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La ChatGPT-mania su LinkedIn: il mio articolo per Agenda Digitale

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Ho scritto questo articolo per Agenda Digitale, ed è stato pubblicato il 20 febbraio 2023.

Da ChatGPT “consultant” o “evangelist” comparsi a pochi giorni dal lancio ai tanti iscritti che si fanno aiutare a descrivere la loro storia professionale o la posizione lavorativa o, ancora, a realizzare post o articoli per il proprio profilo. Insomma, l’AI di OpenAI spopola anche sul social dei professionisti.

a quando è stato presentato al mondo il 30 novembre 2022 ChatGPT, lo strumento di generazione di contenuti tramite intelligenza artificiale più potente mai visto, ha invaso le bacheche social. Facebook, Twitter, YouTube, TikTok: ogni social è stato inondato di contenuti su cos’è ChatGPT, come si usa, quali limiti ha, quanto è intelligente, quanto è stupido e così via. Ma c’è anche un altro social, quello professionale per eccellenza, invaso da riferimenti al nuovo fenomeno: LinkedIn.

ChatGPT: 10 cose da sapere per iniziare a utilizzarlo

I nuovi ruoli

Ci sono professionisti molto svegli, bravissimi a intercettare quello che il mercato vuole in tempo reale, dimostrando capacità di adattamento ultra-darwiniste. Per esempio, durante il lockdown, a porte ancora chiuse, su LinkedIn spuntavano “Covid manager” come funghi. Subito dopo, gli “Smart working facilitator”. Per non dire dell’hype sul metaverso di fine 2021: all’improvviso erano tutti esperti di ambienti virtuali, Decentraland, Roblox, blockchain e criptovalute varie.

Sta succedendo la stessa cosa con l’intelligenza artificiale generativa, con ChatGPT in particolare. L’inglese William, a pochi giorni dal lancio dello strumento, si presentava già così:

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Il ruolo è chiaramente generico, quindi William specifica meglio quello che offre nella sezione Informazioni: consulenza personalizzata, affiancamento per automatizzare i processi, aiuto per la customer care e interpretazione dei dati. Nonostante il ruolo fresco, tranquillizza: è anni che si occupa di data analysis e machine learning.

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Abbiamo anche l’evangelist di ChatGPT:

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Sono già partiti i corsi (compresi i miei!):

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Lo storytelling automatico

ChatGPT, come visto, può essere un valido alleato per la stesura della propria storia professionale. È possibile dargli in pasto un intero CV e chiedergli di scrivere una presentazione di qualche riga, decidendo anche il tono (professionale, amichevole, eccetera), raccomandandosi di usare le keyword giuste.

C’è qualcuno, molto pigro, che ha esagerato. Questo utente, per esempio, dice di aver chiesto a ChatGPT che cosa fa un “digital experience manager”. La risposta gli è piaciuta e l’ha copia-incollata così com’è, limitandosi ad aggiungere un “è quello che faccio io in parole spicciole”.

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Quello appena visto non è certamente un caso isolato:

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Ci si può far scrivere anche la descrizione della posizione lavorativa, dichiarandolo:

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ChatGPT fa bella mostra tra le competenze:

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I contenuti

La parte più difficile della gestione di un profilo LinkedIn non è il posizionamento né il networking, bensì alimentare la macchina dei contenuti. Sia a livello di strategia editoriale che di realizzazione dei post e articoli. C’è chi, come Rob, aiuta i professionisti a farsi aiutare dall’intelligenza artificiale proprio nella comunicazione su LinkedIn.

Uno tsunami. Sono moltissimi i contenuti che riguardano il tema:

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Tanti utente mostrano esempi d’uso, per esempio screenshot di conversazioni (o video) con il chatbot. Alcuni per ridicolizzare un’intelligenza artificiale non troppo intelligente:

Moltissimi spiegano come usarlo al meglio:

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In generale va fortissimo anche l’hashtag #ChatGPT, molto seguito e ancor più utilizzato:

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Consigli per l’uso del tema su LinkedIn

Al momento l’hype è enorme, ma siamo solo all’inizio (chissà quando arriverà GPT4…). Ecco tre consigli per gestire il tema su LinkedIn al meglio:

  • Non inserire la keyword “ChatGPT” nel profilo solo per cavalcare l’onda, se non si possiedono solide conoscenze riguardo i temi AI, machine learning e affini.
  • Dare un contributo originale. L’ennesimo post su cosa sia ChatGPT non ha più senso ormai dal Natale del 2022. Usi creativi (nuovi prompt), soprattutto se testati personalmente e con risultati rilevanti, sono invece ben accetti.
  • Su LinkedIn vanno forte i post con un punto di vista personale, ma occorre evitare la polarizzazione luddismo-tecnofilia. Gridare alla fine o alla salvezza dell’umanità fa scena, fa discutere (e l’algoritmo di LinkedIn premia i post con commenti), in generale funziona, ma spesso espone al rischio di fare figuracce. Uno sguardo equilibrato sulle opportunità e preoccupazioni del proprio settore risultano interessanti. Per esempio, un insegnante potrebbe parlare della minaccia dell’uso da parte dei ragazzi (temi generati dal bot e difficili da smascherare con “AI detector”, figuriamoci con gli anti-plagio) ma anche dell’opportunità di usare ChatGPT nella didattica. I ragazzi potrebbero simulare la conversazione con Socrate o con un recruiter. Gli insegnanti potrebbero chiedere all’algoritmo di elaborare testi per generare test da sottoporre agli studenti. Si potrebbe proporre l’integrazione con strumenti come MidJourney per creare contenuti e così via.

Come ChatGPT può aiutare su LinkedIn

Ci sono già molti iscritti a LinkedIn che si stanno facendo aiutare da ChatGPT per queste incombenze.

  • Generazione di contenuti: ChatGPT può essere utilizzato per generare testi accattivanti per descrivere le esperienze professionali, le competenze e i traguardi raggiunti (per esempio i progetti, sezione LinkedIn spesso sottovalutata), in modo da allettare recruiter e potenziali clienti. Risulta particolarmente utile per completare la sezione Informazioni con la propria storia lavorativa.
  • SEO: ChatGPT può essere utilizzato per identificare le parole chiave più appropriate per descrivere le esperienze professionali e le competenze, in modo da aumentare la visibilità del profilo sui motori di ricerca (interno e Google). In questo video mostro come ricavare delle keyword per diversi tipi di professione.

Come trovare le keyword per CV e profilo LinkedIn con Chat-GPT

  • Generazione di post: ChatGPT può essere utilizzato per generare post accattivanti da condividere su LinkedIn, in modo da aumentare l’engagement dei contatti e migliorare la visibilità del profilo. Post completi, con tanto di aggancio accattivante, hashtag, call to action e così via.
  • Analisi SWOT: ChatGPT può essere utilizzato per eseguire un’analisi del profilo LinkedIn, identificando punti di forza, debolezze, opportunità e minacce, in modo da individuare le aree da migliorare e sfruttare le opportunità dello strumento LinkedIn. Si può chiedergli anche di fare una SWOT del CV.
  • Stesura di referenze. Spesso non si sa come elogiare il lavoro di un collega o di un fornitore: si può addestrare il chatbot per elogiare un professionista a partire da un testo prelevato dal suo profilo LinkedIn.
  • Generazione di risposte ai commenti: così come ChatGPT risponde in modo pertinente alle email a partire da quanto scritto dal mittente (grazie all’estensione ChatGPT Writer), può essere utilizzato anche per generare risposte ai commenti sui post LinkedIn.

Conclusioni

In realtà il limite è la fantasia. Se si chiede a ChatGPT come può aiutare un professionista su LinkedIn, arriva anche a dirti che potrebbe aiutare a studiare strategie di networking, tattiche per trovare lavoro, ideazione di piani di crescita professionale o di personal branding e molto altro ancora. Basta chiedere all’oracolo di OpenAI.

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LinkedIn: quattro azioni per migliorare subito il tuo social selling [articolo per Agenda Digitale]

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[Questo articolo è stato pubblicato su Agenda Digitale il 6 febbraio 2020]

Il Social Selling Index (SSI) misura l’efficacia a stabilire il tuo brand professionale, trovare le persone giuste, interagire con informazioni rilevanti e costruire relazioni. Ecco quattro operazioni da mettere in campo subito per migliorarne i parametri

LinkedIn è il social network ideale per fare social selling. Peccato che molti fraintendano: pensano che fare social selling significhi vendere con i social. Sbagliato: al limite quello sarebbe “social commerce”. Che cos’è davvero il social selling lo dice LinkedIn, grazie al social selling index.

Che cos’è il social selling index?

“Il Social Selling Index (SSI) misura l’efficacia a stabilire il tuo brand professionale, trovare le persone giuste, interagire con informazioni rilevanti e costruire relazioni”: parola di LinkedIn.

L’indice SSI – brillante esempio di gamification – viene calcolato automaticamente (e quotidianamente) da LinkedIn stesso. Il problema è che questo valore, espresso in centesimi, non si trova tra le opzioni del social, né della app: per scoprirlo occorre fare clic su questo link (e bisogna essere “loggati” al proprio profilo LinkedIn): social selling index.

D:DropboxVideoAgosto 2019socialsellingindex.jpg

Che cosa calcola il social selling index?

Il valore, espresso in centesimi, del social selling index prende in considerazione quattro parametri:

  • Creare il brand professionale
  • Trovare le persone giuste
  • Interagire con informazioni rilevanti
  • Costruire relazioni

LinkedIn mostra anche il social selling index medio della tua rete e del tuo settore.

Tutto molto interessante, ma in pratica? Ecco quattro operazioni che puoi mettere in campo subito per migliorare questi quattro parametri, e quindi il tuo social selling.

Creare il brand professionale

Per lavorare sul proprio personal branding su LinkedIn, a mio avviso, occorre metodo. Per questo, e scusa il gioco di parole, ne ho creato uno: il metodo LinkedIn10C:

https://www.gianluigibonanomi.com/wp-content/uploads/2019/02/metodo_linkedin10c_gianluigi_bonanomi-1030x581.jpg

Detto in poche parole, le prime quattro C servono per definire la tua mission. Dopo aver posto attenzione sul chi sei, e qui è fondamentale una buona foto, ci si concentra su questa formula:

Cosa fai + per chi lo fai + come lo fai

Per esempio, nel mio caso, “aiuto aziende e professionisti a migliorare il proprio posizionamento su LinkedIn grazie a workshop che sfruttano il metodo originale LinkedIn10C”. In questo caso c’è il cosa faccio (workshop), il target (aziende e professionisti, in alcuni casi sono più specifico) e l’elemento differenziante (il metodo LinkedIn10C). Completano il metodo la C delle chiavi di ricerca (ossia un’ottimizzazione SEO del profilo) e le C che danno sostanza e autorevolezza al profilo: dalle skill alle conferme (segnalazioni), dai casi di successo (i Progetti) a numeri e fatti che danno concretezza. L’ultima C riguarda i contenuti, ma ne parlo dopo.

Azione 1: completa il tuo profilo LinkedIn in ogni sua parte

Trovare le persone giuste

LinkedIn è un social media, perché può essere usato come strumento di comunicazione, ma è soprattutto un social network: strumento per costruire relazioni, connessioni, opportunità a partire dai legami sociali. La seconda voce del social selling index indica proprio questo: la capacità di cercare le persone giuste e di entrare in collegamento con loro. Sono fattori di ranking il numero di collegamenti e la percentuale di accettazione delle richieste: se mandi 100 inviti e non ti risponde nessuno, LinkedIn ti penalizza.

Azione 2: amplia la tua rete LinkedIn con collegamenti in target.

Interagire con informazioni rilevanti

Qui c’è la decima C, forse la più importante, del metodo LinkedIn10C. Occorre pubblicare, post e articoli: generare interesse perché è così che si generano opportunità sui social. Da questo punto di vista è importante avere una strategia, anche i singoli – non solo le aziende – dovrebbero avere un piano editoriale e pubblicare regolarmente.

Azione 3: pubblica post e articoli con regolarità

Costruire relazioni

Cercare le persone giuste non basta. Che senso ha avere una rete da 10.000 contatti se non conosci e non interagisci con nessuno? Devi fare rete e generare interesse: visualizzazioni del profilo e giorni di attività costituiscono fattori di ranking importanti.

Azione 4: trasforma i contatti in relazioni.

Come chiosa dell’ultima voce vorrei anche lanciare un messaggio chiaro: il vero networking, a mio parere, non si fa su LinkedIn. Questo è solo un (ottimo) acceleratore, ma serve altro. Serve che i contatti virtuali diventino legami reali, serve incontrarsi di persona, trovarsi per un pranzo o un caffè, vedersi agli eventi (non a casa LinkedIn ultimamente ha lanciato la possibilità di creare, gestire e promuovere gli eventi). Segnalo la nascita del network LunchIn, utile per incontrare di persona gli iscritti a LinkedIn nella propria zona.

Per informazioni sui miei corsi sull’uso strategico di LinkedIn, scrivimi!

LinkedIn: come funziona e come sfruttarlo al meglio [Articolo per Agenda Digitale]

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Questo articolo è stato pubblicato su Agenda Digitale il 23 gennaio 2020

LinkedIn: come funziona e come sfruttarlo al meglio

In questa guida viene spiegato cos’è Linkedin e come funziona il social network, come creare un profilo impeccabile e come ottimizzarlo, anche a livello aziendale, come fare personal branding e social selling.

“LinkedIn non serve a niente”: questa è la frase che mi sento rivolgere spesso all’inizio dei corsi sull’uso strategico di LinkedIn.

Questione di punti di vista, o meglio è la solita storia della volpe e dell’uva: siccome non so usarlo, non funziona. Spesso si apre il profilo, si constata che non è semplice e divertente come Facebook e Instagram, si pensa che serva solo a cercarsi un lavoro (evidentemente confondendolo con Monster o InfoJobs) e quindi lo si abbandona, lasciandolo andare alla deriva.

In questo caso non solo LinkedIn non serve (confermo), ma diventa dannoso: pessimo biglietto da visita da mostrare a chi – datori di lavoro, colleghi, clienti e partner – visita un profilo incompleto, se non fuorviante (molte persone mostrano come ultima posizione lavorativa ancora quella precedente!). In questo articolo proverò a spiegare come aprire e impostare correttamente il profilo e come usarlo proficuamente.

Il modello di business di LinkedIn

Aprire un profilo LinkedIn è semplice e soprattutto gratuito. Ma ogni volta che qualcosa è gratis, il prodotto sei tu: il modello di business di LinkedIn è sia il freemium (alcune funzionalità sono a pagamento: vedi l’account Premium Career per trovare lavoro) sia l’uso dei tuoi dati per alimentare studi di settore e un database a disposizione di chi usa profili Premium e advertising.

Per esempio LinkedIn ha fatto una bella pensata: ha trasformato i dati di oltre 12 milioni di italiani (e oltre 650 milioni di utenti nel mondo) in un enorme database per chi cerca clienti, grazie al Sales Navigator.

Come creare un account LinkedIn

Basta collegarsi a linkedin.com e procedere con “Iscriviti ora”. Oltre alle solite informazioni “burocratiche”, LinkedIn chiede di indicare le proprie posizioni lavorative attuale e precedenti, perché è da lì che si inizia a costruire la tua rete: LinkedIn è infatti soprattutto un social network (strumento per costruire relazioni, per fare networking) ma anche un social media (piattaforma per la pubblicazione e diffusione di contenuti, ma anche per la lettura grazie al feed che si trova nella sezione Home).

Una dritta indispensabile: non dare in pasto a LinkedIn la tua rubrica dei contatti (per esempio da Gmail), perché userà gli indirizzi di chi non è nel social per invitarlo a nome tuo.

Come creare il proprio profilo LinkedIn con il metodo LinkedIn10C

Il compito più importante, quando si apre un account, è il completamento del proprio profilo. Per farlo in modo completo ho messo a punto un sistema che ho battezzato metodo LinkedIn10C:

  • La prima C (Chi sei) sta a indicare che devi farti riconoscere e quindi puntare soprattutto su una foto profilo ben fatta: primo piano (il volto deve occupare ben più della metà del fotogramma), sfondo omogeneo (per non distrarre) e che sfoggia un bel sorriso (per i neuroni specchio).
  • La seconda C (Cosa fai) è la headline (o job titile), quei 120 caratteri che accompagneranno la tua foto. Qui l’ideale è spiegare il più chiaramente possibile che cosa si può fare per gli altri: non deve essere una frase criptica (che cosa fa in concreto un “account junior” nessuno lo sa. Nel dettaglio bisognerebbe esplicitare quali problemi si risolvono per gli altri.
  • La terza C (per chi) rappresenta il target. Chi viene a visitare il tuo profilo deve capire immediatamente se puoi essergli utile, altrimenti andrà (giustamente) altrove. La seconda e la terza C vanno a braccetto, per esempio “Aiuto le PMI lombarde a trovare nuovi mercati in Russia” contiene il cosa e il per chi.
C:UsersUtenteDesktopAppoggiolinkedIn_mission.png
  • La quarta C (come) serve per mettere in evidenza gli elementi differenzianti rispetto alla concorrenza. Se non ti differenzi dai competitor, diventi una commodity. Invece deve essere chiaro perché chi visita il profilo dovrebbe sceglierti.

Nel brand positioning, termine relativo alla brand reputation e brand awareness, si parla anche di ingredient branding: un prodotto o servizio, o una caratteristica, che ti rendono unico (come la suola che respira di un noto marchio di scarpe italiano).

Altro esempio:

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La seconda fase

Le prime 4C contribuiscono a esplicitare la tua mission. Poi si passa a un’altra fase.

  • La quinta C (chiavi di ricerca) consento di fare l’ottimizzazione SEO (search engine optimization) del tuo profilo. Fare in modo che chi cerca competenze, prodotti, professionisti, ti trovi. Quindi occorre ragionare sulle keyword da inserire in tutto il profilo.
  • La sesta C (competenze) è composta sia da hard skill (competenze verticali e tecniche: per esempio “tabelle pivot in Excel”) che soft skill (competenze trasversali: “problem solving”). In LinkedIn c’è una sezione Competenze che può contenere fino a 50 skill, che gli altri possono confermare. Da qualche mese è anche possibile certificare alcune competenze (soprattutto quelle informatiche) grazie a test messi a punto da LinkedIn stesso.
  • La settima C (conferme) serve per sfruttare la “social proof”, la riprova sociale: occorre raccogliere testimonianze (segnalazioni) di altri professionisti che hanno lavorato con te e che possono certificare le tue competenze e l’efficacia del tuo lavoro.
  • Anche l’ottava C (casi di successo) è utile per darti autorevolezza ma soprattutto per raccontare che cosa fai in pratica, come hai risolto problemi e con quali risultati.
  • La nona C (concretezza) l’ho pensata per far sì che il profilo non sia pieno solo di chiacchiere e obbligare a pensare in modo concreto a numeri: risultati ottenuti e numeri wow. Dire “Sono un bravo venditore” non ha senso (anzi, è irritante), mentre scrivere “Ho contribuito a far aumentare il fatturato della mia azienda del 20%” è molto più interessante.
  • La decima C (condivisione) serve per concentrarsi sul fatto, come detto, che LinkedIn sia anche un social media. Occorre creare e condividere contenuti, foss’anche solo di “content curation” (riproposizione di contenuti altrui). Per chi invece vuole spingere particolarmente il proprio personal branding deve creare contenuti propri sotto forma di post (meglio se con contributi visuali a corredo) o meglio ancora come Pulse, come vedrai oltre.

Per sistemare il tuo profilo puoi iscriverti al mio videocorso LinkedIn gratuito:

Profilo professionista VS company page

In LinkedIn, come in Facebook, c’è la possibilità di creare un profilo personale e un profilo aziendale. Posto che chi vuole aprire un profilo aziendale deve necessariamente avere un profilo personale (che faccia da amministratore della pagina) ecco quali sono le maggiori differenze tra i due profili.

  • Il profilo personale può essere gestito solo da una persona, la pagina da più amministratori.
  • Le relazioni con il profilo sono dirette (umano a umano), quelle della pagina da uno a molti.
  • Il profilo personale può avere collegamenti, la pagina può avere solo follower.
  • Il profilo personale può pubblicare post e articoli (Pulse), la pagina solo post.
  • Il profilo personale ha poche statistiche, la pagina ha molti insight.
  • Il profilo personale non può creare campagne di sponsorizzazione, la pagina sì.
  • Il profilo personale può collegarsi a collaboratori, nel caso della pagina dipendenti e collaboratori possono linkare il profilo e mostrarlo sul profilo.
  • Il profilo personale non può aprire pagine vetrina (per singoli prodotti o servizi), la pagina sì.
  • Il profilo personale serve soprattutto per fare personal branding, la pagina per fare marketing.

Nel caso dei liberi professionisti c’è la possibilità di aprire sia il profilo personale che la pagina aziendale: in tal modo si sfruttano i benefici di entrambi.

Fare personal branding su LinkedIn

Quanto finora esposto permette di creare un profilo LinkedIn efficace (contemporaneamente anche in più lingue), ma permette soprattutto di fare personal branding. In pratica, il profilo LinkedIn è contemporaneamente la propria vetrina, dove si mettono in mostra le proprie competenze (posizionamento), ma è soprattutto una sorta di “landing page”, quelle pagine di atterraggio dei prodotti e servizi online finalizzate alla vendita o alle lead generation (creare le condizioni per la vendita). Per creare un “landing page” efficace, per esempio a partire dal Riepilogo (sezione Informazioni) è possibile costruire la storia di sé non come un racconto della propria carriera ma come se fosse una “sales letter” (lettera di vendita) con questo schema:

  1. Che cosa faccio
  2. Per chi lo faccio
  3. Con quali risultati?
  4. Testimonianze
  5. Call to action

Il profilo di John Nemo ne è un buon esempio:

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Fare social selling su LinkedIn

Fare social selling non vuole dire vendere con i social: quello sarebbe “social commerce” (ci stiamo arrivando). Fare social selling vuol dire fare quattro cose e ce le spiega molto bene LinkedIn. Per prima cosa calcola il tuo social selling index. Questo è il mio:

Come è calcolato il social selling index? Espresso in centesimi, dà un punteggio oggettivo a 4 tipi di attività diverse che un utente può fare all’interno di LinkedIn:

  1. creare il brand professionale (quanto hai completato il tuo profilo? Il metodo LinkedIn10C visto in precedenza può aiutarti);
  2. trovare le persone giuste (il numero di collegamenti e la percentuale di accettazione delle richieste);
  3. interagire con informazioni rilevanti (obiettivo: emergere come un esperto all’interno del proprio ambito professionale, e quindi pubblicare);
  4. costruire relazioni (ricerca di persone, visualizzazioni del profilo, giorni di attività, ricerche avanzate, uso delle InMail e altro).

Una curiosità: alcune aziende usano il social selling index come criterio di valutazione del lavoro dei propri dipendenti, soprattutto i venditori, e per dare premi e riconoscimenti.

I contatti su LinkedIn

LinkedIn, come visto, è uno strumento fondamentale per creare le relazioni (su LinkedIn si possono vedere i collegamenti fino al terzo grado, quindi con un gioco di parole i collegamenti dei collegamenti dei collegamenti diretti). In realtà, a mio parere, è un ottimo acceleratore: fare networking davvero vuol dire incontrare le persone faccia a faccia. Per favorire questi incontri occorre gestire al meglio i contatti, quella sezione di LinkedIn dove inserire:

  • un indirizzo email (meglio se professionale e non quello da account gratuito come Gmail);
  • un indirizzo Web (del proprio sito o di quello dell’azienda);
  • un numero di telefono (per chi ha anche uno smartphone di lavoro);
  • l’indirizzo della sede;
  • l’account di un social (LinkedIn propone Twitter);
  • un contatto di messaggistica (per esempio Skype).

Come si fa crescere la propria rete di collegamenti? Per chiedere un collegamento occorre andare sul profilo della persona da invitare e, nel menu di fianco alla sua foto, scegliere la voce Collegati, con un’avvertenza: aggiungere sempre una nota per contestualizzare la richiesta, soprattutto se non conosci la persona direttamente.

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Eliminare un contatto è altrettanto semplice: basta andare in Rete (www.linkedin.com/mynetwork) e scegliere la voce “Elimina collegamento” che si trova di fianco a ogni nome.

App mobile e versione desktop

Una volta impostato correttamente il profilo LinkedIn, può essere gestito sia da Web via PC sia in mobilità grazie alla app. Sebbene la maggior parte delle funzioni siano disponibili in entrambe le versioni ve ne sono altre peculiari. Per esempio durante i corsi, consiglio di lavorare sulla versione desktop, dato che è più comodo lavorare sulle impostazioni di back-end, per esempio quelle sulla privacy. Invece la app, molto comoda perché sempre a portata di smartphone e quindi di mano, è fondamentale in alcuni ambiti: penso, in particolare, agli eventi dove la funzione “Trova nelle vicinanze” consente di intercettare tutte le persone che all’evento vogliono collegarsi a vicenda su LinkedIn.

Come cercare lavoro su LinkedIn

Come visto in precedenza, LinkedIn non è lo strumento per la ricerca del lavoro per eccellenza: esistono piattaforme e applicazioni nati solo per questo. Ciò non toglie che LinkedIn sia comunque un ottimo modo per trovare offerte, candidarsi online e coltivare i contatti che permettono di generare opportunità lavorative. La sezione Lavoro consente di spulciare tra le offerte che LinkedIn propone per il proprio profilo, di cercare offerte usando keyword e località e tenere traccia delle candidature inviate. C’è un’opzione in LinkedIn che permette di far sapere ai recruiter di essere a caccia di opportunità.

Le professioni più richieste su LinkedIn

Alla fine del 2019 LinkedIn ha diffuso i dati di “LinkedIn Emerging Jobs Italia 2019”, la ricerca che mostra la classifica delle figure professionali più cercate su LinkedIn in Italia:

  • Data Protection Officer
  • Salesforce Consultant
  • Big Data Developer
  • Artificial Intelligence Specialist
  • BIM Specialist
  • Lending Officer
  • Warehouse Operative
  • Data Scientist
  • Cyber Security Specialist
  • Customer Success Specialist

Per un approfondimento sui lavori emergenti è possibile leggere sul blog di LinkedIn l’articolo “The Jobs of Tomorrow: LinkedIn’s 2020 Emerging Jobs Report”.

Come cercare lavoratori su LinkedIn

LinkedIn serve certamente per cercare un lavoro, ma anche per cercare lavoratori. Per questo è sufficiente sfruttare la ricerca avanzata di LinkedIn: si parte da una keyword (per esempio “Power BI”) e poi si affina la ricerca grazie ai filtri (per esempio “Luogo: Bergamo”). Il problema è che dopo un tot di ricerche questa funzionalità viene inibita perché LinkedIn propone un profilo a pagamento con ricerche illimitate. Per ovviare a questo problema si può pubblicare inserzioni di lavoro e sponsorizzarle. In ultima battura si può pagare un abbonamento a LinkedIn per l’HR (per esempio il Recruiter Lite) per trovare candidati passivi e contattarli direttamente con le InMail (i messaggi a pagamento).

LinkedIn Pulse: cos’è, come funziona e come sfruttarlo

Per sfruttare LinkedIn come social media occorre pubblicare. Non solo i post, come avviene su Facebook, ma anche dei veri articoli. I cosiddetti Pulse. Questo era il nome della start-up che creò la piattaforma di social blogging poi acquisita, e integrata, da LinkedIn. Ora il nome Pulse compare sporadicamente, LinkedIn li chiama Articoli.
Qual è la differenza tra post e articoli? Ecco 6 differenze sostanziali:

  1. I post non hanno un titolo, gli articoli sì
  2. I post sono corti (1.300 caratteri), gli articoli lunghi (40.000 caratteri)
  3. I post non hanno immagini di copertina, gli articoli sì
  4. I post possono integrare immagini, video (al massimo di 10 minuti) e documenti (per esempio PDF), gli articoli anche codice di embed (per integrare pezzi di Web, come una presentazione o un tweet)
  5. I post hanno poche statistiche, gli articoli molte
  6. I post non sono indicizzati fuori da LinkedIn, gli articoli sì (c’è anche un URL, indirizzo Web, diretto).

Come creare un Pulse? Nelle sezione Home di LinkedIn, invece di creare un post, occorre fare clic su “Scrivi un articolo”:

Nella pagina che si apre ci si può sbizzarrire con titoli, immagini, formattazioni e altro:

Per approfondire tutti questi temi ho scritto la Guida calcistica di LinkedIn per Ledizioni:

Le app amate dagli adolescenti (il mio articolo per Agenda digitale)

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Questo articolo è stato pubblicato su Agenda Digitale l’8 gennaio 2020.

Le app amate dagli adolescenti (e che gli adulti non conoscono)

Anche se quando si parla di app di successo tra gli adolescenti si pensa ai vari Instagram e TikTok, i ragazzi sono già passati oltre, su altri luoghi virtuali. E non sempre c’è da star tranquilli. Ecco le app che vanno per la maggiore tra i giovanissimi.

Da anni tengo corsi sull’uso consapevole della tecnologia nelle scuole di mezza Italia e ultimamente mi sono imposto di raccogliere informazioni sulle app che usano gli adolescenti.

I media parlano sempre e solo di Instagram e TikTok, oltre che dello scontato WhatsApp, ma sospettavo che i ragazzi stessero già andando (anche) altrove. Un po’ come quando ho fatto uscire una puntata su Fortnite e molti ragazzi si erano già spostati su Apex Legends.
I ragazzi, adolescenti ma anche pre-adolescenti, spesso frequentano luoghi virtuali pericolosi. Tra le tante app citate dal centinaio di ragazzi monzesi che ho interpellato nelle ultime due settimane, una decina mi ha particolarmente colpito. Anche perché, lo ammetto, alcune non le avevo mai sentite nominare.

Premetto che non tutte sono app di successo al pari di Instagram, ma certo iniziano a circolare.

Eccole.

ThisCrush

Questo social network, che spesso vedo linkato nelle “bio” di Instagram (la presentazione pubblica, unico luogo di Instagram dove inserire un link cliccabile), ha la particolarità di consentire invio e ricezione di messaggi anonimi. Del resto nasce per confessare una “cotta” (crush). Anonimato e messaggi non vanno d’accordo e il pericolo cyberbullismo è alto: il Messaggero ha raccontato, qualche settimana fa, che a seguito di una serie di offese anonime apparse su ThisCrush una tredicenne si è tolta la vita gettandosi dal nono piano della sua abitazione in zona Aurelio, a due passi dal Vaticano.

Tellonym

Anche Tellonym (il nome richiamo l’anonimato ma anche la frase inglese “tell on him”), al pari di ThisCrush e sulla scia del successo di Ask.fm degli anni passati, è un social network che permette di ricevere domande in forma anonima (in gergo “tells”). Cito una delle recensioni su Play Store: “Molto bello ma potrebbero segnalare subito gli insulti pk dietro ad uno schermo c’è una persona che ci rimane male”.
Altre due alternative per ricevere domande anonime sono F3 Yolo.

Omegle

Il claim di questa app (che si pronuncia “omigol”) è inquietante, se pensiamo ai nostri figli: “talk to strangers”, parla con sconosciuti. Non serve nemmeno registrarsi per comunicare uno a uno. L’Arena racconta di una ragazza che, adescata su Omegle, è stata costretta a infliggersi dei lividi e spedire foto.
Un’alternativa è Azar, una “random chat” che ricorda la famigerata Chatroulette di qualche tempo fa.

Discord

Free Voice and Text Chat for Gamers”: serve agli oltre 250 milioni di videogiocatori iscritti per parlare e messaggiare tra loro, tant’è che qualcuno la definisce “la Slack dei videogiocatori” (Slack è un’app di collaborazione aziendale). Come racconta La Repubblica, un anno fa Ninja, il campione di Fortnite, ha spiegato durante una diretta al rapper Drake come usare Discord durante una sessione del battle royale di Epic Games: questi influencer possono spostare milioni di gamers.
Discord si presenta come alternativa a TeamSpeak.

Twitch

Piattaforma di live streaming di proprietà di Amazon dal 2014, consente ai ragazzi di seguire sessioni di gioco (e di eSport) altrui. In gergo, permette di quindi di “streammare” le partite. Da qualche tempo Twitch ha introdotto diverse funzioni che lo rendono simile a un social network: come evidenzia Libero, la possibilità di inviare messaggi privati ad altri utenti o Pulse, una sorta di timeline alla Facebook.

Un’alternativa è Mixer.

21 Bottons

Definito il “social network della moda” oppure “fashion app”, 21 Buttons permette di pubblicare i propri outfit e ispirarsi scorrendo quelli altrui. Prevede l’e-commerce: i tag sugli abiti rimandano direttamente agli acquisti. In Italia dal 2017, 21 Buttons ha fatto il boom di iscritti, attratti anche da influencer come Chiara NastiAlice Campello e Giulia Gaudino.

Amino

Amino è un’app social pensata per riunire persone con gli stessi interessi su svariati argomenti, come vent’anni fa si faceva con i newsgroup. Inizialmente ospitava discussioni su anime, manga, cosplay e giochi, ora si parla di tutto: da Minecraft a Harry Potter, ma anche di problemi adolescenziali.

Funimate

Video editor con molti effetti speciali, in pratica Funimate è un’alternativa a TikTok: del resto anche questa viene definita un’app dove è possibile fare il lip-synk (muovere le labbra simulando di cantare una canzone famosa o recitare una celebre scena di un film, come in un play-back).
Altre due app usate per fare video sono Triller e Zoomerang.

Picsart

Picsart è un editor di foto, usato 60 milioni di utenti ogni mese, che consente di applicare moltissimi effetti: uno dei più popolari, ultimamente, è Sketch, perché consente di trasformare la propria immagine in un disegno. Le immagini ritoccate possono essere condivise come in qualsiasi social media.
Altra app del genere, molto apprezzata dai ragazzi (e non solo), è VSCO.

Zepeto

Zepeto, app sugli scudi un annetto fa (nel novembre 2018 è stata la più scaricata in Italia), è social network dove non interagiscono direttamente i ragazzi, ma i loro avatar (creati a partire da selfie), le cui foto spesso finiscono su Instagram. Ricorda per alcuni versi Second Life, in attesa del debutto dell’Horizon di Facebook.

 

La rivincita degli utonti: le 10 migliori prodezze degli anti-nerd [articolo per Agenda Digitale]

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Questo articolo è stato pubblicato su Agenda Digitale il 19 luglio 2019

L’utonto è l’anti-nerd: quella persona che usa la tecnologia suo malgrado; per ignoranza o negligenza, non solo non riesce a capirla, ma la piega (a volte fisicamente…) alle proprie esigenze. Una carrellata sulle principali tipologie e sulle dieci migliori “utontate” in circolazione

Qualche giorno fa ho scritto, su queste pagine, un articolo sull’intelligenza artificiale non troppo intelligente: “Altro che AI: ecco dieci esempi di stupidità digitale”. Molti lettori mi han scritto che si sono divertiti e che ho elencato le prove definitive della superiore intelligenza umana. Fermi un attimo: forse è il caso che leggiate anche questi dieci esempi di performance di utenti informatici, meglio noti come “utonti”.

Chi sono gli utonti?

Il termine “Utonto” è un semplice gioco di parole (a volte dispregiativo, altre affettuoso): è l’utente-tonto. Esiste un’espressione analoga anche in inglese: “luser”; anche in questo caso è il mix di “loser” (sfigato) e “user” (utente).

L’utonto è quella persona che usa la tecnologia suo malgrado; per ignoranza o negligenza, non solo non riesce a capirla, ma la piega (a volte fisicamente…) alle proprie esigenze. È l’anti-nerd, il contrario dello smanettone. Però non è un luddista: figuriamoci – risponde – è sempre stato interista/milanista! Per dirla con Flaiano, l’utonto ha poche idee, ma confuse.

Ci sono tanti tipi di utonto: uno spettacolo d’arte varia.

C’è l’utonto che fa tenerezza, perché proprio non ci arriva: è quello a cui spieghiamo, per l’ennesima volta, che per fare un doppio clic col mouse bisogna essere un po’ più scattanti, e non fare clic-pausa-clic. Quello che risponde alle e-mail di spam (il 12% degli utenti-utonti lo fa! Cosa scrive? “Thanks, size doesn’t matter”?). Che per inviare un’immagine via posta elettronica la stampa e poi la “scanna”. Che per ruotare un’immagine non occorre piegare di novanta gradi il monitor.

Poi c’è quello che fa arrabbiare, soprattutto i responsabili IT delle aziende e i centralinisti dei servizi di assistenza. Quante volte il nostro indirizzo email è stato diffuso impropriamente perché l’utente scrive a centinaia di persone mettendo tutti i destinatari nel campo “CC:” invece che in copia nascosta? E quante volte abbiamo ricevuto messaggi urlati, TUTTI IN MAIUSCOLO? Quante altre volte abbiamo fatto fatica a leggere un’email con un oggetto lunghissimo e il corpo con scritto solo “Ciao”? L’utonto non conosce la netiquette, le buone maniere informatiche (niente bon ton, è già tanto se ha il TomTom).

Ma soprattutto c’è l’utonto che fa ridere, perché le spara davvero grosse. Con tutta la buona volontà, come si fa a non sbellicarsi di fronte a qualcuno che chiede dei “DVD prescrivibili” (dal medico?), la “licenzia Windows” (per giustificato motivo?) o un “CD RON” (“Non abbiam bisogno di parole!”)? Utonto è anche quell’ex premier che diceva di cercare con Gogol (evidentemente trovava ispirazione nella drammaturgia russa: ecco perché andava sempre da Putin). È anche quello che ha paura di perdere tutte le icone perché deve sostituire il monitor, o quello che chiede gli orari di apertura di un sito di shopping online, o quello che si chiedeva come fa un floppy disk, se è quadrato, a girare. Una risata li (ci) seppellirà.

Ecco allora a voi 10 esempi di “utontate”, tratti dall’eBook Utonti.

Il porta-tazza

Partiamo con uno dei migliori classici dell’utontologia, una storia vera (?!?) di un SysOp (operatore di sistema) Novell NetWire.

Cliente: “Salve, è il supporto tecnico?”.

Tecnico: “Sì, come posso aiutarla?”.

C.: “Il porta-tazza del mio PC si è rotto e sono ancora in garanzia”.

T.: “Mi scusi, ma lei ha detto porta-tazza?”.

C.: “Si, è sul frontale del mio computer”.

T.: “Perdoni se le sembro un po’ perplesso, ma è perché lo sono. Lo ha ricevuto come parte di una promozione, in qualche fiera? Come le è arrivato questo porta-tazza? Ha qualche marchio inciso sopra?”.

C.: “È arrivato insieme al computer; non so nulla di nessuna promozione. C’è solo scritto ‘4X’ sopra”…

[fonte]

“Inviare” un fax

L’utonto non riusciva a spedire un fax con il computer. Dopo 40 minuti di chiarimenti, si scopre che aveva messo il foglio davanti al monitor e premeva il tasto INVIO.

Le etichette dei dischetti

Un tecnico di Compaq riceve una chiamata da un utonto che si lamenta del fatto che il sistema non legge i suoi file di word processing dai suoi vecchi dischetti da 5 pollici e un quarto (gli antenati dei floppy da tre e mezzo). Dopo aver appurato che non sono stati sottoposti a campi magnetici o fonti di calore, si scopre che il cliente ha messo le etichette sui dischi, poi li ha arrotolati nella macchina per scrivere per poter scrivere sulle etichette.

Insert (another) disk!

Un cliente parla con il supporto tecnico di Lotus:

– Ho inserito il primo disco. Tutto OK. Poi ho inserito il secondo, e lì sono iniziati i problemi… Ma il terzo non sono proprio riuscito a farcelo entrare!

Il computer non vedente

L’utonto chiama l’assistenza tecnica lamentandosi che il computer continua a non vedere la stampante anche dopo aver girato il monitor verso la stampante.

E.T. come Extra-televisori

Sentita in un negozio di TV:

– Avete un decoder extraterrestre?

La lettera scalata

Un’utonta dice al tecnico informatico che ha un piccolo problema con Office. Non riesce ad allineare correttamente i paragrafi di una lettera. Il tecnico chiede di mostrargli un documento, per mostrarle come si fa. L’utonta apre il file Excel con la lettera scritta nella cella A1, allargata fino a coprire l’intero monitor. Il tecnico, stupito, chiede come mai non usi Word. Lei non sa cosa sia Word: la prima volta che ha aperto un documento Office era in Excel…

T come Tiscali

M’immagino la scena. L’utonto, al telefono con il servizio clienti di Tiscali, sta appuntando l’indirizzo dove spedire la lettera. L’operatore cerca di ripetere più volte il nome della località “Sa Illetta”, ma non c’è niente da fare. Deve ricorrere allo spelling…

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[Fonte]

Il fungo

Tra le tante cose che facevo nella redazione di Computer Idea, c’era anche la gestione della posta (lo so che ve lo state chiedendo: sì, la gente scrive davvero alle riviste di informatica).

Tra le tante, ve ne voglio raccontare una. Un lettore scrive che ha uno strano problema: ogni giorno, alle sei di sera, gli cresce un fungo sul monitor.

Scusi – gli rispondo – credo di non aver capito, ci deve essere un errore di battitura. Qual è il suo problema?

Lui ripete che ogni sera appare un fungo sul monitor, in basso a destra.

Solitamente avrei cestinato la mail, come tante altre. Ma il caso mi interessava. Rispondo al lettore che non sono un micologo, di spiegarsi meglio.

Dice che, vicino all’orologio di Windows, ogni sera appare questo fungo.

Confortato dall’idea che si trattasse, con tutta probabilità, di un’icona e non di un vero e proprio fungo sulla scocca del monitor, chiedo di inviarmi uno screenshot.

Ovviamente devo spiegargli come si cattura una schermata.

Poi questa, finalmente, arriva. Il mistero è svelato: un antivirus (Avira nel caso, anche se in realtà si tratterebbe di un ombrello…), scaduta la licenza, chiedeva l’aggiornamento.

10 Can che abbaia…

In un negozio di informatica:

– Scusi, avete un Rottweiler?

Dopo diversi minuti di indagini il commesso ha capito che l’utonto intendeva “router wireless”.

Il videocorso per la ricerca del lavoro online su Agendadigitale

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Ho inserito il mio videocorso gratuito sulla ricerca del lavoro online in un articolo che ho scritto per Agendadigitale e che riporto integralmente qui.

Come imparare a cercare lavoro da Mourinho e Leonardo da Vinci (videocorso)

Quasi tutte le persone che cercano lavoro, online o meno, fanno lo stesso banale errore: mandano a tutti lo stesso CV, con la medesima lettera di accompagnamento, ormai diventata una mail. Ecco un videocorso per cercare un impiego, gestire la reputazione online, i social ed evitare le truffe.

Nei primi mesi del 2016 il Manchester United, una delle più gloriose squadre di calcio del pianeta, era allenato da uno dei tecnici più quotati, Louis van Gaal. Ma le cose non andavano per niente bene. Per la sua sostituzione sulla panchina dei Red Devils si fecero diversi nomi, ma uno più di altri bramava quella panchina: José Mourinho.

Lo “Special One” fece di tutto per farsi assumere. La leggenda narra che il portoghese inviò ai dirigenti del Manchester United una auto-candidatura, un curriculum… speciale: un dossier di qualche pagina per convincere la proprietà del club a ingaggiarlo. Un atto d’amore verso il club dell’Old Trafford, ma soprattutto uno studio dettagliato sui problemi del club e sulle sue proposte per risolverli, in termini di uomini e di metodo.
Un articolo della Gazzetta dello Sport dell’epoca recitava:

“Secondo l’Independent on Sunday, l’allenatore portoghese ha elencato tutti i problemi della squadra, evidenziando come proprio lui possa essere l’uomo giusto per il cambio di marcia.”

Risultato? Assunto.

L’auto-candidatura di Leonardo Da Vinci

Il furbo José non ha inventato nulla. Qualche secolo prima, precisamente nel 1482, Leonardo da Vinci lasciò Firenze per Milano. Per farsi “assumere” alla corte di Ludovico Sforza detto il Moro, inviò al duca una lettera dove elencò tutte le sue abilità, ordinate in 10 punti(in pratica usava le liste prima che imperversassero online). Problema del datore di lavoro, soluzione su un vassoio d’argento. Per esempio:

“[…] Farò carri coperti, securi et inoffensibili, i quali entrando intra li inimica cum sue artiglierie, non è si grande multitudine di gente d’arme che non rompessino. Et dietro a questi poteranno sequire fanterie assai, illesi e senza alcun impedimento”.

Risultato? Assunto pure lui.

Come cercare lavoro online

Quasi tutte le persone che cercano lavoro, online o meno, fanno invece lo stesso banale errore: mandano a tutti lo stesso CV, con la medesima lettera di accompagnamento, ormai diventata una mail.

Ripeto: mandano gli stessi documenti a tutti: pizzicagnolo sotto casa, Esselunga o Apple.

Chi riceverà la candidatura ha un problema: c’è un posto vacante nella sua azienda e occorre trovare una persona capace, se possibile anche in fretta. Il responsabile della selezione è immerso nei suoi problemi personali, non gli importerà nulla dei tuoi; ha quasi certamente un capo o un intero reparto che fanno pressione affinché risolva quel problema, trovi la persona giusta.

È per questo che quando si manda un CV non bisogna concentrarsi su sé stessi (ho fatto questo, ho fatto quello…) ma su quel problema e su quel destinatario (a proposito: come si chiama il destinatario? Bisogna sempre scoprire il nome del responsabile della selezione, per esempio usando LinkedIn).

Perché stai mandando il curriculum? Semplice: perché hai trovato l’inserzione online e, date le tue esperienze e le tue qualità, saresti la persona giusta per quel posto. Occorre dirlo, fare in modo che la mail di accompagnamento porti all’apertura del CV per un approfondimento. Lo stesso ragionamento vale se, invece di un lavoro, stai cercando clienti.
Per approfondire questi temi, e vedere come si cerca lavoro ai tempi del Web, ho realizzato il videocorso che trovi qui sotto.

Il videocorso per la ricerca del lavoro

A che cosa serve Internet quando si parla di ricerca del lavoro? Solo a scovare le offerte e candidarsi? No! Ho realizzato un percorso, articolato in cinque video, dove vedrai come cercare un impiego, gestire la tua reputazione online, i social ed evitare le truffe.

Introduzione al corso

Come si cerca lavoro? Ma soprattutto: come lo si trova? Negli ultimi anni Internet è diventato uno strumento fondamentale, non solo per intercettare delle opportunità ma anche per informarsi, prepararsi, studiare. In questo video introduttivo ho raccolto un po’ di dati e qualche dritta.

Le offerte di lavoro

Quando si parla di offerte di lavoro, sai che differenza c’è tra motori di ricerca, siti di offerte e autocandidature? Ecco quali sono i siti migliori dai quali partire e che cosa sono le job alert.

Curriculum e lettere

Nell’era della ricerca del lavoro online ha ancora senso parlare di curriculum vitae e lettere di accompagnamento. Certamente sì. In questo video spiego qual è il giusto approccio per creare documenti che non siano cestinati.

Concludo con “easter egg” per farci una risata.

Social network e monitoraggio

Una persona su tre non viene chiamata al colloquio di lavoro per quello che ha pubblicato sui social. È quindi fondamentale gestire correttamente questi canali (da LinkedIn a Facebook, senza trascurare Instagram e gli altri) e monitorare la propria reputazione online. In questo video presento alcuni strumenti online gratuiti per farlo.

Le truffe

Purtroppo il mondo della ricerca online fa registrare anche moltissimi tentativi di truffa: in questo video passo in rassegna i più frequenti e do alcune indicazioni per non cascarci.

 

I 12 smartphone del futuro: il nuovo articolo satirico per Agenda Digitale

Ecco i dodici trend del futuro che l’industria degli smartphone non ha ancora avuto il coraggio di svelare, e che invece Agenda Digitale ha avuto l’ardire di rendere pubblici nella mia rubrica satirica.

Povera di idee ormai da anni, l’industria degli smartphone non sa più come stupire (e giustificare prezzi di listino anche a tre zeri). Ultimamente ha presentato al mondo modelli davvero strani: quello che si piega (per lavoratori flessibili?), quello con cinque fotocamere posteriori (per paparazzi?) e quello che ti legge la mano (per chiromanti?). Ecco i dodici trend del futuro che non ha ancora avuto il coraggio di svelare.

1. Lo smartphone RdC. Consegnato insieme alla card del Reddito di Cittadinanza, permette di ricevere chiamate illimitate ma di farle solo ai Navigator dei Centri per l’impiego.

2. Il nuovo telefono Apple: è uguale al modello precedente ma costa il doppio. Per veri brand ambassador della Mela.

3. Il cellulare trapper. La voce viene adulterata automaticamente con l’autotune.

4. Lo smartphone contro il tecnostress. Quando si accorge che esageri con social e giochini, si blocca fino a quando non ti sposti in un prato e ti sdrai (geolocalizzazione e accelerometro controllano le corrette posizione e postura).

5. Il cellulare Tinder. Si possono inserire fino a 10 SIM per gestire tutte le relazioni contemporaneamente.

6. Il telefono per genitori apprensivi (e un po’ nazisti). Va consegnato a tuo figlio: se l’erede non risponde entro il terzo squillo quando lo chiami, parte una scossa elettrica, tipo taser.

7. Il telefono che telefona e basta. Ideato per un target di ottuagenari, promosso con dei banchetti ai margini dei cantieri, al posto del touchscreen ha il disco per la composizione rotante dei numeri. Invece della SIM ha la SIP.

8. Lo smartphone che fa il caffè: purtroppo le dimensioni sono considerevoli perché serviva lo spazio per ospitare le cialde.

9. Il cellulare telemarketing: gestisce in autonomia tutte le chiamate per le nuove offerte imperdibili di operatori telefonici, forex e Sky. Permette di impostare gli insulti predefiniti o simulare una rapina in banca in sottofondo.

10. Il cellulare Ferragnez: si fa i selfie da solo.

11. Il telefono di lusso tempestato di cristalli Swarovski e caldarroste.

12. Lo smartphone analfabeta funzionale: serve solo per condividere fake news, gattini e test sulla personalità.

Diritto d’autore: le dieci novità (semiserie) della riforma Ue

Questo è il mio primo articolo satirico realizzato per Agenda Digitale e pubblicato qui.

Ecco le dieci novità più eclatanti con cui dovremo fare i conti dopo l’approvazione della nuova direttiva Ue sul Copyright (spoiler: si fa per ridere, eh!)

l 13 febbraio Parlamento, Consiglio europeo e Commissione hanno raggiunto un accordo sulla cosiddetta “direttiva sul copyright”.

Ecco le 10 cose che cambieranno.

  • I giornalisti potranno decidere se chiedere un indennizzo a Google, Facebook e YouTube o continuare a percepire il reddito di cittadinanza.
  • Si possono condividere foto di gattini su Facebook, ma i gattini non possono condividere le nostre foto. Per placare le proteste degli animalisti, d’ora in poi sarà il contrario.
  • In Italia si pubblicano oltre 60.000 libri all’anno, ma la metà non vende nemmeno una copia. Dopo le proteste della Siae, d’ora in poi gli autori saranno obbligati a comprare almeno una copia del loro libro.
  • I giornalisti che pubblicano i comunicati stampa con il copia e incolla saranno obbligati a leggere i loro articoli.
  • Le istituzioni corrono ai ripari: non se la sentono più di definire “opera dell’ingegno” l’ultimo libro di Corona.
  • Par condicio: d’ora in poi sarà possibile consultare Google News solo dopo aver dato una sbirciata al Televideo (e compilazione della relativa autocertificazione).
  • Sarà prevista una tassa per i link. Sovrattassa per chi condivide senza leggere l’articolo.
  • Le fake news saranno ricompensate con diritti d’autore negativi.
  • La cagnolina di Chiara Ferragni, che ha 300k follower, percepirà un centesimo ogni volta che finirà nelle slide dei formatori sul social media marketing.
  • La Siae continuerà a esistere. Ma solo nei nostri peggiori incubi.

Le cinque intelligenze necessarie per vivere bene in tempi di robot e fake news

Questo articolo è stato pubblicato su Agenda Digitale il 12 dicembre 2018

Una panoramica sui cinque tipi di intelligenza necessari per stare bene in un mondo sempre più ipertecnologico e globalizzato. Una tesi dello psicologo americano Howard Gardner resa ancora più attuale dalle ultime vicende

Le intelligenze che i nostri figli dovranno coltivare per stare bene al mondo sono cinque: intelligenza disciplinare, sintetica, creativa, rispettosa ed etica.

E’ questa la tesi sostenuta nel libro “Cinque chiavi per il futuro”, dello psicologo americano Howard Gardner, docente di cognitivismo e pedagogia alla facoltà di scienze dell’educazione all’Università di Harvard.

Un libro del 2006, ma la lezione è ancora più attuale adesso, in tempi in cui a dominare il dibattito (culturale e politico) sono i rapporti tra lavoro e automazione, etica e intelligenza artificiale; informazione, propaganda e fake news.

Le cinque chiavi per il futuro

Leggendo i libri di Gardner si scoprono molte cose ma, quella che mi preme sottolineare qui, è che ognuno di noi possiede più tipi di intelligenza e che quando ci si chiede quale sia la migliore educazione per i figli in questa società ipertecnologica e globalizzata, spesso ci si danno risposte sbagliate, perché si pensa, prevalentemente alla tecnologia. Invece occorre spostare il focus sulle persone e, appunto, le loro intelligenze. Di seguito una panoramica sui cinque tipi di intelligenza delineati da Gardner.

L’intelligenza disciplinare

Occorrono fino a 10 anni per padroneggiare una disciplina. E quindi per svolgere in modo impeccabile un mestiere. In futuro sarà sempre più importante governare una disciplina, altrimenti si rischia di soccombere in un mondo dove i mestieri meno qualificati saranno appannaggio di intelligenze artificiali e robot. Pensa alla programmazione: in futuro o programmi o sarai programmato, diceva Douglas Rushkoff.

L’autore distingue tra materia e disciplina. Chi studia medicina impara a memoria tutti i nomi delle ossa del corpo umano, sta studiando la materia. Ma per apprendere la disciplina dovrà uscire dagli schemi che trova nei libri di testo e, coltivando il pensiero scientifico, ragionare su cause ed effetti, trovare soluzioni mai affrontate prima. Con la consapevolezza che ogni opinione scientifica può essere ribaltata alla luce di nuove scoperte.

Nell’era dei motori di ricerca è più importante saper cercare e valutare le fonti, che imparare a memoria (se non per allenare la capacità mnemonica).

L’intelligenza sintetica

In un mondo caratterizzato dall’overload informativo (qualcuno lo chiama infobesità) una delle capacità più importanti – una delle intelligenze da sviluppare – è quella di comprendere e sintetizzare.Non solo raccogliere le informazioni da fonti diverse, ma anche combinarle in modo che abbiano senso per sé e per gli altri. Questa capacità di sintesi era preziosa anche in passato (l’autore cita la Bibbia, le tassonomie, proverbi e aforismi, modelli e leggi universali come l’inconscio di Freud o la mano invisibile di Adam Smith) ma ora diventa una questione di sopravvivenza.

L’intelligenza creativa

Ci sarà sempre più bisogno di innovazione, di chi propone nuove idee, pone interrogativi inconsueti, inventa nuovi modi di pensare e fornisce risposte inaspettate. Una pacchia per chi possiede la capacità di pensiero laterale. Una necessità per chi vuole vivere in un mondo dove computer e robot saranno sempre più sofisticati.

L’intelligenza rispettosa

L’intelligenza rispettosa registra e accoglie con favore le diversità che esistono tra i singoli individui e tra le comunità umane, si sforza di capire i diversi e operare efficacemente con loro. In un mondo in cui tutti sono interconnessi, l’intolleranza e l’assenza di rispetto soluzioni non sono più concepibili.

L’intelligenza etica

Rispetto all’intelligenza rispettosa, si muove a un livello più astratto. Ha a cuore il proprio bene ma anche quello della collettività, capisce che si può lavorare per un fine che trascende l’interesse egoistico.

Perché proprio queste cinque

L’autore sceglie queste 5 intelligenze, ma ce ne sarebbero molte altre: per esempio l’intelligenza tecnologica, digitale, mercantile, democratica, flessibile, emotiva, strategica e spirituale. Ma sono quelle cinque, a detta di Gardner, sono quelle più utili per vivere in un mondo governato da tecnologia e globalizzazione. Del resto gli individui che non hanno al proprio attivo una formazione in una o più discipline non saranno capaci di affermarsi in nessuna posizione impegnativa, e saranno relegati a compiti più “banali”. Gli individui che non hanno capacità di sintesi saranno travolti dalla mole delle informazioni e non sapranno compiere scelte sensate nella sfera privata e professionale. Gli individui che non hanno capacità creative saranno sostituiti dai computer. Quelli che non hanno rispetto, non saranno degni di rispetto altrui: avveleneranno i luoghi di lavoro e gli spazi comuni. Infine in assenza di etica torneremo a un mondo darwiniano dove il bene comune non esiste. Non voglio nemmeno immaginare un mondo del genere.