perché nell’altra corsia c’è un incidente? Internet è l’incidente.
  • Si fotografa in continuazione per sottrarre momenti all’oblio
  • On-line non vengono premiati i migliori, ma i più bravi nelle pubbliche relazioni
  • Un floppy disk è infinitamente più vecchio della stele di Rosetta

Insomma, il libro è godibile e merita una lettura. Per i genitori come me, ma anche per i ragazzi.

Se vuoi leggere altri articoli sul tema “Genitorialità e tecnologia”, vai su “Genitori tech“.

Presuasione: 10 cose che imparerai leggendo l’ultimo libro di Cialdini

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“Ogni battaglia è vinta prima di essere combattuta”: questa citazione di Sun Tzu tiene a battesimo il nuovissimo libro (Presuasione) di Robert Cialdini, autore di quel “Le armi della persuasione” che cito in ogni mio corso, anche quando non c’entra nulla, e che fa parte del mio Pantheon personale (l’ho anche inserito nell’elenco dei libri che mi hanno cambiato la vita).
Il testo, edito da Giunti, racconta, in pratica, come si manovra l’influenza. Quali sono le azioni preliminari da fare per indirizzare la comunicazione, per fare in modo che l’interlocutore sia ben predisposto. Cito 10 cose che ho imparato da questa intrigante lettura.

1

Il contesto influenza le nostre scelte. Se in un negozio di vini ascoltiamo una canzone francese, siamo inconsciamente portati a comprare una bottiglia di nettare d’Oltralpe. Persino i numeri possono influenzarci: ci aspettiamo un risultato migliore da un atleta che indossa un numero più alto. Anche una foto, per esempio quella di un maratoneta che taglia il traguardo, può favorire il rendimento sul lavoro. L’intero contesto in cui ci muoviamo ci condiziona: se lavoriamo in una sala riunioni detta “acquario”, e vediamo le persone destinatarie del progetto, faremo un lavoro più in target.

2

La partita si gioca sull’attenzione. Seguiamo un consiglio non se è quello che riteniamo più giusto, ma se arriva al momento giusto, quando occupava la posizione più favorevole ai fini dell’attenzione.

Tra l’altro l’attenzione può essere focalizzata: i chiromanti hanno successo perché, grazie alla strategia della verifica positiva, si tende a cercare solo episodi e ricordi che confermino quanto detto (sei una persona flessibile, sei una persona inflessibile), escludendo tutto il resto. Nei sondaggi, se ci chiedono se siamo soddisfatti o insoddisfatti, i risultati cambiano perché siamo condizionati dalla domanda. Per questo gli adepti di una setta di chiedono se sei infelice.

Per assicurarsi vantaggi dell’attenzione canalizzata, il fattore chiave è mantenere fisso il centro focale: basta coinvolgere le persone nella valutazione di una particolare organizzazione per indurle ad apprezzarla di più. Una tattica sempre più impiegata da vari operatori è quella di chiedere un giudizio sui loro prodotti e servizi, ma solo su questi!

3

Come si attira l’attenzione? Con la paura e il sesso, soprattutto. I pubblicitari, da questo punto di vista, la sanno lunga. Eppure non sempre le pubblicità funzionano: bisognerebbe valutare il contesto dello spot, per esempio il film o la trasmissione nei quali sono inseriti. Dal punto di vista evoluzionistico, di fronte alla paura si vuole stare in gruppo, mentre lo stimolo erotico spinge lontano dalla folla; se si vuole puntare sull’omologazione, bisogna lavorare in un contesto di stimoli violenti o spaventosi (un film horror); se invece l’obiettivo è sottolineare l’esclusività, va benissimo un film sentimentale.

4

Il rischio è quello di prendere delle scorciatoie. Scegliere è faticoso, per questo si può abbreviare il processo optando per la prima opzione praticabile, per quella che ha più aspetti positivi (ma solo numericamente) oppure ci si concentra solo sugli aspetti positivi trascurando quelli negativi. Questa tendenza ha un nome: satisficing (“satisfy”= soddisfazione + “suffice” =sufficienza). Qualcuno la chiama filosofia del buono quanto basta (good enough society): perché ascoltare la musica in alta definizione se posso scaricare un MP3?

Chi deve persuadere, sa sfruttare queste debolezze.

5

Sempre a proposito di attenzione, il potente effetto di un cambiamento rapido delle circostanze ambientali influisce sulla nostra capacità di concentrazione. Anche qui ci sono motivazioni evoluzionistiche. In passato un movimento repentino poteva rappresentare un pericolo o una preda da catturare.
Perché passando da una stanza all’altra non ci ricordiamo più che cosa dovevamo fare? Attraversare la soglia ci fa dimenticare l’intenzione che ci ha condotti lì, e il brusco cambiamento di ambiente intorno a noi ha dirottato l’attenzione, distogliendola dallo scopo prefisso, cancellandolo della memoria. Il cambiamento suscita nel cervello una risposta di orientamento indirizzata allo spunto più efficace, ancor prima di percepirlo.

Nei film il montaggio ha la stessa importanza delle riprese: si usa il montaggio per indurre le persone a spostare l’attenzione su quelle parti del messaggio ritenute fondamentali. Trucchetto: nei video ogni tanto cambiate inquadratura, o fare un lieve zoom. Per altri canali, come documenti o mail, basta far leva su un elemento distintivo di un prodotto che attiri l’attenzione.

6

Oltre ad attirare l’attenzione verso lo stimolo, ai fini della persuasione è importante mantenerla. Certi tipi di informazione sono capaci di combinare la trazione iniziale con la durata: per esempio i riferimenti personali, irresistibili. Se condividiamo la foto di gruppo, ognuno guarderà prima se stesso.

Quando una persona riceve un’informazione destinata a sé, la comunicazione sarà più efficace. Pensate alle lattine di Coca Cola con stampati sopra i nomi più comuni. Ma vale anche se l’interlocutore ha qualcosa in comune con noi, per esempio lo stesso nome o la stessa data di nascita, lo vediamo come affine e abbassiamo le difese.

7

Come insegna l’effetto Zeigarnik, ricordiamo tutto di un compito finché non è terminato. Quando si attende esito di qualcosa a cui si tiene molto non si riesce a pensare ad altro. Questo risponde a un bisogno umano: quello della chiusuracognitiva. Ecco perché in narrativa funzionano bene i cliffhanger: la narrazione si conclude con una interruzione brusca in corrispondenza di un colpo di scena. Vedi, per esempio, il “Codice Da Vinci” di Dan Brown.

Un espediente per una narrazione efficace è quello di sfruttare il mistero, gli enigmi, come in un libro giallo. Con questa sequenza:

1 porre enigma;

2 approfondire il mistero;

3 aprire strada a soluzione esatta, presentando e confutando spiegazioni alternative;

4 fornire l’indizio per la soluzione esatta;

5 risolvere l’enigma;

6 dedurre le conseguenze per il fenomeno studiato.

8

È fondamentale anche il ruolo dell’associazione. Del resto, pensare è fare dei collegamenti. Si può usare il linguaggio per indirizzare l’attenzione e per persuadere, per esempio le parole che alludono al successo – come vincere, raggiungere, avere successo, padronanza – migliorano il livello di prestazioni e impegno.

Da questo punto di vista le metafore sono fenomenali. Per esempio, in politica, se siamo alle prese con il problema della criminalità, possiamo descriverlo come una “bestia feroce”, se vogliamo spingere politiche di tolleranza zero (mettere in gabbia) oppure come un “virus”, se vogliamo intervenire sul contesto ed eliminare le cause che ne favoriscono la diffusione (disoccupazione, scarsa istruzione, povertà).

I venditori conoscono bene il potere delle metafore. Nel libro si cita il caso di Ben Feldman, il più grande venditore di assicurazioni, che era un maestro della metafora: “la gente non muore, ma abbandona il campo”.

Le metafore funzionando nell’innescare le associazioni anche senza usare le parole. Per esempio i CV stampati su cartoncino pesante ricevono una valutazione più positiva. Oppure chi tiene in mano qualcosa di caldo, come una tazza di caffè, si dimostra più cordiale e fiducioso verso gli altri.

Allo stesso modo occorre evitare le associazioni negative: ai venditori di auto di seconda mano si sconsiglia di usare la parola “usato”, che dà l’idea di usura; piuttosto possono parlare di “precedenti proprietari”, espressione che rimanda al concetto di possesso.

Nelle offerte commerciali bisognerebbe evitare le parole “prezzo” e “costo”, associate a perdita finanziarie, ma occorrerebbe parlare di “acquisto” o “investimento”, legate al concetto di “guadagno”.

9

Il facile funziona. Ci piace l’idea di afferrare una idea senza sforzo. Anche le poesie funzionano di più se sono in rima: non solo perché più “musicali”, le consideriamo anche qualitativamente migliori. Per questo riscontriamo maggior simpatia verso chi ha un nome facile da ricordare, o per aziende che hanno un nome facile (in borsa hanno più successo).

10

Ultima considerazione: la presuasione può essere anche rivolta a sé. Per esempio il meccanismo del se/allora quando, che permette di imporre dei trigger mentali che inducono dei comportamenti, costringendo la nostra psiche a rilevare l’opportunità. Questo può funzionare, per esempio, in una dieta. Ci possiamo dire: “Se a fine pranzo il cameriere mi chiede se voglio il dolce, allora prendo una tisana”. Questo permette di autocondizionarci, come se fossimo i cani di Pavlov.

 

Nel libro Cialdini spiega molte altre cose, non ultimo come evitare di cadere in questi tranelli. Se vuoi leggere altre mie recensioni, fai clic qui.

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“Nello sciame”: 10 cose che ho imparato dal libro di Han

Byung-Chul Han, fino a un mese fa, non sapevo nemmeno chi fosse. Poi qualcuno mi ha suggerito di leggere il testo “Nello sciame. Visioni del digitale” di questo pensatore coreano di lingua tedesca e per caso ho letto un articolo online che parlava di lui; da lì al carrello di Amazon il passo è stato breve.


Letto in un batter d’occhio, il libretto “Nello sciame” mi ha stuzzicato parecchio. Nel testo, seppur breve (un centinaio di pagine con font a prova di orbo) ci sono tanti spunti. Ne ho voluti fissare 10 in ordine rigorosamente sparso, a mo’ di appunti.

  1. Ci inebriamo del medium digitale, senza essere in grado di valutare le conseguenze di simile ebbrezza. Questa cecità e il simultaneo stordimento rappresentano la crisi dei nostri giorni.
  2. Abbiamo bisogno di rispetto, pudore e distanza; invece la comunicazione digitale riduce le distanze. Sia fisiche che mentali. Han parla addirittura di esibizione pornografica della intimità: i social sono spazi di esibizione del privato.
  3. L’anonimato in Rete, il suo uso impulsivo, la mancanza di rispetto e di distanza portano al fenomeno degli shitstorm (montagna di letame, escrementi).
  4. La comunicazione ora è simmetrica: online si legge ma si può anche scrivere, produrre informazioni (si parla di prosumer). Questo nuoce al potere, che solitamente usa l’informazione in un’unica direzione. Politicamente parlando, tutti vogliono essere presenti ma non rappresentati.
  5. Avere troppe informazioni non significa prendere decisioni migliori, anzi. Al posto del big brother, avremo il big data.
  6. La massa online non ha massa fisica. È uno sciame digitale, non è una folla: non ha un’anima, non c’è un “noi”, ma è un insieme composto da individui isolati, da hikikomori (in giapponese coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale). I media elettronici, come la radio, radunano gli uomini mentre i media digitali li isolano.
  7. Viviamo un periodo di crisi letteraria e comunicativa. Assistiamo a un profluvio di pubblicazioni, ma viviamo un’era di stallo spirituale. Perché questo frastuono comunicativo disturba il nostro spirito. Il medium dello spirito è il silenzio.
  8. Lo smartphone, che promette libertà ma costringe a comunicare, è uno strumento per interloquire con sé, non con l’altro.
  9. La parola “digitale” deriva da dito, che conta. Invece la storia, le nostre storie, non sono fate per essere contate, ma raccontate. Il diario di Facebook, il flusso di tweet non sono racconti, né biografie: non c’è nulla di narrativo. Nel digitale si contano i like, gli amici, la simpatia: è la contabilità delle relazioni.
  10. Sta per iniziare l’era dei fantasmi digitali. Per esempio grazie all’Internet of Things gli oggetti potranno connettersi senza il nostro aiuto e comunicheranno tra loro: è un mondo spettrale, quello che aspetta.

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Dipendenza da smartphone: 15 statistiche incredibili

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Sebbene siano poche le persone che soffrono di una vera dipendenza da smartphone (per capirci: il livello è quello del ricovero), molti soffrono invece di nomofobia (“no mobile fobia”: paura di restare senza connessione in mobilità) e tutti noi stiamo cambiando le nostre abitudini di vita, sociali e lavorative, per colpa dei telefonini.

In un bel libro, Digital Detox di Alessio Carciofi (Hoepli), si citano tantissime statistiche riguardo a questo fenomeno. Vi segnalo le dieci più impressionanti (e alcune fonti di approfondimento).

1) Veniamo interrotti ogni 180 secondi. Le distrazioni consumano il 28% della nostra giornata.

2) Lavoriamo due ore in più per recuperare il tempo perso tra notifiche, gruppi WhatsApp, mail e conferenze call.

3) L’80% degli americani tra i 18 e i 44 anni controlla lo smartphone appena svegli, come prima azione della giornata. In Italia la percentuale è del 70%, mentre sono il 63% quelli che lo guardano prima di addormentarsi. Il 68% degli italiani guarda lo smartphone anche se non ci sono notifiche (per approfondimenti: Rapporto Coop 2016).

4) Uno studio Microsoft ha rilevato che, una volta interrotti da una notifica email, i lavoratori impiegano 24 minuti per tornare proficuamente al compito sospeso.

5) Uno studio della University of San Diego ha rivelato che l’81% degli utenti interrompe le conversazioni o i pasti per controllare il dispositivo.

6) Una ricerca Cisco rivela che 3 utenti su 5 trascorrono più tempo libero con lo smartphone che con il proprio coniuge.

10) Nove persone su dieci soffrono della sindrome della vibrazione fantasma (fonte Ansa).

11) Non riusciamo ad allontanarci dallo smartphone per più di 20 centimetri.

12) Negli usa 1000 persone sono rimaste ferite perché camminavano a testa bassa con il cellulare.

13) Il 40% delle cause di separazione e divorzio è causato da WhatsApp, usato come prova dell’infedeltà (fonte: Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani, vedi articolo su Il Giorno).

14) Un utente su tre controlla WhatsApp 12 volte all’ora, ogni cinque minuti (fonte: The social Science Journal, vedi articolo Ansa).

15) Tre incidenti stradali su quattro sono causati da distrazione, sempre più per colpa dello smartphone. Guardare il telefono vuol dire distrarsi, e guidare bendati, per 10 secondi, 110 metri. Dati confermati dal rapporto 2017 sulla sicurezza stradale di Dekra Italia: il 90% dei sinistri è colpa dei comportamenti sbagliati delle persone, riconducibili, nell’80% dei casi, all’uso dello smartphone (fonte ACI).

Consiglio vivamente di vedere questo impressionante video interattivo:

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Di seguito trovi le informazioni sul mio corso per le scuole superiori sul tecnostress e sul benessere digitale:

Routerhino: 7 cose da sapere sul router che protegge i minori

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Lo scorso 8 novembre 2017 a Milano è stato presentato un innovativo router Wi-Fi per proteggere le famiglie dai contenuti online non adatti ai bambini, concentrando l’azione di filtraggio sulla rete domestica invece che sui singoli dispositivi. Per conoscere Routerhino, proposto dalla start-up tecnologica CFBOX Srl di Desenzano del Garda, ecco sette cose da sapere.

  1. Il dispositivo è stato realizzato per proteggere bambini di età compresa tra i 2 e i 12 anni.
  2. Il sistema protegge ogni dispositivo e si auto-aggiorna quotidianamente per filtrare contenuti inadatti o indesiderati.
  3. Routerinho è facilissimo da installare: basta collegare due cavi, alimentazione e rete (si collega al modem di casa). Non richiede alcun software aggiuntivo: bastano cinque minuti ed è operativo!
  4. In casa ci sarà una seconda Wi-Fi dedicata, e parallela a quella esistente ma che non rallenta la navigazione.
  5. I filtri possono essere personalizzati per categorie (permettono anche ricerche sicure su Google, Bing e YouTube) e 80 sottocategorie.
  6. Si possono possono gestire gli orari, impostando quelli di studio e quelli del sonno.
  7. Il progetto è stato realizzato con il contributo di Microsoft, che ha contribuito con la sua piattaforma cloud Azure. Proprio perché si parla di un progetto in cloud, il genitore può intervenire in qualsiasi momento e in modo autonomo, anche da remoto.

Per ulteriori informazioni vistate il sito Web di Routerhino.

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