Come (e perché) applicare lo schema A.I.D.A. alle newsletter

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Le newsletter rimangono uno degli strumenti di marketing digitale più efficace. Nonostante l’e-mail negli anni abbia un po’ perso il ruolo di strumento di comunicazione digitale più usato – prevalentemente a causa delle miriadi di appi di messaggistica istantanea – le newsletter consentono di raggiungere un numero elevato di persone a un costo vicino allo zero. Sicuramente creare il database di indirizzi e-mail ha un costo significativo in termini di tempo e risorse economiche, ma una volta pronto, e costantemente aggiornato in automatico con i nuovi contatti, il suo impatto sulle attività di marketing è notevole.

Se ancora non stai sfruttando il tuo database di indirizzi e-mail, pensando che sia poco efficace e sia meglio fare pubblicità, ti consiglio di ripensare la tua strategia: se da un lato è vero che solo una piccola percentuale di chi riceve le newsletter le apre, dall’altro si tratta sempre di uno strumento di promozione molto potente che fa leva su dei prospect, persone che quindi hanno già manifestato interesse per i tuoi prodotti o servizi. Contatti “caldi”, potremmo dire, più propensi ad ascoltare quello che hai da dire.

In questo articolo non voglio insegnarti come creare un database o cercare nuovi contatti, però, ma voglio concentrarmi su un aspetto per certi versi ancora più importante: ottimizzare il contenuto in modo da renderlo più intrigante e interessante per i lettori, così da migliorare di qualche punto percentuale l’efficacia delle tue newsletter. E mi concentrerò su uno dei metodi più utilizzati nel marketing per creare contenuti – in grado di convertire: il metodo A.I.D.A.

Cosa è metodo A.I.D.A. e perché dovresti applicarlo alle tue newsletter

Il metodo AIDA è attribuito allo statunitense Elias St. Elmo Lewis, considerato uno dei pionieri nell’ambito delle pubblicità e delle vendite, che in una delle sue pubblicazioni specificava che

L’obiettivo di una pubblicità è quello di attrarre i lettori, così che guardino l’annuncio e lo leggano. Poi lo devono interessare, così che prosegua nella lettura. E infine lo devono convincere, così che una volta terminata la lettura gli dia credito. Se un annuncio risponde a questi tre requisiti, allora è un annuncio che funziona”.

Negli anni Sessanta questo metodo ha acquisito una grande popolarità fra chi lavorava nel marketing e tutt’ora è uno degli approcci più utilizzati nella stesura di testi pubblicitari.

A.I.D.A. è l’acronimo di Attenzione, Interesse, Desiderio e Azione.

A come Attenzione (Attention o Awareness): una pubblicità deve catturare l’attenzione del consumatore. Ogni giorno una persona è mediamente esposta a un numero di annunci che varia da qualche decina a qualche migliaio. Solo una piccola parte di questi arriva a destinazione, motivo per cui il messaggio deve essere eccezionale.

I come Interesse (Interest): una pubblicità deve accendere l’interesse del consumatore. Dopo aver catturato l’attenzione, occorre riuscire a farsi leggere davvero. Si dice, in particolare, che il messaggio deve catturare l’attenzione selettiva.

D come Desiderio (Desire): una pubblicità deve innescare il processo di creazione del desiderio da parte del consumatore. Quando il consumatore si identifica nella situazione pubblicitaria proposta, si verifica una sorta di proiezione del suo io, della sua personalità, nel messaggio stesso.

A come Azione (Action): una pubblicità deve condurre all’azione, che si concretizza nell’acquisto del servizio o del prodotto.

Praticamente, il concetto è quello di colpire subito il destinatario della pubblicità, nel nostro caso la newsletter, così da spingerlo ad approfondire, aprendo la newsletter e andando fino in fondo. E condurlo, infine, alla CTA, la Call To Action., che può essere cliccare su uno dei link presenti nella newsletter stessa.

Il modello A.I.D.A. applicato alle newsletter: Attenzione

Punto primo: attirare l’attenzione del destinatario. Questo significa evitare quello che accade in più del 95% dei casi: che venga cestinata.
Cosa puoi fare per stimolare l’attenzione? Su una pubblicità puoi sfruttare un’immagine di forte impatto, ma qui hai solo l’oggetto (che poi è praticamente un titolo). Pochissime parole per convincere il lettore: “Vale la pena di andare oltre!”

Uno degli errori più comuni di chi realizza newsletter è spesso questo: non dare la giusta importanza all’oggetto. Puoi aver realizzato il miglior contenuto del mondo, ma senza un invito alla lettura forte, un titolo efficace, non riuscirai a diffonderlo come merita.

Da evitare assolutamente gli oggetti troppo generici, tipo

  • Tutte le novità del settore XXX
  • Un’offerta imperdibile
  • Presentati il giorno 15 maggio a partire dalle 10:00 nel nostro store di Piazza Duomo per ricevere uno sconto del 20% sui TV OLED LG 65” in offerta

Il primo non dice fondamentalmente nulla e probabilmente si perderà con altre decine di mail simile.

Anche parlare genericamente di offerta non ha senso: devi specificare se si tratta di un profumo, una bicicletta, un servizio, una cena.

Infine, l’ultimo di per sé potrebbe essere un messaggio intrigante. Si parla di uno sconto forte e specifica che si tratta non solo di un TV, ma anche marca e dimensioni. Il problema però che è troppo lungo e articolato per essere efficace. È vero che non hai troppi limiti di spazio nel campo oggetto, ma il punto è cogliere l’attenzione subito, fornendo solo l’essenziale. In questo caso lo sconto e il prodotto. Tutto il resto puoi tenerlo per dopo: ti tornerà utile da sfruttare nel passaggio successivo, quello dell’interesse.

Un oggetto che può funzionare è

  • TV LG OLED 65” col 20% di sconto. Solo il 15 maggio

Se la tua newsletter non è un’offerta, ma include una serie di contenuti, come può essere quella di un sito editoriale, ti consiglio di concentrare l’attenzione sulla notizia più d’impatto, quella che probabilmente rappresenterà l’apertura.

Se col TV è semplice, tutti sanno cosa è e cosa fa, quando devi proporre prodotti o servizi nuovi o meno conosciuti, realizzare l’oggetto richiede più attenzione. Per esempio, puoi aver realizzato il miglior software del mondo, ma se poco lo conoscono, non basta mettere il nome nell’oggetto per invogliare. Anzi, potrebbe essere controproducente e rubare spazio prezioso. Qui il ragionamento che devi fare è un altro? A quale desiderio risponde quello che offro? Hai realizzato un software di workflow digitali? L’oggetto potrebbe incentrarsi sul concetto di risparmiare tempo e migliorare la produttività. Una crema antirughe rivoluzionaria e ecologica? Gioca su questi due concetti per attrarre il pubblico e attirare così il loro interesse. Poi gli spiegherai, quando avrà aperto la mail, cosa e come fa quanto promesso.

Ci sono anche alcuni aspetti tecnici da considerare, a partire dal numero di caratteri. A seconda del client utilizzato e del dispositivo, mobile o desktop, cambierà il numero di caratteri visualizzati in anteprima. Un valore che oscilla dai 50 ai 75 circa. Sui dispositivi mobile, quelli più utilizzati, sono ovviamente quelli che visualizzano meno caratteri. Uno studio di Retention Science hanno fatto una serie di esperimenti per capire il numero di parole che “converte meglio”: fra le  6 e le 10.

Come puoi vedere dal grafico, aumentando le parole, scema l’interesse. Il motivo è semplice da comprendere: la maggior parte delle parole in più non sono visualizzate. Quindi, il messaggio rimane parziale, “troncato”. In termini di caratteri, parliamo di 40/60 battute circa. Non stare a impazzire e diventare matto se sono 62, ecco. Fai però delle prove prima dell’invio per verifica che si legga correttamente anche sui dispositivi mobile.

Alcuni usano anche i caratteri speciali: i simboli Unicode, tipo quelli che vedi qui sotto.

Funzionano? Dipende molto dai destinatari e dai contenuti. Se stai mandando offerte di servizi a dirigenti incravattati probabilmente no. Se stai pubblicizzando un servizio di chat o un’e-commerce di prodotti destinati a giovanissimi, può invece funzionare.

Il modello A.I.D.A. applicato alle newsletter: Interesse

Hai realizzato un buon oggetto e sei riuscito a risvegliare l’attenzione del destinatario della tua newsletter e convincerlo ad aprirla. Il lavoro non è finito, anzi, non siamo nemmeno a metà dell’opera. Passiamo però al secondo punto, l’interesse.

Gli hai promesso una cosa, l’hai spinto ad approfondire: ora non vorrai certo deluderlo.

L’errore più grave che puoi fare è quello di non mantenere fede alla promessa che hai fatto: non solo verrebbe cestinata l’e-mail, ma rischi pure che più di qualcuno annulli l’iscrizione alla newsletter perché si è sentito fregato. Una newsletter non è come i titoli di certi giornali online: il clickbait non ti porterà nulla di buono. Se hai promesso uno sconto del 20%, ma in realtà l’offerta è differente, parli di un altro prodotto o, in generale, fuorviante, farai solo arrabbiare i destinatari.

Se invece hai scelto un titolo efficace e coerente con il contenuto, ora hai a disposizione più spazio e strumenti per comunicare il tuo messaggio. E non devi necessariamente impazzire per formattare la mail: sistemi come SendinBlu o MailChimp includono potenti editor che ti aiuteranno a rendere la tua mail accattivante anche dal punto di vista visivo.
Quando la elabori, però, tiene sempre conto di un aspetto: deve essere funzionale, immediata. Non fare lunghi preamboli, non scrivere muri di testo. Devi fare dell’essenzialità il tuo mantra. Che non vuol dire scrivere sgrammaticando usando le “k” al posto di “ch” o abbreviare il non in nn, ma eliminare tutto quello che non è necessario, che distrae l’attenzione. Devi concentrarti sul messaggio chiave: nell’esempio che abbiamo fatto prima, quello della TV OLED, basta aggiungere i dettagli. Il modello preciso, le condizioni, il periodo di validità dell’offerta. Sicuramente, ci deve essere un’immagine di apertura, evidente, che colpisca l’attenzione. E, sull’immagine stessa, devono essere presenti tutte le informazioni. Che si tratti di un TV, o di un servizio, o di qualsiasi altra cosa, se lo scopo della newsletter è quello di pubblicizzare un singolo prodotto, l’immagine non può mancare, e non dovrebbe servire altro. Tutto quello che è necessario deve essere riassunto lì, in quello che il lettore nota subito.
Questo non ti impedisce poi di usare anche del testo, per esempio per specificare ulteriori condizioni o diciture legali necessarie. Ma tienilo al minimo, perché ora dopo aver catturato l’interesse del tuo lettore, si spera anche che hai scatenato il desiderio. E ora devi spingerlo all’azione, non a leggere dettagli trascurabili: devi invogliare il lettore a fare il cliccare sulla CTA, la Call To Action.

Non sempre il messaggio è così immediato come lo sconto su una TV, come abbiamo visto. Ti ho fatto prima l’esempio di un software per il workflow. Probabilmente avrai degli ottimi comunicati stampa, pieni di parole e molto dettagliati, pieni di grafici. Ecco, riassumi tutto, come se si trattasse di un’infografica. Riduci al minino l’uso del testo: devi dire cosa fa, come lo fa, e quali risultati oggettivi porta: taglio del 10% dei costi, produttività incrementata mediamente del 5%. O anche cose del tipo “Suggerito dagli esperti di XXX”, o “Utilizzato anche da realtà come YYY”.

Ma come posso dire tutto in così poco spazio quando Il mio prodotto è complesso, e non si presta alla semplificazione. Beh, questo lo farai dopo, ora hai creato l’interesse. Al desiderio ci penserai al passo successivo.

Il modello A.I.D.A. applicato alle newsletter: (creare il) Desiderio

In certi casi, il desiderio scatta subito dopo la manifestazione dell’interesse. È il caso della TV di cui parlavo prima: non ci vuole molto altro. Nella maggior parte dei casi, però, non è così. Pensa appunto all’esempio del software di workflow che ti ho fatto. Chi ha aperto l’e-mail ha sicuro mostrato interesse, ma non ancora il desiderio: c’è bisogno di più informazioni, anche perché non si tratta di un acquisto di impatto, che si fa su due piedi, senza ragionare troppo. Insomma, ci sono processi più lunghi quando vendi software, o servizi, come può essere una vacanza, un abito fatto su misura, un corso di formazione.

Devi offrire più informazioni, sino a stimolare il desiderio. Queste azioni dipendono dalla natura del prodotto o servizio: puoi invogliarli a guardare un video sul canale YouTube, a seguire il profilo Instagram, Facebook o del social che usa per la comunicazione. O, utile soprattutto nel caso dei servizi complessi, proporre l’iscrizione a un webinar formativo, o contattare l’azienda per una dimostrazione, a scaricare la versione trial di un’applicazione. O puoi usare più di questi metodi contemporaneamente. L’importante è che sulla newsletter la Call To Action sia unica. Puoi anche inserire più di un pulsante che invita all’azione, per esempio all’inizio e alla fine, e anche a metà newsletter (ma ricorda, niente muri di testo, eh. Sfrutta immagini e formattazione per semplificare la lettura), ma l’importante è che puntino tutte alla stessa destinazione, che molto probabilmente sarà una landing page.
Un errore che viene fatto spesso è quello di mandare all’homepage del sito aziendale: meglio predisporre una pagina dedicata solo a quella campagna, con azioni studiate per “corteggiare” quel cliente, offrirgli in un punto tutte le informazioni di cui ha bisogno. In alcuni casi la landing può essere un canale Instagram, Facebook o Youtube: l’importante è che tu possa poi misurare quello che succede. Chi ci arriva, da dove e cosa fa una volta arrivato qui. Alla fine, quello che devi stimolare è l’azione che, nella maggior parte dei casi, sarà l’acquisto del prodotto o servizio.

Questo potrebbe anche richiedere ulteriori azioni da parte tua: il tuo funnel di vendita non può limitarsi alla sola newsletter, che è solo uno dei tanti strumenti che hai a disposizione.

Il modello A.I.D.A. applicato alle newsletter: Azione

Se hai lavorato bene, una parte degli iscritti alla tua newsletter avrà seguito tutto il percorso: avrai destato la loro attenzione, scaturito interesse e, successivamente, desiderio. Non resta che convertili al passaggio successivo: l’azione, l’acquisto. Questa parte del processo è apparentemente quella la più semplice, ma non sottovalutarla. Questo è a tutti gli effetti un test dei tuoi processi di vendita: ora che il potenziale cliente è pronto all’acquisto, devi fare in modo che il processo sia il più semplice e lineare possibile, privo di attriti.

L’esempio perfetto? Amazon! Pensaci: ti arrivano da mille canali messaggi sui prodotti ai quali hai mostrato interesse in qualche modo e una volta giunto sulla piattaforma, sei pronto per l’acquisto, con un singolo clic, sia che ti trovi sull’app o sul sito. Se anche non sei registrato, il processo è semplice e veloce, praticamente immediato. Questo significa togliere gli attriti (friction-less). Non tutti i siti di e-commerce sono così efficaci, e non tutte le aziende hanno messo in piedi processi tanto snelli. Non ti sto dicendo di investire milioni in software di e-commerce o siti esageratamente complessi, ma di ottimizzare al massimo gli strumenti che già hai per semplificare al massimo il processo di registrazione e acquisto.
Per esempio, consentendo di iscriversi tramite Facebook o Google: basta un clic, l’utente sarà felice. Certo, non può mancare anche un’opzione per registrarsi direttamente usando una mail: fai che sia un processo veloce, altrimenti perderai tanti potenziali clienti. Mi capita spesso di registrarmi a servizi realizzati in maniera pessima: una miriade di informazioni personali inutili (e invasive, tipo: sei sposato, hai figli, età, reddito familiare) da inserire, senza possibilità di saltare un solo campo; mille tentativi per inserire una password che “piaccia” al sistema (metti almeno una maiuscola, una minuscola, un numero, un carattere speciale…); per poi finire con captcha incomprensibili, che in più di un’occasione mi hanno fatto dubitare della mia umanità: effettivamente, forse sono un robot se non riesco a passarli per 4 volte di seguito.

Questi attriti sono fastidiosissimi, segno di una pessima esperienza utente, e rischiano di mandare a monte il buon lavoro fatto fino a questo momento. Ecco perché ti consiglio di verificare le tue procedure, farle provare a più persone e studiare, sempre, un modo per semplificarle ulteriormente e renderle scorrevoli. Questo è un lavoro costante, che non avrà mai fine. Un continuo processo di innovazione che col tempo darà sempre più frutti, migliorando il tasso di conversione delle tue campagne. Pensare che a un certo punto “sei arrivato”, e meglio di così non puoi fare, è un errore: ci sarà sempre qualche aspetto che può essere ulteriormente snellito.

Alcuni modelli di newsletter cui ispirarsi

Campaign Monitor ha raccolto 97 modelli di newsletter davvero ben fatti, soprattutto dal punto di vista del design. Li trovi a questo indirizzo: “Introducing the 97 top email marketing campaign examples and designs“.

A.I.D.A.: non solo le newsletter

In questo articolo ti ho spiegato come applicare il metodo A.I.D.A alle newsletter, ma non è stato pensato solo per questo: si tratta di un approccio al marketing e alle vendite che dovresti applicare a tutti i canali. Ogni volta che fai una sponsorizzazione una ricerca su Google, sui social network, o che realizzi un banner, tieni sempre a mente questi passaggi:

  • Come posso attirare l’attenzione
  • Come posso stimolare l’interesse
  • Come scateno il desiderio in chi ha mostrato interesse?
  • Come posso spingerlo all’azione?

La declinazione sarà ovviamente differente a seconda del canale che scegli, e del pubblico di riferimento, ma il concetto alla base di ogni investimento pubblicitario deve partire da questi concetti.

Qui mostro come si applica il modello anche ai contenuti social:

Il corso su newsletter e DEM on demand di Primopiano

Ho realizzato con Primopiano di Milano un corso su newsletter e DEM (direct email marketing) che puoi trovare a questo indirizzo: Corso Newsletter e DEM efficaci

 

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