Che cosa sono i motori di ricerca semantici?

Google rappresenta lo stato dell’arte della ricerca online, non a caso ha sbaragliato la concorrenza. Ma da qui a dire che le ricerche siano perfette, ce ne corre. Anzi, possiamo chiaramente affermare che il meccanismo di ricerca è tutt’altro che “smart”, come si dice di questi tempi. Per interrogare l’oracolo Google dobbiamo usare parole chiave e codici ben precisi e i risultati non sono sempre pertinenti. Un grosso passo avanti può avvenire con i motori di ricerca semantici, vale a dire strumenti da interrogare con linguaggio naturale e che restituiscano risultati “ragionati”. Qualcuno prova ingenuamente a usare un linguaggio naturale con Google, scrivendo frasi articolate, ricche di punteggiatura e avverbi e altro, sostanzialmente perdendo tempo.

Il cosiddetto “Web semantico” (si parla di Web 3.0[1]) rappresenta il tentativo di aggiungere significato al Web, rendendo i contenuti comprensibili anche alle macchine, che devono quindi non solo contare le occorrenze, ma comprendere i significati, i contesti. Ragionare come (dovremmo fare) noi. Come? Grazie ai metadati: dati, come etichette, che descrivono altri dati. Un esempio in tal senso è Graph Search, il motore di ricerca di Facebook che permetterà un’interazione colloquiale: potremo chiedere di mostrare le “foto scattate dai miei amici a New York” per ottenere esattamente ciò che vogliamo, e che attualmente non potrebbe darci Google, perché non sa (ancora) quali sono i nostri amici.

Google, in realtà, è già più avanti di quanto pensiamo. Nel 2012 ha introdotto Knowledge Graph[2] (grafo della conoscenza), un sistema per associare parole e oggetti in modo da ottenere una ricerca più completa e coerente. In concreto, accanto ai risultati tradizionali della parte centrale della pagina di Google, sulla destra appaiono informazioni pertinenti all’oggetto della ricerca: a Leonardo Da Vinci sono associate anche le sue opere, altri artisti, il luogo di nascita e di morte e così via.

Un progetto interessante è quello di Wolfram Alpha, definito dal creatore – lo scienziato e matematico britannico Stephen Wolfram – come un “motore computazionale di conoscenza”: interpreta le parole chiave inserite dall’utente e propone direttamente una risposta, invece che offrire una lista di collegamenti ad altri siti come fa Google. L’era dell’intelligenza artificiale, di macchine che superino il mitico test di Turing[3], si sta avvicinando[4].

Questo paragrafo è tratto da “Il guru di Google”. Puoi acquistarlo su Amazon:

[1] Rudy Bandiera, Rischi e opportunità del Web 3.0 e delle tecnologie che lo compongono, Dario Flaccovio Editore

[2] www.google.com/insidesearch/features/search/knowledge.html

[3] Alan M. Turing, Computing machinery and intelligence, in Mind (1950)

[4] In realtà, nell’era dell’Internet of things, esistono già esempi di macchine, intese proprio come automobili, che funzionano senza l’intervento umano. Proprio Google ha lanciato il progetto di una “self driving car”: http://googleitalia.blogspot.it/2014/05/basta-premere-avvio-il-progetto-di-un.html

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