Spacco tutto!
[attenzione: articolo del 2005]
Sapevate che esiste un movimento contro l’eccesso di tecnologia digitale nelle nostre vite? Scopriamo cosa pensano e cosa vogliono i cosiddetti “nuovi luddisti”.
Avete mai sentito l’espressione “digital divide”? Esprime il divario di disponibilità e di capacità d’uso delle tecnologie digitali, tra due o più gruppi di persone. E in un mondo sempre più ”connesso”, se pur ha ancora senso parlare di dicotomia Nord-Sud, e contrapporre il mondo industrializzato al Terzo mondo e i paesi ricchi a quelli poveri,,acquista importanza considerare anche le differenze tra chi ha accesso all’informazione e alle nuove tecnologie, e chi invece non ce l’ha. I primi sono detti “have” (dal verbo inglese avere), i secondi “have not”.
Da qualche tempo, però, si sta formando una terza categoria di persone: quelle che fanno parte degli “have”, ovvero che potrebbero utilizzare la tecnologia, ma non ne vogliono proprio sapere. Si parla, in questo caso, di “Would not” (would è il condizionale di volere).
Che senso ha?, vi starete chiedendo. In particolare, dove sta il problema? Cosa vogliono, queste persone? Perché hanno tanto paura della tecnologia? Che male possono fare il cellulare, il computer, un navigatore satellitare? Del resto, si potrebbe obiettare, esiste pur sempre un tasto OFF in ogni dispositivo elettronico; basta premerlo, no? Beh, non è proprio così.
I neo-luddisti
Secondo molti studiosi, filosofi, sociologi, letterari e compagnia bella, lo sviluppo tecnologico non è solo portatore di progresso, di un miglioramento della qualità della vita, di benefici all’umanità… “Bella scoperta -direte voi – siamo d’accordo!” (basterebbe vedere l’uso dell’automobile quali danni ecologici comporti)… ma, in pratica, allora, di cosa hanno paura i tecnofobi? Prima di tutto, i critici dei nuovi dispositivi tecnologici pongono l’accento sulla questione privacy. Come dar loro torto? Basti citare i cookie, gli spyware per quanto concerne le nostre scorribande sul Web, o il fatto che la registrazione a qualsiasi servizio (posta elettronica, newsgroup, forum e così via) equivalga a un’emorragia di dati personali che vagano, chissà dove, on-line. Alcuni parlano anche di una nuova forma di schiavitù: la dipendenza dalla Rete ( chi ne soffre è un “net slave”, in gergo). Voi, per esempio, quanto tempo riuscite a stare senza controllare la posta elettronica?
Che dire poi del fatto che tener acceso un telefono cellulare significa far conoscere a terzi la propria posizione sul pianeta terra? Per non parlare, poi, delle tecnologie RFID e dei chip che, prima o poi, qualcuno vorrà impiantarci sotto l’epidermide, per controllarci.
Altro piatto forte delle argomentazioni neo-luddiste è il sovraccarico di informazioni. Che senso ha avere accesso a milioni, miliardi di informazioni se non si ha poi la possibilità di assimilarle, studiarle, capirle, ma soprattutto se non si ha la certezza che quelle informazioni siano vere? Prendete Internet, per esempio. Fate una ricerca, una qualsiasi. Per ogni argomento, ormai, ci sono migliaia di fonti, ma quali sono attendibili? Chiunque on-line può scrivere verità inconfutabili, così come enormi panzane. In generale, le informazioni che ci bombardano quotidianamente sono obiettivamente troppe: chi ha il tempo di leggere, vedere, ascoltare tutto quello che gli passa per le mani o davanti agli occhi?
Michele Serra, tempo fa, scriveva in un pezzo dal titolo “E ora però trovatemi il tempo” (La Repubblica – 11 aprile 1997): “Se oltre a Internet, ai mille tra vecchi LP e vecchi CD che possiedo (e quando mai riuscirò a riascoltare quelli che vorrei?), alle centinaia di videocassette ancora incellofanate, alla radio, all’autoradio, alla televisione, mi metto in casa anche un maledetto affare che per ascoltarlo tutto mi tocca sperare su un’influenza con febbre o qualche altro coccolone: non diventerò per caso uno che vive nella (vana, vanissima) rincorsa al godimento di un possesso ingodibile, perciò non posseduto? Un frustrato, insomma, cui tocca prendere per la coda l’acidissima profezia di Ned Ludd, visto che la tecnologia ci ha sì liberati dalla fatica, ma adesso rischia di imprigionarci al consumo?”.
Già, il consumismo: fenomeno che trae dai nuovi gadget tecnologici sempre maggiore linfa vitale. Ricapitolando: troppe informazioni e troppo poco tempo per assimilarle. E fin qui, sfidiamo chiunque a non condividere, almeno in parte, le preoccupazioni dei tecnofobi.
La deriva fantascientifica
Il problema è che, come spesso accade quando si parla di movimenti di critica radicale, le derive apocalittiche sono sempre un rischio concreto. Ora che le vecchie fobie catastrofiche sono “scadute”, o meno attuali (per esempio, la trasformazione della guerra fredda in guerra calda, caldissima… nucleare) le paure collettive si sono rinnovate, sono al passo coi tempi: terrorismo ed ecodisastri su tutti. Ecco quindi che i tecnofobi pongono l’accento sulle mostruose biotecnologie, sui famigerati OGM (Organismi Geneticamente Modificati). Argomenti in auge grazie anche ai movimenti “no global”. Nulla da eccepire: l’informazione e la critica non fanno male a nessuno. Ma quando ci si immagina un futuro post-umano e tecno-eugenico, uno scenario in cui i robot scalzano gli esseri umani (specie prossima all’estinzione), il rischio di una deriva fantascientifica (di grande impatto, ma di scarso fondamento) è dietro l’angolo. Con buona pace dei vari Asimov, Dick e compagnia bella, autori consapevoli del fatto che le loro trovate erano, comunque, “fiction”.
Cosa fare?
Come si diventa allora un “would-not”? Che cosa fa, in pratica, un neo-luddista? Prima di tutto, cosa che dovremmo fare tutti, e sempre, egli si pone delle domande, alimenta dubbi, ha un sano atteggiamento critico. Domanda numero uno: “Tutto questo hi-tech ci è utile?”. La risposta, chiaramente, è no. È per questo che i movimenti tecnofobi non vogliono proporre una soluzione radicale al problema; non invitano le persone ad abbandonare la società civilizzata per diventare eremiti, proponendo un primordiale ritorno a Madre Natura. Danno dei semplici consigli. Per esempio? Se non serve comunicare, spegnete il telefono. Se proprio occorre vivere on-line, almeno sfruttate le possibilità offerte dalla Rete: non createvi una sola identità, ma tante diverse personalità digitali. In pratica, non usate sempre gli stessi dati (nome utente e parole d’ordine) ma inventatene sempre di nuovi. Questi sono consigli validi sempre, e per tutti. Chiaramente i neo-luddisti non si limitano a questo. Cosa vogliono, quindi? Anzitutto, ovviamente, il movimento anti-tecnologico vuole organizzarsi, per avere peso, forza, per essere una sorta di lobby.
Secondo obiettivo: in inglese è chiamato “Precautionary principle” (letteralmente è il principio precauzionale) ovvero l’idea che un nuovo sviluppo tecnologico o scientifico debba dimostrare di non avere un impatto negativo, prima di essere utilizzato. Insomma: le nuove tecnologie non sono da scartare a priori, a patto che non siano nocive.
Per molti aspetti poi, le critiche dei neo-luddisti si sovrappongono a quelle dei no global: critica dell’eccessivo potere delle corporation e, quindi, del processo di integrazione economica mondiale.
Tutti a rischio
Vi è capitato di inviare un’e-mail al vicino di scrivania invece di girare la testa e parlargli. Vi perdete costantemente per le strade della vostra città, quando il navigatore satellitare è fuori uso. Perdete i contatti con i vostri amici quando non avete accesso a ICQ o agli altri programma mi messaggistica istantanea. Scrivete la parole con le “K” al posto delle “C”.
Se ricadete almeno in una di queste categorie, fate attenzione: la tecnologia ha effetto sulla vostra vita più di quanto pensiate. Prima di arrivare al limite e, per reazione, diventare “tecno-luddisti” e rifiutare anche solo di vedere qualsiasi oggetto che contenga un chip, datevi una regolata. Possibilmente off-line.
I tecno-realisti
Gli atteggiamenti nei confronti delle nuove tecnologie non sono solamente positivi (tecno-entusiasti o tecno-utopisti) o negativi (tecnofobi); “apocalittici o integrati” (per dirla con Umberto Eco…). Esiste una terza corrente: quella dei tecno-realisti. Si tratta di un movimento intellettuale vero e proprio, nato sulla East Coast americana, che ha persino stilato una sorta di manifesto. Primi firmatari sono stati David Shenk, Steven Johnson, Andrew Shapiro e altri santoni della cosiddetta “Net Generation”. Citiamo uno dei punti cardine del loro pensiero: Internet è un mezzo rivoluzionario, ma non utopico. In pratica non è la panacea di tutti i mali; anzi, è portatrice di effetti perversi. È per questo che, per fare un esempio, l’istruzione a distanza può supportare, ma non sostituire, l’insegnamento tradizionale.
Per svago
Quando negli anni Novanta ci fu il boom di Internet, e in particolare si cominciò a parlare insistentemente di realtà virtuale, molti autori diedero alle stampe pubblicazioni inequivocabilmente neo-luddiste. Moltissimi sono anche i saggi, di carattere sociologico e non, che riguardano l’argomento. In questa sede, però, non vorremmo essere troppo pedanti, proponendovi “mattoni” indigeribili. Meglio affrontare l’argomento coniugando l’approfondimento con un po’ di svago. Ovviamente, le tematiche tecno-fobiche non potevano essere estranee alla letteratura fantascientifica. È per questo che vi consigliamo la lettura dei testi di uno dei padri del cyberpunk, Bruce Sterling. Da leggere anche “Preda” di Michael Crichton, un thriller che ha per oggetto le nano-tecnologie. Se invece di leggere, preferite vedere un film, consigliamo “The Net”, con Sandra Bullock; il film che, tra le altre cose, pone l’accento sul pericolo dell’Identity theft. Alcuni altri titoli cinematografici in tema: “Nemico pubblico” con Will Smith, “Gattaca” con Uma Thurman, “Sliver” con Sharon Stone, “Atto di forza” con Arnold Schwarzenegger (tratto da un racconto di Philip K. Dick), “Se mi lasci, ti cancello” con Jim Carrey e Kate Winslet e il recentissimo “Final cut” con Robin Williams.
Contro la net-dipendenza
Credete che quello che abbiamo raccontato in queste pagine sia solamente la solita esagerazione degli americani? E invece no: anche in Italia abbiamo i nostri neo-luddisti. I quali, paradossalmente, hanno anche un sito Web: www.netdipendenza.it. Vi trovate articoli, dossier, proposte (vacanze per net-stressati) realizzati da chi si è stufato di tutta la tecnologia che ci circonda.
Cosa significa “luddismo”?
All’inizio del diciannovesimo secolo, allo scoppio della Rivoluzione industriale, si affermò in Inghilterra un movimento che lottò contro l’introduzione delle macchine, simbolo della minaccia alla loro esistenza e della distruzione del loro modo di vivere. Questo movimento fu chiamato luddista, perché prese il nome da Ned Ludd, che nel 1779 distrusse un telaio in segno di protesta. Da allora il termine luddista sta a indicare una persona che ha paura dell’innovazione tecnologica.
Trovate altre informazioni sull’enciclopedia on-line http://it.wikipedia.org/wiki/Luddismo.
I tecno-stressati
Secondo una recente indagine, tre quarti degli utenti di computer hanno confessato di prendere regolarmente a male parole la loro macchina, e un quarto dei più giovani (under 25) di averle anche dato qualche calcio, o scappellotto. Tanto che si parla di “Computer rage” (rabbia contro il PC), fenomeno sempre più preso sul serio dagli psicologi. Chi mastica l’inglese, può trovare molto interessante la raccolta di articoli, saggi e filmati del sito Web www.lap.umd.edu/computer_rage.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Fornisci il tuo contributo!