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L’importanza delle referenze: la mia intervista per Daniele Lucchini

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Nel dicembre 2022 sono stato intervistato da Daniele Lucchini. Qui riporto l’articolo:

 

Gianluigi Bonanomi è un formatore e consulente specializzato in comunicazione digitale.

Ha fatto per anni il giornalista informatico, ma, come dice lui, “ad un certo punto scrivere di tecnologia sulla carta non era più una grande idea”. Così ha iniziato a fare il divulgatore, il consulente e il formatore.

Ha scritto molti libri ed ebook per diversi editori quali Mondadori, Hoepli, Fag, Informant e ha ideato la collana “Fai da tech” di Ledizioni. Un suo ebook gratuito è stato scaricato da Amazon quasi 100.000 volte!

La realizzazione di contenuti per le aziende l’ha portato a collaborare con diverse agenzie di comunicazione (Business Press, EffettoDomino, Sangalli M&C e altre). Negli ultimi quattro anni ha formato più di 3.000 persone, soprattutto sull’uso strategico di LinkedIn e sul social selling.

Nel 2020 ha lanciato la startup Link&Lead, startup che si occupa di gamification e comunicazione online d’impresa.

Su Linkedin vanta più di 280 referenze.

Qual è la tua migliore qualità personale?

Dicono che so semplificare concetti complessi per renderli comprensibili a tutti: cosa fondamentale nel mio lavoro di divulgatore e formatore.

Cosa ti motiva ad agire quotidianamente?

L’entusiasmo. Se ti appassioni di quello che fai, non ti pesa e ti dà tante soddisfazioni. Personalmente mi esaltano i nuovi progetti digitali.

Quali sono i valori che ti riconoscono i tuoi familiari – amici?

Affidabilità, lealtà, generosità. Sono tutti valori su cui punto anche nella vita professionale. Per esempio il mio sito Web è pieno zeppo di risorse gratuite (anche senza chiedere il contatto!).

Quali sono i valori che ti riconoscono i tuoi clienti – collaboratori?

Gli stessi visti sopra, per fortuna.

Come coltivi i rapporti di qualità e fiducia con i tuoi clienti?

Cerco sempre di prendere incarichi dove so di poter fare la differenza, o personalmente o grazie ai miei collaboratori. Il segreto è, dove possibile, stupire dando qualcosa in più rispetto alle attese.

Cosa fai per soddisfare – stupire – fidelizzare tuoi clienti? Effetto Wow

Per stupire i clienti punto tutto sulla mia comunicazione, che sia a un evento oppure con un video di YouTube dove, per esempio, metto insieme Kant e la SEO oppure Gorbaciov e la comunicazione della cybersecurity.

Nel tuo business sono importanti le referenze dei tuoi clienti?

Le referenze sono indispensabili, del resto il vecchio Cialdini ci ha raccontato l’importanza della “riprova sociale”.

Come fai a generare referenze di qualità dai tuoi clienti?

Dopo un corso o una consulenza, se i clienti esprimono apprezzamento per il mio lavoro cerco di convertirla immediatamente (nelle ore successive) in una recommendation su Linkedin.

Quali consigli vuoi dare a chi vuole mantenere nel tempo la fiducia dei propri clienti?

Prima ho citato Gorbaciov: il concetto di “glasnost” è fondamentale. Bisogna essere “trasparenti”, non nascondere niente, non tentare di fare i furbi; non funziona mai! Puoi fregare una volta, la seconda sei fregato. Se una cosa non si può fare, non prometterla vagamente per portare a casa la commessa. Il rispetto viene prima di tutto (e lo pretendo).

Nella tua esperienza hai incontrato clienti che ti hanno manifestato paure e/o preoccupazioni nel promuoverti / persona / servizio?

In alcuni casi sì, perché purtroppo nel marketing digitale ci sono tanti fenomeni che hanno fatto danni. Alcuni clienti dicono, per esempio, che LinkedIn non funziona perché non sono capaci di usarlo o sono stati consigliati male.

Come reagisci quando qualcuno ti manifesta paure o preoccupazioni?

Dimostro, dati alla mano, perché e come la comunicazione digitale porti benefici concreti. Ci sono statistiche incontrovertibili. Per esempio a un imprenditore che non crede che un mio corso LinkedIn possa essergli utile, rispondo con i dati LinkedIn: ogni sei condivisioni da parte dei dipendenti di un contenuto dell’azienda, si porta a casa un follower. E se fosse un lead?

Pensi ci sia una ricetta specifica per generare referenze di qualità?

Credo che occorra mettere in campo un mix di efficacia, empatia e… faccia tosta. Chi non chiede, non ottiene: la paura del rifiuto spesso ci paralizza. E che sarà mai un no a un referenza?

Pensi che ci sia una ricetta per il successo?

Sì, sta nell’atteggiamento mentale. Quando capisci che i limiti te li costruisci da solo, a volte auto-sabotandoti, poi ti liberi e prendi il volo. Non vorrei che questa però passasse per frase da motivatore sui carboni ardenti!

Altro principio cardine, il posizionamento: fai poche cose bene, non tante e tutte approssimativamente. Bisogna tagliare i rami più o meno secchi e, seguendo il principio di Pareto, occorre concentrarsi su quel 20% di attività che porta l’80% dei risultati. Funziona anche con i clienti: solo una piccola parte dei clienti porta la maggior parte del fatturato.

I tre consigli che daresti a tuo figlio se volesse fare il tuo lavoro?

Primo: studia, sempre. Secondo: dopo aver studiato, metti in pratica, testa, prova… altrimenti è tutto bla bla bla. Terzo: quando hai capito che quel che hai studiato funziona, comunicalo. Fallo sapere. C’è un sacco di gente in gamba che vive nell’ombra: fa molta, molta fatica.

I tre aggettivi con i quali vorresti essere ricordato dai tuoi clienti?

Efficace. Brillante. Persuasivo.

C’è una domanda che non ti ho fatto, che avresti voluto che ti facessi?

Sì, “dove possiamo seguirti?” ?

Bella domanda, direi che sul sito si trova di tutto: www.gianluigibonanomi.com

Email marketing: cos’è la “Soap Opera Sequence”? [Articolo per Agenda Digitale]

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Questo articolo è stato pubblicato su Agenda Digitale l’11 ottobre 2022.

Email marketing, creare un legame col lettore con la Soap Opera Sequence: ecco come fare

L’email marketing è ancora vivo e vegeto e offre ancora un tasso di conversione dei prospect superiore a qualsiasi altra tecnica. Per sfruttarlo al massimo è necessario studiare una Soap Opera Sequence adeguata e automatizzare il processo con il software giusto. Vediamo in che modo

L’email marketing (qui il mio corso on demand per Primopiano) ha certamente vissuto tempi migliori ma resta una delle forme di promozione commerciale più utilizzate. Negli ultimi anni sono cambiate le abitudini dei consumatori e, se agli albori di Internet le persone tendevano a leggere da cima a fondo ogni email ricevuta, nel 2022 la percentuale di chi apre un messaggio di posta elettronica è diminuita sensibilmente. Percentuale che scende ancora di più quando si parla di newsletter o di email di natura commerciale: le piattaforme social, gli influencer e le campagne pubblicitarie sui siti più importanti hanno monopolizzato la comunicazione digitale.

 

A cambiare non sono solo i contenuti proposti ma il pubblico di riferimento. Nel contesto attuale l’email marketing ha davvero senso? Quali vantaggi è in grado di garantire rispetto ai canali social?

L’email marketing funziona ancora?

A detta di Sendinblue il tasso di apertura medio è attorno al 22%:

Nonostante i numeri, l’email marketing riesce ancora a garantire un tasso di conversione degli utenti superiore a quello delle altre piattaforme. Le direct email marketing (le famose “dem”) e le newsletter sono in grado ancora di fare la differenza e di fidelizzare il cliente attraverso la personalizzazione. Questi strumenti permettono di comunicare in modo diretto con il proprio pubblico di riferimento: quando viene inviata un’email a uno dei propri contatti si può essere più o meno sicuri che venga letta; la stessa cosa non si può dire quando si posta un contenuto su una piattaforma social. Purtroppo, non basta inviare una sola newsletter per raggiungere gli obiettivi prefissati: nella maggior parte dei casi è necessario studiare una serie di messaggi da inviare in sequenza per riuscire a raggiungere il cliente.

Soap Opera Sequence: usare la serialità per far leggere una newsletter

Quando si parla di email marketing, una delle tecniche più utilizzate è quella soprannominata “Soap Opera Sequence” che riprende lo storytelling e la serialità tipiche delle produzioni americane per far aprire e leggere una newsletter. Chi si occupa di marketing in ambito B2B sa benissimo quanto sia fondamentale catturare l’attenzione delle persone: una storia ben narrata può essere la soluzione ideale per raggiungere il proprio pubblico di riferimento.

Usare una Soap Opera Sequence è piuttosto facile: si tratta di immaginare/studiare una sequenza di email come se si trattasse una serie televisiva composta da più puntate. In parole semplici, è necessario creare una relazione tra il mittente e il destinatario, spingendo quest’ultimo a leggere tutte quante le email inviate. La SOS è strutturata solitamente in 5 o più email sequenziali e ogni messaggio ha una finalità ben precisa. Con la Soap Opera Sequence è possibile costruire sia la relazione con potenziale cliente, sia promuovere al tempo stesso il proprio prodotto/servizio. L’escamotage più utilizzato per agganciare un prospect (utente potenzialmente interessato ai prodotti dell’azienda) è quello di condividere un problema o una storia e la possibile soluzione. Si tratta di trovare la “giusta” sequenza di messaggi da inviare con informazioni che possano essere utili al destinatario: bisogna creare delle forti aspettative. Un po’ quello che succede in una soap opera in cui la storia si interrompe fino all’episodio successivo.

Le cinque fasi della Soap Opera Sequence

Sequenze di email marketing che convertono - Soap opera sequence

La Soap Opera Sequence si compone di diverse fasi.

  • La prima è quella che è stata ribattezzata “Setting the Stage”, che è possibile tradurre come “allestire la scena”. La prima email è il classico biglietto da visita ed è fondamentale per creare il contatto iniziale con il prospect. Oltre a studiare una buona presentazione è importante fornire una valida motivazione del perché il destinatario dovrebbe leggere l’email inviata. È importante di tenere sulle corde il prospect con qualcosa di sorprendente, misterioso: una forte aspettativa lo stuzzicherà a leggere l’email successiva. Per farlo bisogna saper affascinare il lettore con uno stile scorrevole e semplice: lo storytelling è fondamentale, ed è importante saper giocare con il fattore “emozioni”.
  • A questo punto è necessario introdurre uno degli elementi di forza delle soap opera: il “dramma”. Nel caso specifico si tratta di parlare delle difficoltà e vicissitudini incontrate finora senza svelare come sono state superare. Si tratta di creare il famoso “cliffhanger”, un momento di massa tensione e suspense per catturare l’attenzione dei prospect. Una volta catturata l’attenzione, empatia e immedesimazione spingeranno il lettore ad andare avanti.
  • È arrivato il momento di soddisfare la curiosità del prospect rivelando la soluzione trovata per risolvere il problema: questa fase è denominata “Hitting the wall” e coincide con l’invio della terza email.
  • Dopo il simbolico “abbattimento del muro”, arriva il momento di parlare dei cosiddetti benefici ottenuti con la soluzione trovata. In questa fase è possibile fornire maggiori dettagli sul proprio servizio/prodotto spiegando perché potrebbe essere utile e quali benefici può generare.
  • Con la quinta email, infine, si chiude il cerchio della Soap Opera Sequence: si deve spingere il prospect ad agire. Solitamente vengono utilizzate due tecniche precise: “urgency” o “scarsity”. È importante far capire che la soluzione può essere disponibile solo per un periodo di tempo limitato oppure in una quantità limitata. In questo caso è possibile inserire una call to action.

Consigli per creare una Soap Opera Sequence efficace

Creare un legame con il lettore/destinatario si rivela essere la chiave del successo di una buona Soap Opera Sequence: per questo motivo 4 email su 5 devono essere finalizzate per questo scopo. Si tratta di “trascorrere” del tempo con i propri lettori e per farlo è necessario avere in mente il proprio target di riferimento. Scrivere in modo semplice ed evitando allo stesso tempo frasi a effetto è consigliato, così come inserire il nome dell’utente nell’oggetto della email o nell’intestazione del messaggio. Per creare una certa hype è possibile ricorrere ad altri trucchi: il teaser solitamente funziona.

Come automatizzare la Soap Opera Sequence

Per gestire una SOS è necessario disporre dello strumento adatto per automatizzare queste sequenze (farlo in modo manuale è complicato). Sul mercato sono disponibili qualcosa come 400 tool tra cui scegliere che si differenziano per tipologia di utenza e funzionalità. Uno dei più apprezzati e utilizzati dalle piccole imprese e aziende è ActiveCampaign, una piattaforma che offre diversi strumenti per automatizzare l’esperienza del cliente. Il software dispone di un’interfaccia intuitiva che permette a chiunque di creare sequenze di automazione da zero oppure utilizzando i modelli presenti (sono 125 quelli disponibili). ActiveCampaign piace anche per i costi piuttosto contenuti: sono disponibili diverse tipologie di abbonamento e si parte da 9 dollari al mese per 500 contatti. Un altro tool piuttosto gettonato è HubSpot che mette a disposizione delle aziende una piattaforma di vendita e marketing che include email marketing, marketing automation e altro ancora. Può essere inserito come plugin direttamente in WordPress semplificando così l’invio di campagne email. Le piccole imprese potranno usarlo senza spendere troppo (sono disponibili diverse offerte gratuite), mentre le aziende più grandi (che dispongono di liste di contatti a dir poco sterminate) pagheranno in proporzione molto più. Per questo motivo HubSpot viene scelto principalmente dalle aziende di servizi B2B o dalle agenzie di marketing più importanti: si parte da 45 dollari al mese per 1.000 contatti (è possibile iniziare con un account gratuito, massimo 100 contatti). Se si punta al puro marketing automation, Ortto è probabilmente la soluzione migliore. Questo software è in grado di semplificare i workflow di automazione e allo stesso tempo offrire un’integrazione con i principali strumenti che solitamente vengono utilizzati dalle aziende. Si parte da 49 dollari al mese per 2.000 contatti

Ricapitolando, l’email marketing è ancora vivo e vegeto e offre ancora un tasso di conversione dei prospect superiore a qualsiasi altra tecnica. Per sfruttarlo al massimo è necessario studiare una Soap Opera Sequence adeguata e automatizzare il processo con il software giusto.

Politici italiani su LinkedIn, il caso Tajani: la mia intervista per Affaritaliani.it

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Il 12 agosto 2022 sono stato intervistato da Affaritaliani.it, in piena campagna elettorale, per parlare dell’uso che fanno di LinkedIn i politici italiani (“La campagna elettorale corre sui social: LinkedIn trascurato, ma non da Tajani“).

Mi sono concentrato sul caso di Tajani, ecco il mio contributo.

Affaritaliani.it ha chiesto un parere sul tema al comunicatore digitale Gianluigi Bonanomi, che forma aziende, professionisti ed enti sull’uso strategico di LinkedIn: “L’utilizzo di questa piattaforma da parte dei politici italiani è particolarmente controverso. Sono pochi gli esempi virtuosi. Tra questi segnalo Antonio Tajani. Il suo profilo ha tre caratteristiche vincenti:

  • presenta buone immagini (la parte visuale sui social è sempre più importante);
  • è tutto sommato completo;
  • infine, è attivo, con un buon ritmo in termini di post”.

Gianluigi Bonanomi, che è anche autore del libro Il candidato digitale: L’arte della campagna elettorale nell’epoca dell’algocrazia e del post-Covid (con il vicedirettore di Affari Lorenzo Zacchetti), dà anche delle indicazioni pratiche: “Stando sul caso pratico di Tajani, il suo profilo per risultare perfetto avrebbe bisogno di queste altre tre cose:

1) Ulteriore completamento del profilo, segnalando competenze e progetti;

2) Uso strategico degli hashtag nei contenuti cosa spesso trascurata dai politici, che invece dovrebbero ‘cavalcare’ i temi del momento (per esempio la #flattax);

3) Puntare di più sui video, tipologia di contenuto che tutte le piattaforme social ora bramano.

Sono molti, viceversa, i politici che hanno aperto il profilo e non lo stanno sfruttando al meglio. Anzi, in alcuni casi i profili si rivelano boomerang comunicativi”.

Il corso sui social per la PA

Ho parlato abbondantemente di questi temi (LinkedIn per la pubblica amministrazione compreso) nel videocorso che ho registrato per Primopiano: “Web e social per la PA“.

Gli hashtag su LinkedIn: l’infografica

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Nell’ambito del corso di Net Marketing che ho tenuto presso l’Accademia SantaGiulia di Brescia, un gruppo di lavoro composto da Giulia – Boselli Botturi, Roberta Cannavò, Eleonora Manzo e Monica Velaj – ha creato un’infografica sull’uso degli hashtag su LinkedIn in 15 passaggi. Eccola qui:

Hashtag-LinkedIn

Il lavoro è stato presentato così su LinkedIn da una delle autrici, Eleonora Manzo:

Qual è la differenza tra marketing e comunicazione? [Lavori di gruppo del corso di Net Marketing dell’Accademia SantaGiulia]

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Dal marzo 2022 tengo il corso di net marketing (titolo anni Novanta!) presso l’Accademia di Belle Arti SantaGiulia di Brescia. L’obiettivo del corso è far comprendere agli studenti i concetti chiave del digital marketing e della comunicazione digitale aziendale.

Nella prima lezione, tenuta il 10 marzo, il tema chiave era la differenza tra marketing e comunicazione, spesso poca chiara. In realtà la differenza è netta. Secondo una definizione classica, “il marketing, attraverso l’analisi della domanda, individua i bisogni del cliente e definisce le azioni e i processi atti a soddisfarli, creando il massimo profitto per l’organizzazione da diversi punti di vista: economici, reputazionali, di accrescimento della brand equity (valore della marca) e di opportunità di mercato”. Tra gli strumenti a disposizione di chi fa marketing c’è anche la comunicazione: sito Web, campagne social, brochure, volantini, eventi, spot e così via. Secondo Paolo Enrico, prima di essere comunicazione, il marketing è strategia, vision, coordinamento.

Per spiegare questa differenza ho citato il caso dell’acqua minerale in bottiglia, che puoi ascoltare in questo video:

Dopo la parte teorica, gli studenti si sono divisi in gruppi per fare degli approfondimenti, analizzare casi di studio e realizzare delle presentazioni sulle diverse tematiche. Riporto in questa pagina i loro contributi.

Un gruppo (composto da Monica Velaj – Marco Grandi – Marco Muzzin – Luca Perini) ha lavorato sulla differenza tra marketing e comunicazione a partire dall’esempio di Gilette, citando la campagna “Shave like a bomber” con Bobo Vieri:

Caso_studio_Marketing_Comunicazione_Gilette

Un altro gruppo (Martina Bellomi – Maria Boninsegna – Giulia Boselli-Botturi) ha analizzato il viaggio del cliente (con il modello delle 5A, che ho illustrato nel video sull’Oculus) prendendo a esempio il caso della GoPro:

Caso_studio_5A_GoPro

Un terzo gruppo (Alberto Venturini – Elia Tabarelli – Elena Sandrini – Roberta Cannavò – Pietro Fausto Filareto) ha illustrato le differenze tra inbound marketing (o content marketing) e outbound marketing:

Inbound_outbound

Qui invece l’anali della comunicazione social di Trussardi  (che avevo trattato nel video “Perché le foto social di Trussardi fanno schifo? 3 ipotesi campate per aria“) da parte del quarto gruppo (Bianchessi Eugenia – Facchinetti Sara – Ferrari Cristian – Fornari Sara):

Caso_studio_Trussardi

Infine un ultimo gruppo (Eleonora Manzo – Laura Ferri – Francesca Chiabotto – Giovanmaria Crescini) ha trattato del rebranding da Facebook a Meta:

Brand_washing_facebook

 

 

[VIDEO] Empathy map: che cos’è e come si usa?

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L’empathy map è uno strumento che permette un’esplorazione condivisa dei profili utenti e dei potenziali clienti, inducendo a un’immedesimazione empatica nei confronti della loro esperienza. Creata da Dave Gray, si presenta come un grande canvas diviso in 6 settori e al centro il profilo di una persona. Ho trovato questa mappa sul libro “Da zero al brand” dell’editore LSWR.
In questo video spiego come funziona e come l’ho applicata nel caso del mia startup Link&Lead:

Per acquistare “Da zero al brand”:

 

Creare un news magazine personalizzato: cos’è Feedly e come usarlo al meglio

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Uno dei servizi più apprezzati del colosso di Mountain View è stato per molto tempo Google Reader, il lettore di feed RSS lanciato nel 2005 e che per 8 anni è stato il punto di riferimento degli internauti alla ricerca di preziose news e aggiornamenti in tempo reale.

A sorpresa, Big G chiuse inaspettatamente il servizio nel 2013 per poi riesumarlo in modo a dir poco “sorprendentemente” nel corso del 2021 all’interno dell’app Chrome per i dispositivi Android. Per ora Google Reader non è ancora disponibile per iOS (è in arrivo), mentre della versione desktop (PC e Mac) non si hanno ancora notizie certe.

Nel frattempo, il ruolo di Google Reader è stato ricoperto con successo da quel Google Discover che viene utilizzato da centinaia di milioni di persone per leggere le notizie al mattino o durante l’arco della giornata (funziona da mobile). Questo servizio di Google, infatti, crea un feed personalizzato in base agli interessi dell’utente, alla cronologia delle sue ricerche, alla posizione in cui si trova e altri parametri: insomma, Big G utilizza gli algoritmi alla stregua dei vari Facebook, Twitter e compagnia bella. La somiglianza con l’apprezzato Google Reader finisce qui: il vecchio servizio di Google, invece, permette di selezionare, organizzare e sfogliare le proprie fonti preferite e di averle sempre a disposizione, un po’ come fanno abitualmente gli altri aggregatori di notizie (Flipboard o Feedly, per esempio).

Feedly, l’aggregatore di notizie fai da te

La rassegna stampa, ormai, viene gestita e controllata dagli algorimi che sono sempre più presenti nelle vite delle persone: solo loro a suggerire all’utente le notizie più interessanti – o considerate tali – della giornata. Se sei alla ricerca di un aggregatore di notizie meno controllato o più semplicemente vuoi essere tu a selezionare le fonti invece di qualche algoritmo, ti consiglio di provare Feedly, un aggregatore di notizie gratuito e davvero semplice da usare.

Nel periodo compreso tra anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio, usare i feed RSS (Rich Site Summary) era il modo più semplice per essere informati sui contenuti proposti da un sito web senza essere costretti a visitarlo quotidianamente. L’esplosione delle piattaforme social ha relegato in un angolino questa tipologia di servizi che, però, viene ancora supportata dalla maggioranza dei siti web. Non solo: molte persone, infatti, amano ancora ricevere le notizie in questo modo e se sei anche tu una di queste, è arrivato il momento di usare un aggregatore di news come Feedly. Disponibile come web app per PC, tablet e smartphone, questo feed reader era inizialmente utilizzabile “solo” come app (iOS e Android) o come estensione per i browser più diffusi (Firefox e Chrome).

Il funzionamento di Feedly è qualcosa di estremamente semplice: ogni volta che un sito dei tuoi preferiti pubblica un nuovo contenuto, il programma te lo metterà a disposizione e tu potrai leggerlo. Tutti i tuoi contenuti/aggiornamenti vengono successivamente raggruppati in un’unica interfaccia e avrai la possibilità di consultarli sia quando utilizzi il tuo computer, sia quando ti trovi fuori di casa attraverso i dispositivi mobile. È importante ricordare che Feedly è disponibile in versione gratuita mentre quella a pagamento ti permette di selezionare ancor più fonti e di non aver contenuti sponsorizzati.

Come organizzare i propri feed

Per ricevere gli aggiornamenti via RSS, la prima cosa che devi fare è aggiungere gli URL che ti interessano al servizio. Il procedimento è semplice e immediato: dopo aver registrato il tuo account (personale o oppure aziendale) non devi fare altro che cliccare sulla voce “Add content” e incollare l’URL o il sito che vuoi aggiungere. A questo punto il programma ti proporrà una serie di risultati e, una volta trovato quello che ti interessa, non devi fare altro che cliccare su “Follow” per seguire la fonte. In questo modo, potrai avere gli aggiornamenti che ti interessano e nell’ordine che stabilirai: infatti, Feedly ti permette anche di sistemare le tue fonti. Per farlo, il programma non fa altro che usare i classici tag. Grazie a queste etichette puoi catalogare i tuoi siti di riferimento e, soprattutto, suddividere i contenuti anche per categorie: i tag sono visibili nella sezione “Feeds”. Per leggere le news più recenti non devi fare altro che andare nella sezione “Today”: li troverai gli ultimissimi aggiornamenti. Cliccando su “All” potrai invece raggruppare tutti i contenuti delle tue fonti che saranno proposti in ordine di pubblicazione: più fonti aggiungerai, più dettagliata sarà la tua rassegna stampa. Tra le diverse funzioni che offre Feedly c’è anche quella che ti permette di personalizzare la lettura: si possono cambiare le dimensioni dei caratteri e le impostazioni di visualizzazione (il titolo o un pezzo del testo o quello che vuoi) e anche l’ordine di fruizione dei contenuti e molto altro. Puoi configurare la tua lettura in base alle tue necessità e decidere di visualizzare solo gli articoli che non hai ancora letto o salvare quelli che sono troppo lunghi: Feedly ti dà carta bianca e ti permette di organizzarli come vuoi creando dei gruppi tematici o delle liste e così via. Il programma ti permette anche di utilizzare altri servizi come Evernote, Pocket e OneNote per condividere o salvare i tuoi contenuti.

Tre diverse versioni a pagamento di Feedly

Nella maggior parte dei casi, la versione base di Feedly dovrebbe essere più che sufficiente: vengono supportate un centinaio di fonti e l’unico prezzo da pagare è un po’ di pubblicità gratuita.

Feedly permette di avere un’esperienza estremamente personalizzata: se vuoi aggiungere più fonti alla tua rassegna stampa puoi ricorrere alle versioni a pagamento di Feedly che offrono anche degli strumenti che possono esserti utili. Questo servizio prevede diverte tipologie/piani di abbonamento: con la versione Pro (circa 6 dollari al mese) si possono avere fino a un migliaio di fonti e vengono eliminati tutti i contenuti sponsorizzati, oltre a una ricerca più dettagliata e veloce grazie a una serie di filtri non disponibili nella versione gratuita. Se usi Feedly per il tuo sito web/blog, la versione Pro di offre l’oppurtunità di integrarlo direttamente, di usare una piaffatorma IFTTT (per far interagire tra di loro centinaia di applicazioni e dispositivi automatizzando una serie di task), di collegarlo ad altri servizi come LinkedIn, Buffer, e Zapier. Con la versione Pro+ (circa 8 dollari al mese) invece puoi avere tutti i contenuti della Pro oltre ai feed di Google News, Twitter e persino quello delle newsletter. Le fonti che puoi aggiungere sono 2500 e la possibilità di avere a disposizione l’assistente virtuale Leo di Feedly è un plus da non sottovalutare: l’intelligenza artificiale, infatti, ti può essere utile per scoprire dei nuovi contenuti e, soprattutto, beccare tutti quelli che sono sponsorizzati. Se invece vuoi utilizzare questo servizio per la tua azienda, la versione Enterprise (i primi 30 giorni sono gratuiti, poi è necessario scegliere un piano di abbonamento personalizzato) ti permette di avere tutto quello compreso nei piani Pro e Pro+ e ben 7500 fonti da aggiungere, oltre all’integrazione con altre piattaforme come Slack e Microsoft Teams. Da segnalare, poi, la possibilità di creare newsletter personalizzate e una versione ancor più potenziata dell’intelligenza artificiale di Leo, pronto a fronteggiare anche minacce di cybersecurity e altro ancora.

Se non ti fidi degli algoritmi di Google…

In un mondo in cui le decisioni algoritmiche tendono a scandire ogni aspetto della quotidianità, avere la possibilità di selezionare le proprie fonti di informazioni è un plus da non sottovalutare.

Se come molti altri utenti non ti senti particolarmente soddisfatto del lavoro che svolgono ogni giorno gli algoritmi di Google Discover, hai davvero bisogno di cambiare. In attesa di comprendere le intenzioni di Big G con il “redivivo” Google Reader, la soluzione ai tuoi problemi può essere un servizio come Feedly: si tratta senza ombra di dubbio di uno dei migliori lettori RSS disponibili sul mercato, un aggregatore di news capace di non disperdere le informazioni che ti interessano e di fari scoprire anche nuovi contenuti. Feedly non è di certo l’unico lettore di questo tipo che puoi trovare online (tra i più apprezzati ti segnalo  ancge Digg Reader, InoReader o Feedspot) ma è probabilmente il più popolare.

Il Brand Activism spiegato in 5 esempi

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Il tempo passa, cambiano le abitudini. Non c’è solo la pandemia a preoccupare: l’emergenza climatica, il riscaldamento globale, le discriminazioni sono alcuni dei problemi che affliggono la nostra società, composta più da consumatori che da esseri umani.

In un mondo in cui i media tendono a celebrare “solo” quei personaggi che ce l’hanno fatta o quei brand che sono diventati iconici, i più giovani sono diventati i principali promotori di un cambiamento per salvare non solo il pianeta ma l’intera società. Dopo aver richiesto a gran voce non solo a politici, banchieri, economisti e ad altre figure di primo piano del panorama mondiale di assumere una posizione netta per risolvere i problemi più sentiti, i ragazzi e le ragazze appartenenti alla generazione dei “Millennials” o a quella successiva della “Gen Z” hanno rivolto la loro attenzione ad aziende e imprese.

Il voto col portafoglio, per esempio, è un termine coniato da: Leonardo Becchetti (Ordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma “Tor Vergata”) per premiare o, viceversa, punire, aziende e nazioni responsabili (o irresponsabili) dal punto di vista sociale e ambientale. Perché la “dichiarazione del purpose” ai ragazzi e alle ragazze di questa generazione ormai non basta più: è necessario passare all’azione. Infatti, nel processo decisionale che porta all’acquisto, le nuove generazioni prestano attenzione ad altri fattori come i valori e la possibilità di riconoscersi in un brand piuttosto che la qualità del prodotto/servizio oppure il suo costo. Le aziende/brand che prendono posizione sono apprezzatissime dai Millenials o dai Gen Z.

È cambiata la percezione del brand

Se fino a qualche anno fa le aziende creavano valore semplicemente sfruttando le risorse interne, negli ultimi tempi c’è stato un cambio di paradigma: le stesse società (più specificatamente i brand) hanno stravolto completamente il loro approccio e hanno iniziato a utilizzare prodotti e servizi per trasmettere messaggi di carattere politico, sociale e culturale.

Il brand stesso è diventato qualcosa di più di una semplice marca: si è trasformato nell’espressione di quei valori che sintetizzano la visione aziendale e che sono parte integrante della strategia di comunicazione. Azienda e brand diventano così i promotori di un modello di business in cui il raggiungimento degli obiettivi economici è correlato o subordinato all’impegno stesso degli stessi soggetti in cause di rilevanza sociale, politica e ambientale: il famoso “brand activism”.

La nascita del brand activism

Contrariamente a quello che si può pensare, il brand activism è un fenomeno piuttosto recente: il libro “Dal purpose all’azione” scritto da Philip Kotler e Christian Sarkar è quello che è possibile considerare come il manifesto/testo di riferimento di questo modello di business. In base alla definizione data dai due autori, il brand activism non è altro che

La strategia (o le strategie) attraverso cui un’azienda si fa promotrice di una causa.

Oltre a stravolgere la visione stessa dell’azienda, questo modello punta a stravolgere anche il processo decisionale dei clienti nella fase di acquisto. Il brand activism può essere di due tipi, progressivo o regressivo.

Nel primo caso, le aziende/imprese si fanno carico del cosiddetto benessere collettivo impegnandosi in una serie di “cause” sociali: è una strategia che viene utilizzata soprattutto per migliorare la reputazione di un brand, soprattutto se operano in certi settori.

Nel secondo caso, invece, le aziende puntano a massificare il profitto e a minimizzare gli effetti negativi dei propri prodotti su temi come la salute o l’ambiente: l’industria del tabacco è il classico esempio (basta ripensare ad alcune celebri campagne pubblicitarie del passato).

Un altro aspetto che è importante considerare è l’ambito in cui viene svolto/proposto il brand activism. Il campo sociale, per esempio, viene utilizzato spesso dalle aziende, così come quello economico e politico. Negli ultimi anni, le tematiche ambientali hanno conquistato il cuore di molti prestigiosi marchi: il brand activism, però, può essere utilizzato anche per questione organizzative lavorative o per politiche interne. Se i più giovani  tendono ad apprezzare quelle aziende capaci di prendere una posizione netta su questioni di carattere politico/sociale, gli adulti paradossalmente sembrano credere meno nell’importanza del brand activism.

Il brand activism funziona davvero?

A questo punto ti starai sicuramente chiedendo se il brand activism sia davvero efficace. Quando il consumatore acquista un prodotto o un servizio cerca qualcosa che rispecchi e incarni i valori in cui crede: con l’acquisto chiede anche all’azienda di agire, di diventare parte attiva del cambiamento e di farsi carico dei problemi sociali. Durante la pandemia, infatti, il brand activism è letteralmente esploso: l’emergenza sanitaria ha spinto molte aziende e marchi prestigiosi a dare “quel” qualcosa in più per migliorare la società. Per farti capire come funziona il brand activism, eccoti una serie di esempi, alcuni più clamorosi (vedi Nike) altri molto più vicini a noi.

Nike contro le discriminazioni

Il colosso dell’abbigliamento sportivo di Beaverton non è nuovo a campagne di questo tipo. Per esempio, nel 2018 aveva firmato come testimonial nientepopodimeno che l’ex quarterback dei San Francisco 49ers Colin Kaepernick, messo letteralmente al bando dall’intera lega NFL per essersi inginocchiato durante la celebrazione dell’inno nazionale durante le partite. Con questo gesto il giocatore cercò di sensibilizzare l’opinione pubblica statunitense sull’oppressione degli afroamericani e delle minoranze etniche. Questo è un perfetto esempio di brand activism: Nike lo ha preso come testimonial della campagna “Believe in something, even if it means sacrificing everything” (credi in qualcosa, anche se significa sacrificare tutto il resto) con tanto di “Just Do It” piazzato nei cartelloni pubblicitari. E sempre in tema di discriminazione razziale, la multinazionale americana ha recentemente cambiato in una campagna pubblicitaria il suo iconico slogan “Just Do It” in “For Once, Don’t Do It” (per una volta, non farlo).

Diesel in favore della sostenibilità ambientale

Un altro esempio di bran activism può essere la campagna realizzata da Diesel in piena pandemia. Con “Diesel for Responsible Living” il messaggio dell’azienda di Renzo Rosso è stato chiaro e in linea con le aspettative delle nuove generazioni che richiedono una presa di posizione netta in favore della sostenibilità ambientale ed economica per avere un futuro migliore. Considerando che Diesel si è sempre distinta per l’innata capacità di rompere i soliti schemi, il brand activism in questo specifico contesto funziona ed è credibile.

Loop, l’economia circolare è una necessità

Ogni anno lo spreco alimentare riguarda oltre un terzo del cibo prodotto nel nostro pianeta. Sprecare cibo equivale a sprecare anche le risorse usate per produrlo (terra, energia e acqua), senza dimenticare un aumento nella produzione dei rifiuti alimentari e un incremento nelle emissioni di gas serra. Lo spreco non riguarda solo il consumatore finale ma l’intera filiera produttiva.

Per limitare questo spreco, Loop ha puntato sulla realizzazione di packaging riutilizzabili. Il nome dell’azienda/brand è una certezza: il termine “loop”, infatti, viene utilizzato per indicare un processo continuo e circolare. Il cliente utilizza il prodotto e Loop si occupa di riprenderlo e di predisporlo al riuso. Sono numerosi i brand che hanno aderito a questa iniziativa: si parla di colossi del calibro di Nestlé, Carrefour, Tesco, PepsiCo, Coca-Cola e altri ancora.

Refurbed, l’azienda che rigenera i device elettronici per salvare il pianeta

Il mercato dei dispositivi ricondizionati è in continua evoluzione e si sta ingrandendo velocemente. Il processo produttivo degli smartphone è dannoso per l’ambiente: quindi, quando si acquista un prodotto rigenerato si salvaguardia il pianeta.

Refurbed è una piattaforma che si occupa di rigenerare e rivendere dispositivi elettronici. Oltre a garantire un significativo risparmio, Refurbed per ogni prodotto venduto pianta un albero in un paese a scelta del cliente.

Oberalp, l’azienda che rispetta la montagna

Specializzata nella produzione di abbigliamento e attrezzature alpine, Oberalp è un’azienda altoatesina che punta forte sulla sostenibilità ambientale. Perché essere ambientalisti significa anche scegliere materiali sostenibili e limitare inquinamento e sprechi. Riciclando della lana Oberalp, per esempio, crea delle giacche, mentre i residui delle lavorazioni tessili diventano magliette, guanti e altri capi di abbigliamento. Oltre a trasformare i rifiuti in oggetti di design (grazie al supporto dell’Università di Bologna), l’azienda di Bolzano ha limitato nella produzione l’utilizzo dei perfluorocarburi (si parla di 65%). In questo video si parla anche di work-life balance dei dipendenti:

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[VIDEO] Le risate finte dai Jefferson a The Big Bang Theory e i titoli online

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Come sfruttare il bandwagon effect – o effetto gregge o anche riprova sociale – per rendere più potenti i titoli: tre esempi.

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[VIDEO] Personal branding e posizionamento: P&G, Master of none e il veggente

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In questo video sul personal branding e il positioning parlo di:

  • La strategia di branding di Procter & Gamble
  • La serie TV Netflix “Monster of none
  • Il veggente che vendeva anche le bombole a gas
  • Il tutto fare di LinkedIn

Buona visione:

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