“Existential Marketing” di Iabichino e Gnasso

Dopo il marketing relazionale, emozionale, esperienziale, virale, conversazionale, non convenzionale e tribale… Dopo lo smarketing, il demarketing, l’unmarketing, il murketing, il buzz e il guerrilla… Si sentiva il bisogno di un’altra etichetta, serviva anche il “marketing esistenziale”?
La risposta è: (tendenzialmente) sì. Quello che fa il libro di Stefano Gnasso e Paolo Iabichino è spiegare che, morte le grandi narrazioni del Novecento, ora sono le aziende a dover creare “esperienze dotate di senso, capaci di colmare il vuoto esistenziale o quanto meno tentare di ridurlo”.
Il libro, interessante e ben scritto, spiega molto bene che cosa sta accadendo. Non sono qui certo per riassumerlo: leggetelo!
Qui vorrei prendere solo uno spunto del testo e proporvelo. Da tempo, infatti, tutte le volte che tengo un corso sui social network, quando parlo del Web 2.0 e spiego che cos’è UGC, lo “user generated content”, mi chiedo quanto potrà andare avanti questa storia. Per quanto tempo ancora le aziende potranno coinvolgere gli utenti per avere contenuti (e trucchetti per l’engagement) a costo praticamente zero? Per quanto riusciranno a coinvolgere la gente, voi-noi, facendo produrre foto, video, storie, tweet prima che loro-noi, ci si stanchi? Proprio nel libro “Existential Marketing” ho trovato materiale su cui riflettere. Vi si legge:

Ci siamo fatti prendere la mano dal cosiddetto user-generated content. Se nell’epoca dei mass media a nessuno potevano essere negati quindici minuti di celebrità, la profezia attribuita a Warhol e risintonizzata sui giorni di YouTube fa diventare megabyte i minuti, cosicché ogni individuo può aspirare (almeno) a 15 mega di spazio nel mare magnum della Rete. Dev’essere proprio questo che hanno pensato i primi direttori marketing alle prese con Internet perché, a un certo punto, non c’era progetto digitale che non contemplasse il contributo degli user.
A questi poveri utenti è stato chiesto di mandare video, fotografie, commenti in 140 caratteri, cortometraggi e business plan per improbabili startup. Non era il talento a interessare, ma una serie di contenuti a basso costo per popolare siti Internet, pagine Facebook e canali YouTube. Finché il giochino si è rotto e anche il fenomeno dello user-generated content è evaporato come neve al sole, insieme ai fenomeni virali fini a se stessi, agli entusiasmi per il guerrilla marketing e per i flash mob prestati alla pubblicità, una contraddizione in termini, quest’ultima, che per fortuna si è ridimensionata quasi istantaneamente”.

Detto questo, ribadisco: se siete rimasti al marketing che considera il cliente un target e non un interlocutore cui raccontare storie e da coinvolgere direttamente, vi conviene leggere “Existential Marketing” (il sottotitolo spiega molto: “I consumatori comprano, gli individui scelgono”).

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