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5 app usate dagli adolescenti [dicembre 2021]

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Da molto tempo giro per le scuole, soprattutto le classi della secondaria di primo grado (le “medie”) per tenere incontri sull’uso consapevole della tecnologia. Negli ultimi anni ho chiesto quali applicazioni, soprattutto social e di messaggistica, usano i ragazzi. Qualche tempo fa, a inizio 2020, avevo realizzato questo video per parlare di 15 app diffuse tra gli adolescenti:

Ora, dopo quasi due anni, quell’elenco va aggiornato.

A inizio dicembre 2021 ho chiesto in due scuole diverse di elencare le app che gli studenti hanno provato negli ultimi mesi. Ecco cinque nomi che sono saltati fuori (escludendo quel PH, che sta per Pornhub, e OnlyFans… nonché Houseparty, ormai chiuso).

Likee

Quando abbiamo imparato a comprendere TikTok, sono arrivate le alternative. Likee è un’app per la creazione e la condivisione di brevi video, disponibile per i sistemi operativi iOS e Android. È di proprietà della società tecnologica di Singapore BIGO Technology.

Un’alternativa a Likee, e quindi a TikTok, è anche Zoomerang.

CapCut

CapCut è un’app di editing video, usata dai ragazzi in alternativa ad app più note come, per esempio, InShot.

Roblox

Roblox è un videogioco di genere MMO: massively multiplayer online game. È un gioco online in grado di supportare centinaia o migliaia di giocatori contemporaneamente. Nel gioco, secondo Wikipedia, si possono creare i propri mondi virtuali, dove si può scegliere chi far entrare, si può socializzare con altri utenti e creare il proprio mondo.

App di vestiti

Molte ragazze hanno segnalato di usare diverse app che riguardano l’outfit. Ecco le quattro più citate:

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15 app usate dagli adolescenti (aggiornamento: gennaio 2020)

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L’idea di creare questa presentazione (e questo video), a corredo dei miei corsi sui pericoli della Rete, è nata dopo aver scritto l’articolo “Le app amate dagli adolescenti (e che gli adulti non conoscono)” per Agenda Digitale.

Vi sono elencate 15 app che usano gli adolescenti dell’inizio 2020. Da quelle un po’ più note, come ThisCrush e Twich, a quelle più oscure, come Omegle e Lipsi. Ecco il video con slide e commento:

Per approfondimenti per anche seguire il mio podcast Genitorialità e tecnologia.

Le app amate dagli adolescenti (il mio articolo per Agenda digitale)

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Questo articolo è stato pubblicato su Agenda Digitale l’8 gennaio 2020.

Le app amate dagli adolescenti (e che gli adulti non conoscono)

Anche se quando si parla di app di successo tra gli adolescenti si pensa ai vari Instagram e TikTok, i ragazzi sono già passati oltre, su altri luoghi virtuali. E non sempre c’è da star tranquilli. Ecco le app che vanno per la maggiore tra i giovanissimi.

Da anni tengo corsi sull’uso consapevole della tecnologia nelle scuole di mezza Italia e ultimamente mi sono imposto di raccogliere informazioni sulle app che usano gli adolescenti.

I media parlano sempre e solo di Instagram e TikTok, oltre che dello scontato WhatsApp, ma sospettavo che i ragazzi stessero già andando (anche) altrove. Un po’ come quando ho fatto uscire una puntata su Fortnite e molti ragazzi si erano già spostati su Apex Legends.
I ragazzi, adolescenti ma anche pre-adolescenti, spesso frequentano luoghi virtuali pericolosi. Tra le tante app citate dal centinaio di ragazzi monzesi che ho interpellato nelle ultime due settimane, una decina mi ha particolarmente colpito. Anche perché, lo ammetto, alcune non le avevo mai sentite nominare.

Premetto che non tutte sono app di successo al pari di Instagram, ma certo iniziano a circolare.

Eccole.

ThisCrush

Questo social network, che spesso vedo linkato nelle “bio” di Instagram (la presentazione pubblica, unico luogo di Instagram dove inserire un link cliccabile), ha la particolarità di consentire invio e ricezione di messaggi anonimi. Del resto nasce per confessare una “cotta” (crush). Anonimato e messaggi non vanno d’accordo e il pericolo cyberbullismo è alto: il Messaggero ha raccontato, qualche settimana fa, che a seguito di una serie di offese anonime apparse su ThisCrush una tredicenne si è tolta la vita gettandosi dal nono piano della sua abitazione in zona Aurelio, a due passi dal Vaticano.

Tellonym

Anche Tellonym (il nome richiamo l’anonimato ma anche la frase inglese “tell on him”), al pari di ThisCrush e sulla scia del successo di Ask.fm degli anni passati, è un social network che permette di ricevere domande in forma anonima (in gergo “tells”). Cito una delle recensioni su Play Store: “Molto bello ma potrebbero segnalare subito gli insulti pk dietro ad uno schermo c’è una persona che ci rimane male”.
Altre due alternative per ricevere domande anonime sono F3 Yolo.

Omegle

Il claim di questa app (che si pronuncia “omigol”) è inquietante, se pensiamo ai nostri figli: “talk to strangers”, parla con sconosciuti. Non serve nemmeno registrarsi per comunicare uno a uno. L’Arena racconta di una ragazza che, adescata su Omegle, è stata costretta a infliggersi dei lividi e spedire foto.
Un’alternativa è Azar, una “random chat” che ricorda la famigerata Chatroulette di qualche tempo fa.

Discord

Free Voice and Text Chat for Gamers”: serve agli oltre 250 milioni di videogiocatori iscritti per parlare e messaggiare tra loro, tant’è che qualcuno la definisce “la Slack dei videogiocatori” (Slack è un’app di collaborazione aziendale). Come racconta La Repubblica, un anno fa Ninja, il campione di Fortnite, ha spiegato durante una diretta al rapper Drake come usare Discord durante una sessione del battle royale di Epic Games: questi influencer possono spostare milioni di gamers.
Discord si presenta come alternativa a TeamSpeak.

Twitch

Piattaforma di live streaming di proprietà di Amazon dal 2014, consente ai ragazzi di seguire sessioni di gioco (e di eSport) altrui. In gergo, permette di quindi di “streammare” le partite. Da qualche tempo Twitch ha introdotto diverse funzioni che lo rendono simile a un social network: come evidenzia Libero, la possibilità di inviare messaggi privati ad altri utenti o Pulse, una sorta di timeline alla Facebook.

Un’alternativa è Mixer.

21 Bottons

Definito il “social network della moda” oppure “fashion app”, 21 Buttons permette di pubblicare i propri outfit e ispirarsi scorrendo quelli altrui. Prevede l’e-commerce: i tag sugli abiti rimandano direttamente agli acquisti. In Italia dal 2017, 21 Buttons ha fatto il boom di iscritti, attratti anche da influencer come Chiara NastiAlice Campello e Giulia Gaudino.

Amino

Amino è un’app social pensata per riunire persone con gli stessi interessi su svariati argomenti, come vent’anni fa si faceva con i newsgroup. Inizialmente ospitava discussioni su anime, manga, cosplay e giochi, ora si parla di tutto: da Minecraft a Harry Potter, ma anche di problemi adolescenziali.

Funimate

Video editor con molti effetti speciali, in pratica Funimate è un’alternativa a TikTok: del resto anche questa viene definita un’app dove è possibile fare il lip-synk (muovere le labbra simulando di cantare una canzone famosa o recitare una celebre scena di un film, come in un play-back).
Altre due app usate per fare video sono Triller e Zoomerang.

Picsart

Picsart è un editor di foto, usato 60 milioni di utenti ogni mese, che consente di applicare moltissimi effetti: uno dei più popolari, ultimamente, è Sketch, perché consente di trasformare la propria immagine in un disegno. Le immagini ritoccate possono essere condivise come in qualsiasi social media.
Altra app del genere, molto apprezzata dai ragazzi (e non solo), è VSCO.

Zepeto

Zepeto, app sugli scudi un annetto fa (nel novembre 2018 è stata la più scaricata in Italia), è social network dove non interagiscono direttamente i ragazzi, ma i loro avatar (creati a partire da selfie), le cui foto spesso finiscono su Instagram. Ricorda per alcuni versi Second Life, in attesa del debutto dell’Horizon di Facebook.

 

Selfie e identità: 4 cose che i genitori devono sapere

Questo articolo è stato pubblicato su Mamamò, a questo indirizzo.

In un recente articolo sul perché i ragazzi amano tanto i social, in cui sottolineavo il fatto che partecipare, confrontarsi con gli altri online e ricevere dei feedback positivi sia un loro bisogno, parlavo anche di selfie, come strumento per definire la propria identità e accrescere l’autostima. L’occasione per approfondire questo tema viene dalla lettura del libro Selfie. Narcisismo e identità di Giuseppe Riva.

Il libro di Riva, breve ma intenso, dà molti spunti. Ecco le quattro cose che un genitore deve sapere sui selfie.

Selfie: iniziamo dal nome

Selfie è il diminutivo di self-portrait, autoritratto, autoscatto tipicamente fatto con uno smartphone o una Webcam e condiviso sui social. Pare che il termine si sia diffuso a inizio secolo, come hashtag, sulla piattaforma di condivisione di foto Flickr. L’esplosione si è avuta nel 2010 quando si diffusero i primi smartphone con fotocamera anteriore. Fino a diventare, nel 2013, la parola dell’anno dell’Oxford Dictionary. C’è anche una pagina dedicata sul sito dell’Accademia della Crusca, dove  si scopre che ormai è ufficiale l’uso al maschile e che esistono anche delle varianti: Delphie è il selfie mentre si guida, Welfie in palestra, Belfie del “lato b”.

La storia del termine o della tecnologia contano poco. Quello che conta è la data, 3 marzo 2014: durante la notte degli Oscar Ellen Degeneres scatta il selfie più condiviso della storia. Nello scatto si vedono diverse star come Meryl Streep, Jared Leto, Julia Roberts, Brad Pitt, Angelina Jolie, Kevin Spacey e altri. Era una trovata pubblicitaria di Samsung ma in quel momento il selfie è diventato un comportamento socialmente desiderabile: se lo fanno anche i personaggi famosi… Seguiranno altri selfie VIP come quelli del papa o di Totti durante un derby.

Narcisismo, malattia dei nostri anni

Ivan Cotroneo ha scritto:

Se negli ultimi 30 anni la malattia da curare era la depressione, per i prossimi sarà il narcisismo”.

Siamo tutti narcisisti?

Riva riprende il mito di Narciso per fare delle precisazioni. Nel mito il protagonista non cerca la propria immagine ma la subisce, invece il selfie è sempre un atto intenzionale, con il preciso scopo di condividere. Per Riva chi fa un selfie non è necessariamente un narcisista (ma certamente un narcisista si fa molti selfie).

Ma allora perché scattiamo i selfie? È una questione di definizione dell’identità. La nostra soggettività ha due facce: IO, come mi vedo da dentro (sé personale), e ME, come mi vedo e come mi vedono da fuori (sé sociale). Per chi sta ancora definendo la propria identità, come i preadolescenti, lo smartphone e i social permettono di entrare in contatto con il proprio ME. Definiscono la propria identità, anche nel confronto con gli altri. In questo contesto, i selfie stanno diventando uno degli strumenti più utilizzati dai ragazzi per definire ciò che sono e che vorrebbero diventare. Allo stesso tempo i social permettono di verificare la posizione degli altri e confrontarla con la propria per decidere chi si è e chi si vuole essere.

I tre paradossi dei selfie

Utili per definire la propria identità, i selfie però si portano appresso tre paradossi.

  • Primo paradosso: se i selfie sono un modo efficace per mostrarsi e raccontarsi agli altri, allo stesso tempo non sono in grado di rappresentarci in maniera completa. Anzi assumono vita propria, continuando a raccontarci nello stesso modo anche quando siamo cambiati (quella foto sbagliata alla festa ci può perseguitare).
  • Secondo paradosso: se attraverso i selfie possiamo modificare fugacemente la nostra identità sociale, è però vero che i nostri selfie possono anche essere utilizzati da altri per modificarla anche se non lo vogliamo (vedi l’uso ricattatorio del sexting).
  • Terzo paradosso: se attraverso i selfie possiamo scegliere quali caratteristiche sottolineare della nostra identità sociale all’interno delle diverse reti che frequentiamo, tutti i frammenti possono essere rimessi insieme per individuare la nostra vera identità (vedi i ragazzi che passano la prima selezione del personale per un buon CV o un preciso profilo LinkedIn ma poi vengono scartati per le foto che condividono su Facebook e Instagram).

I numeri dei selfie degli adolescenti

Veniamo infine ai numeri: Riva cita diverse ricerche sul tema selfie. In particolare mi ha colpito una ricerca dell’Osservatorio sulle tendenze e comportamenti degli adolescenti su 7000 ragazzi tra i 13 e i 18 anni. Ci dà un’esatta dimensione del fenomeno selfie.

I ragazzi si scattano una media fra i 3 e gli 8 selfie al giorno, con punte di 100!

Il 31% degli adolescenti si fa i selfie per ricordo, l’11% per noia e l’8,5% per ridere. Il 15,5% condivide tutti i selfie sui social e WhatsApp, soprattutto le ragazze. Un adolescente su 10 fa selfie pericolosi in cui mette potenzialmente a repentaglio la propria vita, soprattutto i maschi (purtroppo esiste anche il fenomeno del killfie: il selfie letale).

Un’altra ricerca su 150 giovani, proprio di Riva per l’Università Cattolica e la fondazione IBSA, approfondisce il tema della relazione tra tratti della personalità e selfie. Ci sono i ragazzi estroversi e quelli coscienziosi. I primi usano i selfie per mostrarsi (fino ad arrivare all’oggettivazione del proprio corpo, usato come strumento per piacere), in particolare le donne sono molto sensibili ai commenti che i selfie scatenano sui social. Chi è coscienzioso usa i selfie in maniera più strategica per trasmettere una specifica immagine di sé, ed è meno interessato ai commenti degli altri, positivi o negativi che siano.

Ascolta la puntata del mio podcast “Genitorialità e tecnologia” sui selfie

Ascolta “1×10 I selfie: 4 cose che i genitori devono sapere” su Spreaker.