Digital storytelling, ecco perché avremo sempre bisogno di storie

Questo articolo è stato pubblicato su Agendadigitale il 5 settembre 2018

Le storie servono all’essere umano, da sveglio e mentre dorme, per dare ordine all’esistenza o simulare le azioni per prepararsi alla vita adulta. Ecco dieci importanti insegnamenti che si posso trarre dal libro “L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani” di Jonathan Gottschall

In un mondo digitale dove siamo sommersi da informazioni e dati, la soluzione per vincere la guerra dell’attenzione di utenti e lettori è lo storytelling, o meglio il digital storytelling. Per comprendere perché le storie non sono puro intrattenimento, ma uno strumento di sopravvivenza fondamentale, ho deciso di studiare il bel libro “L’istinto di narrare. Come le storie di hanno reso umani” di Jonathan Gottschall (un suo Ted sullo storytelling).

In questo post riassumo i dieci insegnamenti più importanti che ho tratto dal libro e che possono giustificare ogni strategia di comunicazione digitale basata sulle storie: spunti di varia natura, che affondano le loro radici nella biologia, nella psicologia evoluzionistica, nella letteratura e nella storia. Scoprirai perché gli umani hanno bisogno delle storie, e come tutto sia narrazione: dai giochi infantili ai sogni, dalla Storia alle teorie del complotto, fino alla religione e alla scienza.

Dio creò l’uomo perché gli piacciono le storie

Abbiamo, noi umani, come specie, una vera dipendenza dalle storie. Nel libro ho ritrovato questa bella citazione di Elie Wiesel:

Dio creò l’uomo perché gli piacciono le storie

La funzione narrativa è solitamente considerata un intrattenimento per evadere dalla realtà. Ma se questa teoria fosse vera, sarebbe lecito aspettarsi solo storie a lieto fine. Tutto dovrebbe andare bene, i buoni non dovrebbero mai soffrire. Non è così. Le storie migliori, e più utili, sono invece centrate sui problemi e sul conflitto: minacce, morte, disperazione, Sturm und drang. Anche l’intrattenimento leggero è organizzato intorno ai problemi, e i lettori rimangono inchiodati a immaginare come andrà a finire. Anche perché è un modo di vivere situazioni difficili senza subirne le conseguenze: è l’eroe a patire al posto nostro. Possiamo amare, condannare, perdonare, sperare, sognare odiare senza correre nessuno dei rischi che queste emozioni normalmente implicano.

Secondo i teorici dell’evoluzione le storie costituiscono un modo per esercitarsi a utilizzare le competenze più importanti della vita sociale, sono come simulatori. Anche perché, guardando o leggendo storie conflittuali, è come se le vivessimo, grazie ai neuroni specchioche ci fanno provare vera empatia per i protagonisti delle storie.

Le opere di narrativa sono più potenti delle opere di non fiction per influenzare le persone. Questo perché quando leggiamo opere non-fiction, i cosiddetti saggi, alziamo gli scudi, siamo critici e scettici. Ma quando siamo assorbiti da una storia, abbassiamo la nostra guardia intellettuale, siamo toccati emotivamente e questo pare lasciarci senza difese.

Fino a che punto siamo dipendenti dalle storie

Siamo talmente dipendenti dalle storie che le costruiamo continuamente, anche quando non avrebbe alcun senso. Allo stesso modo vediamo volti nelle nuvole o il volto di Gesù su un toast mezzo carbonizzato. Si parla di effetto Kulešov:

Nei primi anni ’20 del Novecento il regista sovietico Kulešov realizzò un breve filmato con inquadrature fisse: un cadavere in una bara, una ragazza avvenente e un piatto di minestra. Fece procedere tutte e tre queste scene dall’immagine del volto di un attore. Poi studiò le reazioni del pubblico. Quando veniva mostrato quel volto prima della minestra, l’attore sembrava esprimere fame; quando veniva mostrato prima del cadavere, pareva addolorato; quando veniva mostrato prima della ragazza, il suo volto pareva segnato dal desiderio sessuale. In realtà l’attore non interpretava alcuna emozione. Dopo ogni inquadratura, Kulešov aveva semplicemente inserito la sequenza identica di un attore che fissava impassibile la telecamera. Non c’era fame, né tristezza e tantomeno libidine sul volto dell’attore: erano tutte emozioni viste unicamente dal pubblico. L’esercizio dimostra fino a che punto non vogliamo stare senza una storia, e con quanta avidità lavoriamo per imporre una struttura narrativa a un montaggio privo di significato.

bambini di tutto il mondo adorano le storie

bambini di tutto il mondo adorano le storie e, verso i due anni, iniziano a dare forma ai loro mondi inventati. Le storie sono talmente fondamentali nell’esistenza infantile da essere in sostanza l’elemento che la definisce. La presenza del gioco in numerose specie animali ha un motivo preciso: giocare aiuta i giovani a simulare le azioni per prepararsi alla vita adulta. I bambini che giocano stanno allenando il corpo e il cervello per le sfide che affronteranno da grandi: stanno costruendo intelligenza sociale ed emozionale. Anche gli adulti sono molto simili a Peter Pan: si lasciano alle spalle automobiline e travestimenti, ma non abbandonano mai la finzione; cambiano solo il modo di praticarla. Romanzi, sogni, film e fantasticherie sono province dell’Isola che non c’è. E servono anche per darci un senso comune e un senso morale: la finzione narrativa esprime sempre un forte senso etico. Se i buoni fanno del male è sempre per una buona causa.

Anche i sogni sono storie

Anche quando il nostro corpo dorme, la mente sta sveglia tutta la notte, narrando storie a se stessa con i sogni. I sogni sono storie (e non simboli come vuole la tradizione freudiana): i ricercatori, parlando di sogni, non possono fare a meno di ricorrere al lessico dei corsi di scrittura: trama, prima, personaggi, scena, ambientazione, punto di vista, prospettiva.

Non smettiamo di sognare nemmeno di giorno. La mente, ogni qualvolta non è assorbita da un compito che richiede concentrazione, scivola immancabilmente nelle sue divagazioni. Alcuni studi dicono che un sogno diurno dura in media 14 secondi e ne produciamo 2000 al giorno. Trascorriamo la metà delle nostre ore di veglia, un terzo dell’esistenza, elaborando fantasie.

Le storie vendono, anche online

Le storie vendono, anche online. Basta considerare il wrestling, un insieme di sceneggiate. Ma anche negli altri sport come la boxe, dove invece gli scontri sono veri, i promoter hanno capito che gli incontri non attirano l’interesse dei tifosi a meno che non si punti su personalità sopra le righe, con intrighi e retroscena.
Le storie sono alla base anche della pubblicità. Uno spot non dice che un detersivo funziona bene, lo mostra attraverso la storia di una mamma indaffarata, dei bambini scavezzacollo e un trionfo di bucato bianco smagliante. Chi vende sicurezza stimola le nostre paure per indurci ad acquistare allarmi domestici, ci fa vedere scene di donne e bambini impotenti salvati, grazie a un particolare dispositivo, dall’intrusione di inquietanti sconosciuti. I gioiellieri mostrano storie in cui gli aspiranti fidanzati possono conquistare l’amore dell’amata. Non a caso molte aziende, al centro della propria comunicazione digitale, ora puntino sulle Stories di Instagram.

Anche la Storia è fatta di storie

Anche la Storia è fatta di storie, gli storici sono dei narratori. Qualcuno dice che alcuni fatti storici siano in realtà miti: vedi la scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo. Allo stesso modo la politica è fatta di narrazioni, così come i processi e il giornalismo.
Le opere di finzione possono influenzare la Storia. Per esempio l’autore cita, tra gli altri, il caso de “La capanna dello zio Tom“: opera di finzione che però ha avuto un grande impatto per quanto riguarda la percezione della condizione degli schiavi, del razzismo, della guerra civile americana.

Tutte le tradizioni religiose si fondano su narrazioni

Tutte le tradizioni religiose si fondano su narrazioni. Preti e sciamani di tutto il mondo sanno da sempre ciò che la psicologia ha in seguito confermato: se vuoi che un messaggio penetri nella mente umana, inseriscilo in una storia. La religione è l’espressione massima del dominio della narrazione sulle nostre menti.

Le tendenze religiose sono un adattamento evoluzionistico, un effetto collaterale dell’evoluzione, o una qualche combinazione delle due cose. La più comune spiegazione secolare della religione è che gli umani inventano gli dei per conferire ordine e senso all’esistenza, trovare risposte per le grandi domande senza risposta. Perché sono qui? Chi mi ha fatto? Dove va il sole di notte? Perché partorire è doloroso? Che fine farò una volta morto? Ci serve la religione perché per natura aborriamo l’inspiegabile. Gli esseri umani evocano divinità, spiriti e spiritelli per colmare un vuoto, una mancanza di spiegazione.

David S. Wilson sottolinea che la religione è un’esigenza di carattere evoluzionistico: le società religiose hanno sconfitto grandemente i gruppi che, non avendo credenze comuni, erano più deboli, meno coesi, regolati e motivati. Gustav Jager disse che la religione può considerarsi un’arma nella lotta darwiniana per la sopravvivenza.

Anche la scienza è una grande narrazione

8. Non solo la religione, ma anche la scienza è una grande narrazione che emerge sempre dal bisogno di spiegare il mondo. Il carattere narrativo della scienza è evidente quando, per esempio, si tratta di indagare le origini dell’universo, della vita, dell’attitudine stessa a raccontare storie.

Il fascino delle teorie del complotto

Le teorie del complotto sono storie finzionali, a cui alcune persone credono con convinzione. I fautori delle teorie cospiratorie collegano dati reali e dati immaginari in una versione della realtà coerente ed emotivamente gratificante. Queste storie esercitano una presa fortissima sull’immaginazione umana: affascinano perché raccontano storie avvincenti, con la classica struttura basata su un problema e una netta definizione dei buoni e dei cattivi. C’è sempre un cattivo, e i cattivi si possono sconfiggere.

Le ipotesi cospiratorie sono riflesso del bisogno compulsivo della mente narrante di avere esperienze dotate di senso. Le teorie del complotto offrono risposte definitive un grande mistero della condizione umana: perché nel mondo ci sono tante brutture? Forniscono niente meno che una soluzione al problema del Male. Le teorie complottistiche sono sempre consolatorie, nella loro semplicità.

Il rischio di “diabete mentale”

Le storie stanno diventando una debolezza? Si può delineare un’analogia fra tra la fame di storie e la fame di cibo. La tendenza ad alimentarsi in eccesso è stata utile ai nostri antenati, quanto la scarsità di cibo era un problema all’ordine del giorno. Ma oggi noi moderni sedentari stiamo affogando nei grassi e negli zuccheri. Allo stesso modo consumare tante storie era fondamentale per i nostri antenati, oggi il nostro mondo è invaso da libri, lettori MP3, televisori e smartphone: le storie sono onnipresenti e abbiamo, nei romanzi rosa e nei reality show, qualcosa che è l’equivalente narrativo dei bomboloni fritti alla crema, scrive l’autore. Gottschall parla di rischio di “diabete mentale”.

Il vero rischio non è che in futuro le storie svaniscano dalla nostra vita, ma che ne assumano il controllo totale. Come ci mettiamo a dieta di cibo, dobbiamo evitare di abbuffarci di storie. O quantomeno scegliere quelle migliori, soprattutto online e nell’era dell’overload informativo.

L’uomo avrà sempre bisogno di storie

Il digitale sta cambiando radicalmente il nostro modo di fruire delle storie. Se proviamo a spiegare a un Millennial che un tempo, per vedere un film, dovevamo aspettarne la programmazione nei palinsesti televisivi, magari mesi dopo, oppure prendere l’auto e andare ad affittarlo da un Blockbuster, ci guarderà perplessi. È abituato alla soddisfazione immediata di qualsiasi desiderio, grazie allo streaming. Nell’era di Netflix si parla anche di “binge watching”, l’abitudine di divorarsi intere serie di seguito, un episodio dopo l’altro. Il digitale ha portato anche altre innovazioni impensabili fino a qualche tempo fa: possiamo mettere in pausa una diretta oppure possiamo iniziare a vedere un film sulla TV e finirlo sullo smartphone mentre siamo in coda alla Posta. Ma tutto questo non sposta di una virgola la questione di fondo: l’uomo ha e sempre avrà bisogno di storie.

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