“Design diabolico” di Chris Nodder

Tempo fa lessi il libro “Neuro Web Design” di Susan M. Weinschenk e ne rimasi affascinato: spiegava come usare alcune teorie psicologiche, per non dire “tare” umane, per far funzionare i siti Web, per aumentare i risultati, per vendere di più.
Il libro “Design diabolico” di Chris Nodder fa la stessa cosa, ma in modo sistematico e più completo. Usa il pretesto dei peccati capitali (superbia, invidia, lussuria, gola, accidia, ira e avarizia) per mostrare come i più celebri studi di psicologia sociale o sociologia possano aiutare ogni Web master.
Qualche esempio? Si può usare la “dissonanza cognitiva” (fumo anche se so che mi fa male, allora mi giustifico perché anche il mio medico fuma) per vendere, o meglio per annullare i conflitti con i prodotti, sfruttando recensioni positive altrui (approvazione sociale), testimonial, promesse di vantaggi e così via. Oppure si può usare la gamification (come nella patente a punti) e il rinforzo parziale per fidelizzare (ogni tanto qualche ricompensa), le linee del desiderio per mettere in evidenza quel che si vuole e nascondere quel che non conviene, la pigrizia per far passare delle opzioni di default, l’avversione alla perdita per spingere un’offerta (come fa Groupon), la reciprocità per farsi dare dei dati a fronte di un dono (eBook gratis per la lead generation), la tecnica della porta in faccia per far sì che dopo un rifiuto ci sia un’adesione, l’esclusività per vendere un abbonamento Premium (come fa LinkedIn), l’ancoraggio per far scegliere l’opzione da piazzare e tanto altro ancora.
Quasi trecento pagine ricche di ricerche e trucchi. Il rischio è quello di diventare manipolatori? No, il rischio è maggiore per chi non lo legge: per conoscere gli utenti Web bisogna entrare nella loro testa.

Lo trovi su Amazon

La presentazione più bella del mondo

Mi occupo di formazione e ho letto diversi saggi e manuali sull’argomento. Per esempio, per dirne uno, mi è piaciuto molto “Presentation zen” di Garr Reynolds. Ultimamente ho letto anche “L’arte di presentare”, pubblicato da Edizioni Fag.
Scritto da un designer di presentazioni (Michele Gotuzzo) e da un’esperta di esperienza d’uso dei sistemi digitali (Francesca Tassistro), il libro è una miniera di suggerimenti utilissimi per la realizzazione di presentazioni efficaci: dalla progettazione al design, dallo storytelling al parlare in pubblico, dalla comunicazione visiva ai talk show.
Proprio così: talk show!
Per gli autori una presentazione è uno show, con le sue regole e i suoi tempi, con le trovate ad effetto e le uscite memorabili. Più volte, nel corso del libro, tra le tante case history (tipo Steve Jobs che presenta il primo iPhone o il baby-prodigio Dalton Sherman), ne viene citata una in particolare. Quella che, appunto, viene definita la “migliore presentazione del mondo”.

Si tratta di una TED conference (TED Global 2008) tenuta dalla neuroanatomista Jill Bolte Taylor dal titolo “Il mio ictus ideale” (dove racconta della sua malattia in modo molto coinvolgente). La potete vedere, in versione integrale e sottotitolata in italiano, a questo indirizzo. E qui:

Anche secondo voi è la migliore di tutte? Quali sono le vostre preferite?

Potete acquistare “L’arte di presentare” su Amazon:

Potete acquistare anche “Presentation Zen” su Amazon:

Identità digitale: tutto quello che c’è da sapere

Il libro “Io digitale” (Ledizioni) è un piccolo e prezioso volume che dà tante di quelle informazioni e spunti di riflessione che lo leggi in due ore, ma poi ci pensi per giorni. Perché fa riflettere su talmente tanti aspetti della vita online che non sai più come raccapezzarti.

Dopo averlo letto inizi a rimuginare sulle informazioni che lasci, o non lasci, su social e Web; su come gli algoritmi, per esempio quello che sta alla base di Google, condizionino la tua vita; su come la ricerca di un lavoro possa essere compromessa da quello che hai fatto online; su come Internet e i social network possano rovinare o comunque condizionare la vita di una persona, anzi di un bambino, adolescente, giovane, uomo.

Il libro parla di identità digitale, intesa come “impronta personale” – quella con cui volente o nolente ciascuno si trova a fare i conti nel contesto digitale, anche in modo molto approfondito. Si arriva a trattare di deep Web, diritto all’oblio digitale, testamento digitale, vetrinizzazione sociale, digital reputation e personal branding. Lo si fa in modo competente ma soprattutto con punti di vista diversi, perché diversi sono i background dei tre autori.

Per acquistarlo su Amazon:

“Teniamoci in contatto” di Hoffman e Casnocha

Nel percorso di studi che mi ha portato alla messa a punto del corso sul personal branding, mi sono imbattuto in diversi libri: alcuni utili, altri pieni di fuffa (e la fuffa, in campo personal branding, è sopra la media). Uno, però, sebbene a rischio “americanata” (con la storia trita e ritrita dei fallimenti e del successo) e un po’ datato (2012), mi sento di consigliarlo: si chiama “Teniamoci in contatto. La vita come impresa” di Reid Hoffman e Ben Casnocha (edito da Egea).

Prima di tutto vale la pena leggere quello che scrive Hoffman per il suo curriculum: tra le altre cose ha fondato LinkedIn (scusate se è poco…). Secondo, perché il concetto di base del libro – vivere la propria carriera come una start-up – fornisce un punto di vista interessante. Anche i singoli spunti lo sono. Per esempio, quando parla delle tre tessere del puzzle che segnano la direzione verso il successo, dice che

“La direzione migliore prevede che tu insegua ispirazioni meritorie, sfruttando i tuoi asset, mentre navighi attraverso la realtà del mercato. Il tutto finalizzato ad avere un vantaggio competitivo”.

Frase pomposa che nasconde però dei concetti chiave. Per iniziare, quali sono i propri asset? Si distingue tra soft – sapere, relazioni, reputazione, personal branding – e hard – contanti, azioni, beni materiali. Per aspirazioni e valori si intendono i desideri, le idee, la visione del futuro: sono importanti perché se fai quello che ti piace sei un passo avanti a chi bada solo alla grana. Terza componente, la realtà del mercato: pare lapalissiano dirlo, ma i prodotti vendono se li vuole il pubblico (va bene essere sognatori, ma ci voglio i piedi piantati per terra!).

Altra perla che si trova nel libro: pianifica ma sii flessibile. La pianificazione, raccomandano Hoffman e Casnocha, deve essere di tipo ABZ. Devi avere un piano A, quello principale, e uno B (simile) in caso di fallimento del primo. Ma devi sempre avere anche un piano Z, che non c’entra (quasi) nulla con i primi due, come soluzione di riserva. Ci sono sempre “punti di flesso” (per dirla con Andy Grove, fondatore di Intel) che mandano all’aria i tuoi piani (come un negozio di generi vari che vede aprire nel proprio quartiere un superstore). Nel mio caso, per esempio, ho smesso di fare il giornalista professionista perché è saltata la mia azienda storica (VNU Business Publications), anzi un intero mercato (editoria informatica cartacea bla bla). Meno male che avevo, da tempo, un piano B (social media specialist e formatore). Ma mi tengo ben stretto anche il piano Z (la start-up ClasseWeb).

Chiaramente dal fondatore di LinkedIn ci si aspetta che punti forte sullerelazioni professionali, sulla rete: del resto che ha tradotto “The start-up of you”, il titolo originale, in “Teniamoci in contatto” (anche se l’effetto è quello di “Eternal Sunshine of the Spotless Mind” tradotto come “Se mi lasci ti cancello”) voleva sottolineare proprio questo. Il libro tratta abbondantemente delnetworking, distinguendo i “buoni” (costruttori di relazioni) dai “cattivi” (gli approfittatori). I buoni sono empatici, pensano prima di tutto a che cosa possono dare (aggiungo io: del resto siamo nella sharing economy). Quelli bravi si divertono a fare networking, sanno coltivare il gruppo degli alleati professionali ma anche i cosiddetti “legami deboli” (deboli ma che spesso servono per trovare lavoro); sempre considerando che, secondo il numero di Dunbar, si riesce a mantenere contemporaneamente rapporti con 150 persone. Alleati e legami deboli sono collegamenti di primo grado: i bravi networker sanno gestire anche quelli di secondo e terzo grado, sanno farsi presentare da collegamenti di primo grado per raggiungerli. Tutto questo tenendo sempre ben presente che i network migliori non sono quelli con più collegamenti; sono quellicoesi e variegati. E che si coltivano costantemente (la butto lì: bisogna fare anche un lavoro di “intelligence”).

Insomma, non si tratta di uno dei soliti libri motivazionali all’americana (roba tipo “leader di te stesso” o simili), anche se ovviamente si fa un gran parlare di Silicon Valley e a un certo punto spunta il quaterback. Ci sono diverse idee e molti spunti pratici: per esempio in fondo a ogni capitolo ci sono indicazioni su cosa fare nei prossimi giorni (tipo: “Nelle prossime 24 ore rileggi la tua agenda degli ultimi sei mesi e identifica le cinque persone con cui hai passato più tempo – sei contento dell’influenza che esercitano su di te?”). Certo, ci sono anche suggerimenti controversi (tipo: “Stabilisci una giornata sì, di’ sì tutto il giorno e osserva la serendipity che scaturisce”…), ma tutto sommato a me paiono 19,90 euro ben spesi.

Qui gli autori parlano del libro:

Qui, invece, potete comprare il libro, anche in formato Kindle:

“Social Media B2B” di Bodnar e Cohen

Dopo essermi occupato per diverso tempo di Social Media B2C, da qualche tempo mi occupo prevalentemente di Social Media B2B. Che differenza c’è? “Social Media Business To Consumer” vuol dire gestire pagine che parlano direttamente al cliente finale (la pagina Facebook di un ristorante, il profilo Twitter di un hotel, il canale YouTube di un professionista) mentre il “Social Media Business To Business” si occupa di profili che si rivolgono ad altre aziende o professionisti. Lo scenario cambia completamente: cambiano i temi, cambiano i toni, cambiano gli scopi. Se un tempo si parlava solo di Social Media B2C, ora invece l’uso dei social per fare, per esempio, lead generation (in soldoni: trovare nuovi clienti) sta letteralmente esplodendo.

Questo testo, scritto da due guru del settore (Bodnar, per esempio, lavora presso HubSpot: quelli, per intenderci, che hanno inventato l’espressione “inbound marketing“), parte con un concetto molto forte: i social media sono più adatti al B2B che al B2C. Boom! I motivi sono diversi, ne cito un paio. Primo perché il target è noto e profilato e, secondo, perché i contenuti sono molti e di qualità. Partendo da questo presupposto gli autori mostrano quali sono gli strumenti per fare lead generation (non solo social, ma anche il Web con le landing page) e quali le best practice. Molte le dritte, alcune davvero preziose: per esempio come fare reach building, come si calcola il ROI (ritorno dell’investimento) dei social media e quali caratteristiche devono avere eBook e Webinar per diventare veri contenuti “conversori”.

 

Per acquistare il libro su Amazon, fai clic qui:

“L’arte dei social media” di Guy Kawasaki

L’arte dei social media – Guy Kawasaki

Spesso mi chiedono (e mi chiedo) che lavoro faccio. Quando facevo il giornalista, era facile da spiegare. Ora che mi occupo di social media per una nuova social media agency (EffettoDomino) non è facile far capire a chi non si occupa di social network professionalmente che… no, non basta buttare qualche bella foto su Facebook o twittare con l’hashtag giusto. Fare il social media manager, come spiega questo libro di Guy Kawasaki (Hoepli), vuol dire avere una strategia, programmare, usare i tool giusti, seguire le fonti migliori, creare contenuti interessanti e, perché no, potenzialmente virali.
Guy usa gli stessi strumenti che usiamo anche noi di EffettoDomino tutti i giorni: da Hootsuite a Buffer e IFTTT (strumenti di automazione), da Social Mention a Social Bro (strumenti di monitoring), da SlideShare (per condividere le presentazioni) a Canva (tool per la creazione di immagini con template, azienda dove lavora Guy), da Storify (tool per fare curation), da Likealyzer (per analizzare pagine Facebook di cui non si è amministratore) a fino agli spreadsheet condivisi su Google Doc per i calendari editoriali e altro.
Nel libro, di livello base e quindi utile per chi social media manager professionista non è, si trovano dritte di ogni sorta: dalle liste di Twitter alle comunità di Google+, dal numero ideale di post da pubblicare in un giorno a come monitorare i commenti (e rispondervi senza fare danni), da come integrare social media e blogging a come si crea una mailing list con MailChimp, dalle dritte su come aumentare il numero di follower a come rendere social ogni tipo di evento (e mandarlo in streaming).

Per comprendere il tono del libro, abbiamo selezionato alcune citazioni interessanti:

“La mia teoria è molto semplice: se sui social non rompi le scatole agli altri, vuol dire che non li usi nel modo giusto.”

“Non c’è nulla da fare: sui social media è la sintesi ad avere la meglio sulla prolissità.”

“Ti consigliamo di aggiungere sempre due o tre hashtag ai post. Se ne usi di più, passerai per l’#idiota che vuole #sfruttareilsistema per i propri interessi.”

“Se condividi contenuti per la sola gioia di aiutare gli altri, rimarrai sorpreso dalla quantità di bontà e reciprocità che riceverai.”

“È un dato di fatto che pagare per promuovere i post su Pinterest, Facebook e Twitter funziona. È infatti un modo per garantirsi che i propri post siano letti da un maggior numero di lettori. Facebook, in particolare, è sempre più una piattaforma ‘pay to play’.”

“Ricorda: ABC (Always Be Curious) e sperimenta tu stesso per scoprire cosa funziona meglio per le tue esigenze.”

“A nostro giudizio, la SEO (Ottimizzazione per motori di ricerca) è in buona parte una grande sciocchezza, se si parla di social […] Non ascoltare questi presunti maghi della SEO e pensa solo a creare, curare e condividere grandi contenuti. È la cosiddetta SMO: Social Media Optimization.”

“Giacché gli altri ti osservano, sforzati di conservare un tono positivo e gradevole nelle tue risposte, anche di fronte a commenti banali, irritanti o provocatori.” (Alla Gianni Morandi, aggiungo io…: vedi Rispondere agli insulti come farebbe Gianni Morandi)

“Segui le regole della boxe amatoriale e combatti tre soli round. La campanella d’inizio incontro è la pubblicazione del primo post. Round 1: il commentatore manifesta la sua opinione. Round 2: tu rispondi. Round 3: il commentatore esprime un giudizio sulla risposta. Fine del match”.

“La gran parte delle aziende non usa i social media per aumentare la visibilità e il valore degli eventi. Al contrario, si dedicano solo alle promozioni prima dell’evento mirate ad attrarre visitatori, e durante l’evento non fanno pressoché nulla per sfruttare le grandi potenzialità offerte dai social media.”

“Suggerire agli altri cosa condividere non è solo sintomo di insipienza: ne è il manifesto.”

Chiudo con… “La definizione di ‘guru dei social media’ è davvero un ossimoro perché nessuno sa davvero come funziona questo mondo.”

Insomma, un libro interessante che gli addetti ai lavori possono usare per un (piacevole) ripasso.

 

PS: Post pubblicato anche sul blog ufficiale di EffettoDomino a questo indirizzo.

Per acquistare questo libro su Amazon:

“Existential Marketing” di Iabichino e Gnasso

Dopo il marketing relazionale, emozionale, esperienziale, virale, conversazionale, non convenzionale e tribale… Dopo lo smarketing, il demarketing, l’unmarketing, il murketing, il buzz e il guerrilla… Si sentiva il bisogno di un’altra etichetta, serviva anche il “marketing esistenziale”?
La risposta è: (tendenzialmente) sì. Quello che fa il libro di Stefano Gnasso e Paolo Iabichino è spiegare che, morte le grandi narrazioni del Novecento, ora sono le aziende a dover creare “esperienze dotate di senso, capaci di colmare il vuoto esistenziale o quanto meno tentare di ridurlo”.
Il libro, interessante e ben scritto, spiega molto bene che cosa sta accadendo. Non sono qui certo per riassumerlo: leggetelo!
Qui vorrei prendere solo uno spunto del testo e proporvelo. Da tempo, infatti, tutte le volte che tengo un corso sui social network, quando parlo del Web 2.0 e spiego che cos’è UGC, lo “user generated content”, mi chiedo quanto potrà andare avanti questa storia. Per quanto tempo ancora le aziende potranno coinvolgere gli utenti per avere contenuti (e trucchetti per l’engagement) a costo praticamente zero? Per quanto riusciranno a coinvolgere la gente, voi-noi, facendo produrre foto, video, storie, tweet prima che loro-noi, ci si stanchi? Proprio nel libro “Existential Marketing” ho trovato materiale su cui riflettere. Vi si legge:

Ci siamo fatti prendere la mano dal cosiddetto user-generated content. Se nell’epoca dei mass media a nessuno potevano essere negati quindici minuti di celebrità, la profezia attribuita a Warhol e risintonizzata sui giorni di YouTube fa diventare megabyte i minuti, cosicché ogni individuo può aspirare (almeno) a 15 mega di spazio nel mare magnum della Rete. Dev’essere proprio questo che hanno pensato i primi direttori marketing alle prese con Internet perché, a un certo punto, non c’era progetto digitale che non contemplasse il contributo degli user.
A questi poveri utenti è stato chiesto di mandare video, fotografie, commenti in 140 caratteri, cortometraggi e business plan per improbabili startup. Non era il talento a interessare, ma una serie di contenuti a basso costo per popolare siti Internet, pagine Facebook e canali YouTube. Finché il giochino si è rotto e anche il fenomeno dello user-generated content è evaporato come neve al sole, insieme ai fenomeni virali fini a se stessi, agli entusiasmi per il guerrilla marketing e per i flash mob prestati alla pubblicità, una contraddizione in termini, quest’ultima, che per fortuna si è ridimensionata quasi istantaneamente”.

Detto questo, ribadisco: se siete rimasti al marketing che considera il cliente un target e non un interlocutore cui raccontare storie e da coinvolgere direttamente, vi conviene leggere “Existential Marketing” (il sottotitolo spiega molto: “I consumatori comprano, gli individui scelgono”).

Compra il libro su Amazon:

“Presente continuo” di Douglas Rushkoff


Lo ammetto: ho acquistato il libro “Presente continuo” di Douglas Rushkoff sulla fiducia, senza saperne niente, né aspettandomi nulla. L’ho fatto perché avevo letto qualcosa dell’autore, che cito a ogni lezione e presentazione per la frase illuminante “Se un servizio è gratis, tu sei il prodotto”.
Il libro è stato una piacevole sorpresa. Sebbene scritto bene non è di facile lettura, più per la complessità degli argomenti trattati che per altro. Tutto sommato, però, la tesi di fondo è chiara: la nostra società è orientata sempre più solo verso il presente, sul tempo reale, su quel che accade ora e che possiamo seguire online, con post e tweet che scorrono senza soluzione di continuità sui nostri schermi. Ciononostante la pretesa di governare il presente è vana, perché quel che leggiamo, quando lo leggiamo, è già vecchio, passato. Questo comporta diverse storture: tra le altre, il collasso della narrativa tradizionale, dove c’erano un inizio, una fine e in mezzo uno svolgimento, a favore di storie senza capo né coda, come nei giochi di simulazione senza trama. L’autore esplora il nostro mondo per mostrare come il “presentismo” pervada ogni ambito, introducendo concetti interessanti quali digifrenia, tensegrità e frattalnoia.
Un testo interessante, insomma: imperdibile per gli appassionati di sociologia e tecnologia come me.

Compra questo libro su Amazon:

“Il manuale del crowdfunding” di Alessandro Brunello

Si fa tanto parlare, di questi tempi, di crowdfunding. C’è chi è scettico – di solito sono banchieri e finanzieri, chissà perché – e chi ne parla in termini eccessivamente entusiastici, considerandolo la panacea di tutte le crisi, l’unico modo, ormai, per realizzare un progetto, lavorativo o meno, senza scucire un euro. Come sempre la verità sta nel mezzo. E come sempre, per comprendere un fenomeno, è meglio farselo spiegare da chi lo conosce. Nel caso, Alessandro Brunello, autore de “Il manuale del crowdfunding”, edito da LSWR.

Brunello spiega che cos’è il crowdfunding, definito anche “finanziamento dal basso” o “finanziamento sociale” (il mondo finanziario diventa 2.0), perché la disintermediazione creditizia fa così paura (al pari dei Bitcoin, spauracchio delle autorità monetarie) e soprattutto quali sono i modelli più diffusi, ibridi a parte. Si scopre così che è possibile semplicemente promettere una ricompensa simbolica, come i credits nel libretto di un CD (esistono ancora i CD?) – e qui si parla di modello “reward based”. Oppure esiste un modello per aziende che vogliono raccogliere il capitale sociale – “equity based”. O ancora si parla di prestiti “peer to peer” tra cittadini, come nel caso di Prestiamoci.
Per chi volesse provarci c’è anche una parte pratica, dove si scopre come si fa una campagna, quali sono le piattaforme disponibili (per esempio le big Indiegogo e Kickstarter o le nostrane Kapipal e Eppela) e che cosa serve per partire: spesso indispensabile un bel video dove si spiega il progetto e un’idea sulla strategia social. Interessante la nutrita sezione di “best practice”.

Puoi acquistare il libro su Amazon:

“Deep Web. La rete oltre Google” di Carola Frediani


Tra i corsi che tengo, ce n’è uno sul cercare on-line. Prima di iniziare a spiegare come usare i motori di ricerca, accenno sempre al fatto che il Web non è (solo) quel che si vede (che si trova). Il Web come lo conosciamo rappresenta solo la punta dell’iceberg, l’1% delle risorse disponibili. Solo che le altre non possono essere raggiunte (“La prima regola del Deep Web è che non si parla del Deep Web”) se non si conosce il link diretto, se non si naviga anonimamente (mai sentito parlare del software Tor?).
Se volete fare un viaggio in quel mondo sommerso dovete leggere assolutamente il libro “Deep Web” (Quintadicopertina) di Carola Frediani, giornalista esperta di cultura digitale. Non si tratta di un racconto alla Verne (anche se ne ha, per certi versi, il fascino), ma una vera inchiesta (come quelle di una volta, signora mia!) un reportage giornalistico che presenta personaggi, storie e luoghi dell’Internet sconosciuta, pericolosa e inquietante. Un “universo parallelo” fatto di spaccio, truffe, furti telematici e addirittura di pedofili e terroristi. Ma – altro lato della medaglia – è anche un luogo (non luogo?) dove essere liberi (uno spazio di espressione senza censure) e dove essere attivi (hacktivi). Il libro ci presenta personaggi e storie assolutamente fuori dagli schemi: imperdibile, secondo me, la storia di Silk Road (il sito n. 1 per lo spaccio di droga, ora chiuso). Molte le interviste ai protagonisti che, coperti dall’anonimato, rivelano il loro modus operandi.
Al di là dei contenuti, Deep Web è un gran bell’eBook. Ben curato, ma soprattutto innovativo: è infatti il primo libro elettronico italiano “auto-aggiornante” (in questa versione). Oltretutto il libro è acquistabile con la criptomoneta bitcoin e parte del ricavato delle vendite sarà devoluta a Privacy International.

Il libro su Amazon: