La mia intervista all’Eco di Bergamo (9 marzo 2016)

L’Eco di Bergamo, prestigioso quotidiano orobico, mi ha intervistato in merito alla questione “Facebook e privacy”, citando “Non mi piace“. L’autore dell’articolo è Bruno Silini.

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Social network – La grande guerra della privacy

Sicurezza. Gli Stati chiedono accesso ai messaggi privati, Facebook e Apple si rifiutano di fornire i dati

Se il filosofo Eraclito vivesse ai nostri giorni, al suo motto «tutto scorre» forse aggiungerebbe «nei social». Nelle maglie di Facebook, Whatsapp, Twitter, Instagram (solo per citare i più popolari) c’è molto di noi, nel bene e nel male.
È incontestabile una contaminazione di noi stessi nei social, tantoché che se si volesse saperne di più sulla nostra privacy essi costituirebbero, per eventuali inquirenti, una ricca miniera di informazioni. Qualche giorno fa il responsabile di Facebook Brasile, Diego Dzodan, è stato arrestato in seguito alle ripetute richieste della giustizia affinché la sua società rendesse disponibili informazioni riguardanti scambi di messaggi via Whatsapp tra trafficanti di droga. Un giudice federale di Los Angeles ha ingiunto ad Apple di fornire assistenza tecnica per ricavare informazioni utili dall’iPhone di uno dei due attentatori della sparatoria di San Bernardino.
Vicende che sollevano in maniera radicale il problema della privacy digitale. Si sa che un bisturi può salvare una vita, ma può  anche essere l’arma di un delitto. Dipende dall’uso che ne facciamo. Così è anche per Facebook. Si rivela un ottimo alleato per tenersi in contatto con gli amici, per condividere interessi, per aggiornarsi oppure per pubblicizzare attività e organizzazioni.
Tutte cose buone che la web revolution ha permesso. Ma, se non opportunamente compreso, il social network può diventare un mezzo di autolesionismo della nostra identità e del nostro benessere, una piattaforma per veicolare truffe o anche un modo per attuare progetti criminali. È necessaria una maggiore consapevolezza. In questa prospettiva «Non mi piace. Il contromanuale di Facebook: 101 cose da non fare sul social network di Zuckerberg » può essere una guida opportuna per scrollarsi di dosso le insidie di questo angolo affollato della rete. A scriverlo è Gianluigi Bonanomi, giornalista e docente lecchese, fondatore di ClasseWeb, direttore della collana eBook «Fai da tech» e assidua presenza in Bergamasca in fatto di nuovi media, clouding e gestione on line della reputazione.
Sulla cronaca di questi giorni Bonanomi ha le idee chiare: «Zuckerberg non è un filantropo e Facebook ci invita a usare la sua piattaforma (gratuitamente) per farci i fatti altrui solo perché, ogni volta che ci colleghiamo a qualcuno o qualcosa, diamo informazioni commerciali preziosissime. Questo però non giustifica il fatto che la multinazionale possa infischiarsene delle legislazioni nazionali. A mio parere quei dati andavano forniti alle autorità ».
«Intendiamoci: io amo Facebook» continua Bonanomi. «Tuttavia buon senso e prudenza dovrebbero sempre accompagnarci nella gestione di un profilo. Poiché i primi a fare le spese di un uso sconsiderato siamo noi. Troviamo ogni sorta di manuali che spiegano come usare Facebook. Questo libro fa esattamente il contrario, elencando le cose da non fare assolutamente: falsa modestia, post furbetti per catturare i “like”, sovraesporre i figli con centinaia di immagini, tsunami di spam e continui lamenti… ». E ancora: creare una pagina per un animale domestico, un profilo «di coppia», lasciare aperta la bacheca alla possibilità che ognuno possa scrivere qualunque cosa. Adesso c’è la moda dei selfie, ma non tutti sono adeguati. Si vedono cose che lasciano perplessi: ragazze in bagno con labbra a canotto, pronostici di una partita di calcio scritti sul décolleté e foto di sé oppure dell’ex senza veli: «Una sorta di vendetta per aver tagliato una relazione. È un fenomeno diffuso tra i ragazzi e colpisce nel 90% dei casi le donne. Non c’è da scherzare: il 47% delle vittime di gesti del genere ha avuto pensieri suicidi e quasi la metà ha subito episodi di stalking on line».
Una fotografia (ogni anno vengono pubblicate in Facebook centinaia di miliardi di immagini) può segnare un  destino:
«Se siamo alla ricerca di un lavoro, una foto sbagliata può mandare in fumo un colloquio. L’88% dei responsabili del personale usa i social network per indagare sui candidati prima di fissare un appuntamento; nel 55% dei casi vengono scartati a priori per i
contenuti trovati in rete. Quindi è meglio evitare di pubblicare foto di noi con un sorriso ebete e un boccale di birra in mano. Lo stesso vale per altri contenuti sconvenienti su politica e religione o che mostrano atteggiamenti aggressivi. Parafrasando Benjamin Franklin possiamo dire che ci vogliono molti sforzi per costruirsi una buona reputazione on line, ma basta una foto su
Facebook per distruggerla».
Una pratica decisamente da evitare è aggiungere troppi amici: «Accumularli come se fossero punti dell’Esselunga non ha molto senso, se pensiamo che lo scienziato Dunbar fissò a 150 il limite delle persone con cui un individuo è in grado di mantenere relazioni sociali stabili».
Per ultimo, se una persona «amica» vi infastidisce non fatevi scrupoli ad eliminarla dalla vostra cerchia. Meglio un amico in meno che una maggiore dose di stress da sopportare.

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