LinkedIn, cinque motivi per i quali dovresti chiedere le segnalazioni

All’evento di lancio della mia società Four S.r.l. ho raccontato che esistono tre modi infallibili per… far fallire il proprio profilo LinkedIn. Il terzo è non far emergere la tua bravura, l’autorevolezza, chiedendo delle segnalazioni. Gli altri due potete scoprirli vedendo il video:

Aggiungo altra carne al fuoco. I motivi per cui dovresti chiedere le segnalazioni, che in inglese si chiamano Recommendations (un tempo LinkedIn le chiamava “raccomandazioni” ma ha ben presto capito che in Italia la parola è devastante) sono addirittura cinque, secondo me.

  1. Il primo motivo l’ho già svelato, ma per i latini ripetere giova. Nell’era di Tripadvisor e Amazon, dove i clienti scelgono prodotti e servizi basandosi sulle recensioni dei pari (in ambito accademico si parla di “peer review”), parte del marketing delle aziende si basa ora sulla ricerca delle testimonianze. Deve essere così anche per i professionisti, che possono far leva sull’effetto psicologico del rinforzo sociale; noi umani in realtà siamo delle bestie, chi-più-chi-meno: scherzi a parte, siamo animali sociali e come tali preferiamo seguire il branco, la massa.
  2. Sempre in termini di personal branding, mi rifaccio all’ultimo libro di Robert Cialdini (mio guru, ho inserito il suo “Le armi delle persuasione” tra i dieci libri che mi hanno cambiato la vita). In “Presuasione”, del 2017, Cialdini spiega che per assicurarsi i vantaggi dell’attenzione canalizzata, la chiave è mantenere fisso il centro focale: basta coinvolgere le persone nella valutazione di un’azienda per indurle ad apprezzarla di più. Una tattica sempre più impiegata da vari operatori è infatti quella di chiedere un giudizio sui loro prodotti e servizi; ma solo su questi, mai citando la concorrenza. Ecco il perché di richieste apparentemente mirate solo a raccogliere dei dati per migliorare il servizio clienti; in realtà l’attività permette di concentrare l’attenzione sugli aspetti più favorevoli dei prodotti e servizi, a spese dei competitor. Capito l’antifona?
  3. Tutti noi stiamo sul mercato perché risolviamo un problema, altrimenti non si capisce perché qualcuno dovrebbe darci i suoi sghei, che dalle mie parti si chiamano dané. In pratica possiamo trasformare la testimonianza in un “case study” (meglio non usare l’espressione “case history”, che nel mondo anglosassone fa riferimento alle anamnesi) per dimostrare non solo che siamo bravi a risolvere i problemi, ma quali sono e come li affrontiamo. Per questo ci sono anche i progetti, in una sezione LinkedIn a sé, ma ti rimando al punto 1 per sottolineare il fatto che se sono altri a dire che siamo bravi, probabilmente siamo bravi davvero.
  4. Chiedere e dare segnalazioni è un ottimo modo per coltivare le relazioni. Visto che parliamo di social (ricordo che LinkedIn è un social media, strumento per pubblicare contenuti, ma è soprattutto un social network, un rete sociale) è d’obbligo coltivare al meglio i rapporti con i collegamenti, anche con quelli già acquisiti. La cosiddetta nurturing andrebbe alimentata con i contenuti, ma anche i contatti diretti non guastano, anzi.
  5. Conosci te stesso: l’iscrizione che si trovava sul tempio di Apollo è valida ancora oggi. Ma per conoscere noi stessi non basta solo un percorso introspettivo, dipendiamo dai feedback altrui. Se chiediamo a qualcuno di parlare di noi, questo potrebbe sorprenderci. Personalmente mi è capito di rimanere di sasso di fronte a quanto hanno scritto i miei segnalatori. Una volta, in particolare, mi è caduta la mascella. La responsabile marketing di una azienda con la quale lavoro da tempo ha scritto: “Gianluigi è una di quelle rare persone in grado far accadere le cose”. Insomma: il quinto motivo per cui dovresti chiedere una segnalazione è che hai già l’epitaffio pronto.

L’articolo su Digital4

Ho approfondito questo tema sul magazine per executive Digital4:

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