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Come (e perché) applicare lo schema A.I.D.A. alle newsletter

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Le newsletter rimangono uno degli strumenti di marketing digitale più efficace. Nonostante l’e-mail negli anni abbia un po’ perso il ruolo di strumento di comunicazione digitale più usato – prevalentemente a causa delle miriadi di appi di messaggistica istantanea – le newsletter consentono di raggiungere un numero elevato di persone a un costo vicino allo zero. Sicuramente creare il database di indirizzi e-mail ha un costo significativo in termini di tempo e risorse economiche, ma una volta pronto, e costantemente aggiornato in automatico con i nuovi contatti, il suo impatto sulle attività di marketing è notevole.

Se ancora non stai sfruttando il tuo database di indirizzi e-mail, pensando che sia poco efficace e sia meglio fare pubblicità, ti consiglio di ripensare la tua strategia: se da un lato è vero che solo una piccola percentuale di chi riceve le newsletter le apre, dall’altro si tratta sempre di uno strumento di promozione molto potente che fa leva su dei prospect, persone che quindi hanno già manifestato interesse per i tuoi prodotti o servizi. Contatti “caldi”, potremmo dire, più propensi ad ascoltare quello che hai da dire.

In questo articolo non voglio insegnarti come creare un database o cercare nuovi contatti, però, ma voglio concentrarmi su un aspetto per certi versi ancora più importante: ottimizzare il contenuto in modo da renderlo più intrigante e interessante per i lettori, così da migliorare di qualche punto percentuale l’efficacia delle tue newsletter. E mi concentrerò su uno dei metodi più utilizzati nel marketing per creare contenuti – in grado di convertire: il metodo A.I.D.A.

Cosa è metodo A.I.D.A. e perché dovresti applicarlo alle tue newsletter

Il metodo AIDA è attribuito allo statunitense Elias St. Elmo Lewis, considerato uno dei pionieri nell’ambito delle pubblicità e delle vendite, che in una delle sue pubblicazioni specificava che

L’obiettivo di una pubblicità è quello di attrarre i lettori, così che guardino l’annuncio e lo leggano. Poi lo devono interessare, così che prosegua nella lettura. E infine lo devono convincere, così che una volta terminata la lettura gli dia credito. Se un annuncio risponde a questi tre requisiti, allora è un annuncio che funziona”.

Negli anni Sessanta questo metodo ha acquisito una grande popolarità fra chi lavorava nel marketing e tutt’ora è uno degli approcci più utilizzati nella stesura di testi pubblicitari.

A.I.D.A. è l’acronimo di Attenzione, Interesse, Desiderio e Azione.

A come Attenzione (Attention o Awareness): una pubblicità deve catturare l’attenzione del consumatore. Ogni giorno una persona è mediamente esposta a un numero di annunci che varia da qualche decina a qualche migliaio. Solo una piccola parte di questi arriva a destinazione, motivo per cui il messaggio deve essere eccezionale.

I come Interesse (Interest): una pubblicità deve accendere l’interesse del consumatore. Dopo aver catturato l’attenzione, occorre riuscire a farsi leggere davvero. Si dice, in particolare, che il messaggio deve catturare l’attenzione selettiva.

D come Desiderio (Desire): una pubblicità deve innescare il processo di creazione del desiderio da parte del consumatore. Quando il consumatore si identifica nella situazione pubblicitaria proposta, si verifica una sorta di proiezione del suo io, della sua personalità, nel messaggio stesso.

A come Azione (Action): una pubblicità deve condurre all’azione, che si concretizza nell’acquisto del servizio o del prodotto.

Praticamente, il concetto è quello di colpire subito il destinatario della pubblicità, nel nostro caso la newsletter, così da spingerlo ad approfondire, aprendo la newsletter e andando fino in fondo. E condurlo, infine, alla CTA, la Call To Action., che può essere cliccare su uno dei link presenti nella newsletter stessa.

Il modello A.I.D.A. applicato alle newsletter: Attenzione

Punto primo: attirare l’attenzione del destinatario. Questo significa evitare quello che accade in più del 95% dei casi: che venga cestinata.
Cosa puoi fare per stimolare l’attenzione? Su una pubblicità puoi sfruttare un’immagine di forte impatto, ma qui hai solo l’oggetto (che poi è praticamente un titolo). Pochissime parole per convincere il lettore: “Vale la pena di andare oltre!”

Uno degli errori più comuni di chi realizza newsletter è spesso questo: non dare la giusta importanza all’oggetto. Puoi aver realizzato il miglior contenuto del mondo, ma senza un invito alla lettura forte, un titolo efficace, non riuscirai a diffonderlo come merita.

Da evitare assolutamente gli oggetti troppo generici, tipo

  • Tutte le novità del settore XXX
  • Un’offerta imperdibile
  • Presentati il giorno 15 maggio a partire dalle 10:00 nel nostro store di Piazza Duomo per ricevere uno sconto del 20% sui TV OLED LG 65” in offerta

Il primo non dice fondamentalmente nulla e probabilmente si perderà con altre decine di mail simile.

Anche parlare genericamente di offerta non ha senso: devi specificare se si tratta di un profumo, una bicicletta, un servizio, una cena.

Infine, l’ultimo di per sé potrebbe essere un messaggio intrigante. Si parla di uno sconto forte e specifica che si tratta non solo di un TV, ma anche marca e dimensioni. Il problema però che è troppo lungo e articolato per essere efficace. È vero che non hai troppi limiti di spazio nel campo oggetto, ma il punto è cogliere l’attenzione subito, fornendo solo l’essenziale. In questo caso lo sconto e il prodotto. Tutto il resto puoi tenerlo per dopo: ti tornerà utile da sfruttare nel passaggio successivo, quello dell’interesse.

Un oggetto che può funzionare è

  • TV LG OLED 65” col 20% di sconto. Solo il 15 maggio

Se la tua newsletter non è un’offerta, ma include una serie di contenuti, come può essere quella di un sito editoriale, ti consiglio di concentrare l’attenzione sulla notizia più d’impatto, quella che probabilmente rappresenterà l’apertura.

Se col TV è semplice, tutti sanno cosa è e cosa fa, quando devi proporre prodotti o servizi nuovi o meno conosciuti, realizzare l’oggetto richiede più attenzione. Per esempio, puoi aver realizzato il miglior software del mondo, ma se poco lo conoscono, non basta mettere il nome nell’oggetto per invogliare. Anzi, potrebbe essere controproducente e rubare spazio prezioso. Qui il ragionamento che devi fare è un altro? A quale desiderio risponde quello che offro? Hai realizzato un software di workflow digitali? L’oggetto potrebbe incentrarsi sul concetto di risparmiare tempo e migliorare la produttività. Una crema antirughe rivoluzionaria e ecologica? Gioca su questi due concetti per attrarre il pubblico e attirare così il loro interesse. Poi gli spiegherai, quando avrà aperto la mail, cosa e come fa quanto promesso.

Ci sono anche alcuni aspetti tecnici da considerare, a partire dal numero di caratteri. A seconda del client utilizzato e del dispositivo, mobile o desktop, cambierà il numero di caratteri visualizzati in anteprima. Un valore che oscilla dai 50 ai 75 circa. Sui dispositivi mobile, quelli più utilizzati, sono ovviamente quelli che visualizzano meno caratteri. Uno studio di Retention Science hanno fatto una serie di esperimenti per capire il numero di parole che “converte meglio”: fra le  6 e le 10.

Come puoi vedere dal grafico, aumentando le parole, scema l’interesse. Il motivo è semplice da comprendere: la maggior parte delle parole in più non sono visualizzate. Quindi, il messaggio rimane parziale, “troncato”. In termini di caratteri, parliamo di 40/60 battute circa. Non stare a impazzire e diventare matto se sono 62, ecco. Fai però delle prove prima dell’invio per verifica che si legga correttamente anche sui dispositivi mobile.

Alcuni usano anche i caratteri speciali: i simboli Unicode, tipo quelli che vedi qui sotto.

Funzionano? Dipende molto dai destinatari e dai contenuti. Se stai mandando offerte di servizi a dirigenti incravattati probabilmente no. Se stai pubblicizzando un servizio di chat o un’e-commerce di prodotti destinati a giovanissimi, può invece funzionare.

Il modello A.I.D.A. applicato alle newsletter: Interesse

Hai realizzato un buon oggetto e sei riuscito a risvegliare l’attenzione del destinatario della tua newsletter e convincerlo ad aprirla. Il lavoro non è finito, anzi, non siamo nemmeno a metà dell’opera. Passiamo però al secondo punto, l’interesse.

Gli hai promesso una cosa, l’hai spinto ad approfondire: ora non vorrai certo deluderlo.

L’errore più grave che puoi fare è quello di non mantenere fede alla promessa che hai fatto: non solo verrebbe cestinata l’e-mail, ma rischi pure che più di qualcuno annulli l’iscrizione alla newsletter perché si è sentito fregato. Una newsletter non è come i titoli di certi giornali online: il clickbait non ti porterà nulla di buono. Se hai promesso uno sconto del 20%, ma in realtà l’offerta è differente, parli di un altro prodotto o, in generale, fuorviante, farai solo arrabbiare i destinatari.

Se invece hai scelto un titolo efficace e coerente con il contenuto, ora hai a disposizione più spazio e strumenti per comunicare il tuo messaggio. E non devi necessariamente impazzire per formattare la mail: sistemi come SendinBlu o MailChimp includono potenti editor che ti aiuteranno a rendere la tua mail accattivante anche dal punto di vista visivo.
Quando la elabori, però, tiene sempre conto di un aspetto: deve essere funzionale, immediata. Non fare lunghi preamboli, non scrivere muri di testo. Devi fare dell’essenzialità il tuo mantra. Che non vuol dire scrivere sgrammaticando usando le “k” al posto di “ch” o abbreviare il non in nn, ma eliminare tutto quello che non è necessario, che distrae l’attenzione. Devi concentrarti sul messaggio chiave: nell’esempio che abbiamo fatto prima, quello della TV OLED, basta aggiungere i dettagli. Il modello preciso, le condizioni, il periodo di validità dell’offerta. Sicuramente, ci deve essere un’immagine di apertura, evidente, che colpisca l’attenzione. E, sull’immagine stessa, devono essere presenti tutte le informazioni. Che si tratti di un TV, o di un servizio, o di qualsiasi altra cosa, se lo scopo della newsletter è quello di pubblicizzare un singolo prodotto, l’immagine non può mancare, e non dovrebbe servire altro. Tutto quello che è necessario deve essere riassunto lì, in quello che il lettore nota subito.
Questo non ti impedisce poi di usare anche del testo, per esempio per specificare ulteriori condizioni o diciture legali necessarie. Ma tienilo al minimo, perché ora dopo aver catturato l’interesse del tuo lettore, si spera anche che hai scatenato il desiderio. E ora devi spingerlo all’azione, non a leggere dettagli trascurabili: devi invogliare il lettore a fare il cliccare sulla CTA, la Call To Action.

Non sempre il messaggio è così immediato come lo sconto su una TV, come abbiamo visto. Ti ho fatto prima l’esempio di un software per il workflow. Probabilmente avrai degli ottimi comunicati stampa, pieni di parole e molto dettagliati, pieni di grafici. Ecco, riassumi tutto, come se si trattasse di un’infografica. Riduci al minino l’uso del testo: devi dire cosa fa, come lo fa, e quali risultati oggettivi porta: taglio del 10% dei costi, produttività incrementata mediamente del 5%. O anche cose del tipo “Suggerito dagli esperti di XXX”, o “Utilizzato anche da realtà come YYY”.

Ma come posso dire tutto in così poco spazio quando Il mio prodotto è complesso, e non si presta alla semplificazione. Beh, questo lo farai dopo, ora hai creato l’interesse. Al desiderio ci penserai al passo successivo.

Il modello A.I.D.A. applicato alle newsletter: (creare il) Desiderio

In certi casi, il desiderio scatta subito dopo la manifestazione dell’interesse. È il caso della TV di cui parlavo prima: non ci vuole molto altro. Nella maggior parte dei casi, però, non è così. Pensa appunto all’esempio del software di workflow che ti ho fatto. Chi ha aperto l’e-mail ha sicuro mostrato interesse, ma non ancora il desiderio: c’è bisogno di più informazioni, anche perché non si tratta di un acquisto di impatto, che si fa su due piedi, senza ragionare troppo. Insomma, ci sono processi più lunghi quando vendi software, o servizi, come può essere una vacanza, un abito fatto su misura, un corso di formazione.

Devi offrire più informazioni, sino a stimolare il desiderio. Queste azioni dipendono dalla natura del prodotto o servizio: puoi invogliarli a guardare un video sul canale YouTube, a seguire il profilo Instagram, Facebook o del social che usa per la comunicazione. O, utile soprattutto nel caso dei servizi complessi, proporre l’iscrizione a un webinar formativo, o contattare l’azienda per una dimostrazione, a scaricare la versione trial di un’applicazione. O puoi usare più di questi metodi contemporaneamente. L’importante è che sulla newsletter la Call To Action sia unica. Puoi anche inserire più di un pulsante che invita all’azione, per esempio all’inizio e alla fine, e anche a metà newsletter (ma ricorda, niente muri di testo, eh. Sfrutta immagini e formattazione per semplificare la lettura), ma l’importante è che puntino tutte alla stessa destinazione, che molto probabilmente sarà una landing page.
Un errore che viene fatto spesso è quello di mandare all’homepage del sito aziendale: meglio predisporre una pagina dedicata solo a quella campagna, con azioni studiate per “corteggiare” quel cliente, offrirgli in un punto tutte le informazioni di cui ha bisogno. In alcuni casi la landing può essere un canale Instagram, Facebook o Youtube: l’importante è che tu possa poi misurare quello che succede. Chi ci arriva, da dove e cosa fa una volta arrivato qui. Alla fine, quello che devi stimolare è l’azione che, nella maggior parte dei casi, sarà l’acquisto del prodotto o servizio.

Questo potrebbe anche richiedere ulteriori azioni da parte tua: il tuo funnel di vendita non può limitarsi alla sola newsletter, che è solo uno dei tanti strumenti che hai a disposizione.

Il modello A.I.D.A. applicato alle newsletter: Azione

Se hai lavorato bene, una parte degli iscritti alla tua newsletter avrà seguito tutto il percorso: avrai destato la loro attenzione, scaturito interesse e, successivamente, desiderio. Non resta che convertili al passaggio successivo: l’azione, l’acquisto. Questa parte del processo è apparentemente quella la più semplice, ma non sottovalutarla. Questo è a tutti gli effetti un test dei tuoi processi di vendita: ora che il potenziale cliente è pronto all’acquisto, devi fare in modo che il processo sia il più semplice e lineare possibile, privo di attriti.

L’esempio perfetto? Amazon! Pensaci: ti arrivano da mille canali messaggi sui prodotti ai quali hai mostrato interesse in qualche modo e una volta giunto sulla piattaforma, sei pronto per l’acquisto, con un singolo clic, sia che ti trovi sull’app o sul sito. Se anche non sei registrato, il processo è semplice e veloce, praticamente immediato. Questo significa togliere gli attriti (friction-less). Non tutti i siti di e-commerce sono così efficaci, e non tutte le aziende hanno messo in piedi processi tanto snelli. Non ti sto dicendo di investire milioni in software di e-commerce o siti esageratamente complessi, ma di ottimizzare al massimo gli strumenti che già hai per semplificare al massimo il processo di registrazione e acquisto.
Per esempio, consentendo di iscriversi tramite Facebook o Google: basta un clic, l’utente sarà felice. Certo, non può mancare anche un’opzione per registrarsi direttamente usando una mail: fai che sia un processo veloce, altrimenti perderai tanti potenziali clienti. Mi capita spesso di registrarmi a servizi realizzati in maniera pessima: una miriade di informazioni personali inutili (e invasive, tipo: sei sposato, hai figli, età, reddito familiare) da inserire, senza possibilità di saltare un solo campo; mille tentativi per inserire una password che “piaccia” al sistema (metti almeno una maiuscola, una minuscola, un numero, un carattere speciale…); per poi finire con captcha incomprensibili, che in più di un’occasione mi hanno fatto dubitare della mia umanità: effettivamente, forse sono un robot se non riesco a passarli per 4 volte di seguito.

Questi attriti sono fastidiosissimi, segno di una pessima esperienza utente, e rischiano di mandare a monte il buon lavoro fatto fino a questo momento. Ecco perché ti consiglio di verificare le tue procedure, farle provare a più persone e studiare, sempre, un modo per semplificarle ulteriormente e renderle scorrevoli. Questo è un lavoro costante, che non avrà mai fine. Un continuo processo di innovazione che col tempo darà sempre più frutti, migliorando il tasso di conversione delle tue campagne. Pensare che a un certo punto “sei arrivato”, e meglio di così non puoi fare, è un errore: ci sarà sempre qualche aspetto che può essere ulteriormente snellito.

Alcuni modelli di newsletter cui ispirarsi

Campaign Monitor ha raccolto 97 modelli di newsletter davvero ben fatti, soprattutto dal punto di vista del design. Li trovi a questo indirizzo: “Introducing the 97 top email marketing campaign examples and designs“.

A.I.D.A.: non solo le newsletter

In questo articolo ti ho spiegato come applicare il metodo A.I.D.A alle newsletter, ma non è stato pensato solo per questo: si tratta di un approccio al marketing e alle vendite che dovresti applicare a tutti i canali. Ogni volta che fai una sponsorizzazione una ricerca su Google, sui social network, o che realizzi un banner, tieni sempre a mente questi passaggi:

  • Come posso attirare l’attenzione
  • Come posso stimolare l’interesse
  • Come scateno il desiderio in chi ha mostrato interesse?
  • Come posso spingerlo all’azione?

La declinazione sarà ovviamente differente a seconda del canale che scegli, e del pubblico di riferimento, ma il concetto alla base di ogni investimento pubblicitario deve partire da questi concetti.

Qui mostro come si applica il modello anche ai contenuti social:

Il corso su newsletter e DEM on demand di Primopiano

Ho realizzato con Primopiano di Milano un corso su newsletter e DEM (direct email marketing) che puoi trovare a questo indirizzo: Corso Newsletter e DEM efficaci

 

[VIDEO] Perché i prezzi finiscono con il 9?

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In questo video parlo dell’effetto ancoraggio tirando in ballo i prezzi che finiscono con il 9, l’età di Pippo Baudo, lo champagne nei menù dei ristoranti e le offerte sui social “a partire da”…

Buona visione:

Cultura e digitale: come i classici e il pop aiutano a capire Web e social

Per vedere altri video su come classici e cultura pop possono spiegarci il mondo del digitale, fai clic qui.

[VIDEO] Ogilvy, il lupo di Wall Street e l’alitosi

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So che il titolo di questo video è spiazzante. Faccio ordine:

  • David Ogilvy è il più grande pubblicitario mai esistito: leggenda di Madison Evenue ha ispirato anche la serie TV Mad Man. Consiglio di leggere “La pubblicità“.
  • Il lupo di Wall Street è riferito a un film con Di Caprio (nel video se ne vede una scena)
  • L’alitosi si riferisce a un caso di studio: quello di Listerine

Nel video si parla anche di fulmini, soldi sul conto corrente e altro ancora.

Buona visione:

Cultura e digitale: come i classici e il pop aiutano a capire Web e social

Per vedere altri video su come classici e cultura pop possono spiegarci il mondo del digitale, fai clic qui.

Comunicazione digitale: il caso di successo Dropbox

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Il sito di Dropbox, servizio di personal cloud molto popolare, è un concentrato di regole di buona comunicazione digitale. Dal tone of voice al puntare su bisogni e problemi, dalla targetizzazione alle FAQ, dai valori alle testimonianze. In questo video mostro i punti forti dei testi del loro sito:

 

[VIDEO] Cesare Ragazzi e lo schema di copywriting P-A-S

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In questo video parto da alcuni spot che infestavano la TV italiana negli anni Ottanta: quelli di Cesare Ragazzi, inventore di un metodo per combattere la calvizie e infoltire i capelli (non entro nel merito del metodo, per alcuni controverso).

Ho analizzato quegli spot, e le pubblicità cartacee, per parlare di uno schema di comunicazione molto diffuso in copywriting e in pubblicità: il P-A-S (problema-agitazione-soluzione). Nel filmato mostro come questo metodo sia molto diffuso anche in tutta la comunicazione digitale (newsletter, post social, comunicati stampa). Buona visione:

Cultura e digitale: come i classici e il pop aiutano a capire Web e social

Per vedere altri video su come classici e cultura pop possono spiegarci il mondo del digitale, fai clic qui.

Titoli online e bias cognitivi

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Il video parte da un verso de “La nuvola bianca” degli Afterhours:

C’è qualcosa dentro di te che è sbagliato e ci rende simili

Parto da qui per parlare di bias cognitivi (costrutti fondati su percezioni errate o deformate, su pregiudizi e ideologie) per capire come vengono sfruttati nei titoli online. I bias che prendo in considerazione sono cinque:

  • semplificazione
  • riprova sociale
  • avversione alla perdita
  • framing
  • negative bias

Buona visione:

Cultura e digitale: come i classici e il pop aiutano a capire Web e social

Per vedere altri video su come classici e cultura pop possono spiegarci il mondo del digitale, fai clic qui.

[VIDEO] Perché non dovresti usare le foto da stock nella pagina “Contatti” del sito Web

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In questo video spiego perché non dovresti usare le foto da stock nella pagina “Contatti” del sito Web e mostro alcuni esempi virtuosi:

[3 VIDEO] Evento “I linguaggi della comunicazione” di MakingLife: comunicazione digitale, A.I., gamification

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Il 5 novembre 2021 sono stato invitato dalla rivista MakingLife all’evento “I linguaggi della comunicazione nelle scienze della vita” per parlare di comunicazione digitale.

Nella prima parte del mio intervento sono partito da una notizia di cronaca di quei giorni (Donald Trump ha fondato il suo social network, Truth). È stata l’occasione per parlare di questi temi:

  • Che cosa si intende per disintermediazione?
  • La scelta dei canali di comunicazione
  • I modelli B2B, B2C ma anche C2B e C2C
  • Che differenza c’è tra social media e social network? (Il caso del Papa su Twitter)

Puoi rivedere questa parte di intervento qui:

Nella seconda parte del mio intervento parto da un’altra notizia: Facebook cambia nome e diventa Meta. Perché Zuckerberg ha preso questa decisione? Qui i temi sono:

Puoi rivedere questa parte di intervento qui:

Nella terza parte dell’intervento alla tavola rotonda sono invece partito da una provocazione: si parla tanto di comunicazione online, ma perché diamo per scontato che nei prossimi anni saranno gli umani a comunicare?

I temi sono:

  • Il ruolo dell’intelligenza artificiale nella comunicazione
  • Esempi di tool per la creazione automatica di testi
  • Il verso scopo della comunicazione online: creare relazioni

Puoi rivedere questa parte di intervento qui:

Contattami per il tuo evento

 

 

[VIDEO] Personal branding: come un punto debole può diventare un punto di forza

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Un tempo ero un giornalista, poi ho iniziato a fare formazione e consulenze in azienda. Il mio passato nelle redazioni era un punto debole – le aziende non amano i giornalisti se non scrivono di loro! – ma è diventato un plus nel momento in cui hanno capito che la mia capacità di creare contenuti per il pubblico rispondeva a una loro necessità.

In questo video spiego come trarre il massimo anche dai punti deboli, in ottica personal branding:

 

 

5 trend di comunicazione digitale per il futuro (che ho scoperto con Exploding Topics)

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Dicembre 2021: tempo di previsioni per il prossimo anno. Ovviamente non parlo di oroscopi, vade-retro, ma di trend di comunicazione digitale. C’è chi parla del consolidamento di trend già noti come iper-targetizzazione, mobile, intelligenza artificiale e via dicendo. Ma su cosa si basano queste previsioni? Spesso su intuizioni personali, sentito dire, letto qua e là. Io preferisco fare previsioni basate sui dati.

Nel 1922 il danese Niels Bohr, premio Nobel per la Fisica, disse:

«È difficile fare previsionisoprattutto sul futuro»

Difficile fare previsioni, a meno che si abbiano a disposizione tantissimi dati e sistemi di analisi predittiva. Sto parlando, chiaramente, dei big data. Nel mio corso “Big data e comunicazione digitale: come costruire un piano editoriale data driven” illustro tanti strumenti per rivelare i trend di interesse del pubblico, ma anche qualcuno per prevedere i trend. Il mio proferito è Exploding Topics.

Che cos’è Exploding Topics?

Qualche tempo fa ho realizzato un breve video, di soli due minuti, dove illustro lo strumento e il suo funzionamento, davvero molto semplice:

Cinque trend di comunicazione digitale per il futuro

Grazie a Exoloding Topics, strumento freemium (parte free, parte a pagamento) che prevede anche una newsletter settimanale, da qualche tempo sto osservando i trend emergenti del mondo della comunicazione digitale. Segnalo i 5 a mio avviso più interessanti:

  1. L’intelligenza artificiale diventa… umanista
  2. Anche gli influencer diventano virtuali
  3. L’uomo, per difendersi, deve puntare sulla comunicazione emozionale
  4. La comunicazione emozionale è fatta soprattutto di immagini e pochissimo testo
  5. Bisogna fare marketing a ogni costo?

Eccoli uno a uno, con tanto di trend di crescita presi da Exploding Topics.

1) L’intelligenza artificiale umanista

Osservando gli ultime trend in termini di comunicazione digitale su Exploding Topics mi sono imbattuto in “Copysmith“. Scopro subito che si tratta di uno strumento di “AI copywriting“. Interessante: stiamo parlando di algoritmi che scrivono al posto nostro, ovvero di generazione automatica di testi. Non solo: questi algoritmi fanno questo lavoro con tutti i crismi, sistemando la SEO, le keyword, i tag, i titoli e tutto il resto. Possono scrivere schede prodotto (qui ovviamente sono più forti), annunci pubblicitari online (ads) ma ben presto alimenteranno bacheche social, blog, articoli di giornale e così via.

Alla base di strumenti come Copysmith (altri sono per esempio Nichesss, copyai e copyPro) c’è GPT-3: si  tratta proprio di intelligenza artificiale (intelligenza artificiale creata da OpenAI , un’azienda di ricerca co-fondata da Elon Musk) che partorisce contenuti con una struttura linguistica – linguaggio umano o linguaggio macchina – e con capacità di machine learning: impara!

Ecco un video che spiega come funziona uno di questi tool, copyai:

L’intelligenza artificiale scriverà i messaggi al posto nostro. Poi si prenderà la briga anche di conversare con i clienti. Manychat è un tool che ho visto crescere su Exploding Topics già dal 2020:

Anche se il trend è rosso (vuol dire che il picco di ricerche è passato), dobbiamo considerare che si tratta di trend americani che solitamente arrivano da noi con un certo ritardo. E infatti ancora adesso il tema dei chatbot personalizzati con Manychat è forte: questa guida, per esempio, è di metà del 2021.

Ecco un tutorial su Manychat, software che permette di creare e gestire dei chatbot professionali su Facebook Messenger e Instagram, automatizzando le interazioni con gli utenti:

2) Virtual influencer

L’intelligenza artificiale scrive e dialoga. Se l’uomo diventa così irrilevante, togliamolo di mezzo del tutto! Creiamo anche dei falsi idoli: gli influencer virtuali.

Faccio prima un passo indietro: la questione influencer è delicata, perché lo scenario è monopolizzato da subrette e cantanti. Esiste però un mondo di micro-influencer, rilevanti in ambiti ristretti, per nicchie di mercato. Esempio concreto: lavoro moltissimo con il mondo finance per progetti di formazione e consulenza; ho scoperto che in quell’ambiente vi è una sorta di venerazione per Ray Dalio, fondatore di Bridgewater Associates, il più grande hedge fund del mondo. In quell’ambito lui è un influencer, al di fuori non lo conosce quasi nessuno. Ma pensa anche al giornalista del settore B2B di nicchia seguito da qualche centinaia di persone, punto di riferimento per quel pubblico business.

Ma veniamo all’influencer che non esiste. Su Exploding topics ho visto crescere il concetto di “virtual influecer”. Siamo ben oltre i bebé e animali influencer (veri famiglia Fennagnez), i follower sono veri ma la celebrità seguita no:

Un esempio di virtual influecer è Imma.gram: una celebrità da 300.000 follower completamente creata al computer da una società che, guarda caso, promuove film come Final Fantasy e il videogioco The Legend of Zelda.

Qui un video dedicato a Imma:

Sempre su Exploding Topics si sta notando la crescita dei Vtuber, gli youtuber virtuali:

Kizuna AI è considerata la prima Vtuber in assoluto.

3) La comunicazione emozionale è l’unica arma di difesa dell’uomo

Per contrastare tutta questa tecnologia e l’intelligenza artificiale, molto poco empatica, la comunicazione umana dovrà essere sempre più emozionale. Un altro trend che mi ha colpito nei mesi passati è “storybrand”:

Storybrand è un’azienda B2B che aiuta i clienti (con formazione e consulenza) a rafforzare il loro marketing e il loro posizionamento grazie allo storytelling. Passata l’era della fisicità e dell’intelligenza (prima creavano valore i forti, poi quelli intelligenti), ora che gli algoritmi sono più intelligenti di noi (passami la provocazione) vi è un ritorno all’umani e alle emozioni. E quindi anche alle storie.

4) La comunicazione emozionale è fatta di immagini e pochissimo testo (o audio)

Il trend della comunicazione digitale degli ultimi anni è chiarissimo: meno testo, più immagini. In perfetto stile Instagram. A volte addirittura zero testo e solo video brevi: vedi TikTok. Insomma: meno ragionamento, più emozioni. Meno messaggi per la neocorteccia, più cibo per i pensieri veloci (per dirla con Kahneman). Il testo, sui vari social, scompare? Non ancora, ma si accorcia ulteriormente. Prendiamo, per esempio, il fenomeno “one word caption”.

Che cosa si intende per “one word caption”? È una parola (a volte una brevissima frase, spesso aforismi sbagliati: povero Oscar Wilde!) che solitamente si usa su Instagram o nello status di WhatsApp. Comunica in modo immediato, come una trigger word, uno stato d’animo, un messaggio, una suggestione.

Qui trovi una lista di oltre 400 “one word caption” in lingua inglese. Qualche esempio:

  • “Homecoming”
  • “Legend”
  • “Speechless”
  • “Daydreaming”

A volte le caption sono associate anche alle emoji:

Non basta contrarre il testo, occorre puntare prevalentemente sulle immagini. Del resto gli esperimenti di eye-tracking ci dimostrano che per ottenere lo “stop the scroll” sui social occorre puntare forte sulle immagini, non sulle parole. In questo grafico, preso da Viralbeat, si può notare anche il tipico F-pattern:

Per puntare sulle immagini  un’azienda o un professionista hanno due alternative: rivolgersi a un professionista oppure arrangiarsi con il “fai da te2. Io, spesso, me la la cavo con Canva.

Da quando ho scoperto Canva, anni fa, mi è cambiata la vita. Ho poca dimestichezza con la grafica digitale, quindi uno strumento che mi consente di creare banner per il blog, miniature per Youtube, post per i social, infografiche, presentazioni accattivanti per me è oro.  L’interesse per lo strumento, che è nato 8 anni fa e che nel frattempo è diventato un unicorno, è ancora in crescita:

 

Sono tante le piattaforme che consentono di scaricare grafiche gratuitamente. UnDraw è un portale che mette a disposizione illustrazioni e immagini vettoriali di alta qualità, ma soprattutto open source:

Ecco un’esempio di un’immagine da scaricare:

E il trend dell’audio? Nonostante il mezzo flop di Clubhouse, l’audio pare essere un trend davvero interessante:

Perché l’audio è un trend destinato a durare? Per tre motivi:

  • L’audio è versatile (posso ascoltare un podcast anche quando corro al parco o sono in coda in tangenziale): basti vedere il trend di crescita degli audiolibri
  • La diffusione degli smart speaker (Alexa, Google Home, ecc.) sta spingendo i contenuti audio
  • L’audio permette di creare contenuti più coinvolgenti. Un ricerca ha rivelato che l’audio digitale lo è più di radio e TV.

5) Marketing a tutti i costi?

Conosci la legge di Sturgeon?

«Il novanta percento di tutto è spazzatura»

Perché la cito? Perché uno dei trend che ho intercettato è il shitposting, una parola poco elegante:

Per shitposting si intende un contenuto brutto, inutile o irrilevante che ha lo scopo di far deragliare una conversazione o provocare gli altri. Esempi? Meme brutti, battute squallide, spam. Ecco un assaggio trash:

Roba da troll, insomma. In realtà non si tratta di un nuovo trend: per qualcuno shitposting era la parola digitale del 2017!

Si può fare shitposting, oltre che per provocare, anche per promuovere? Tradotto: esiste il shitposting marketing?

Tema delicato. Vale tutto pur di attirare l’attenzione? In un mondo caotico e assordante, vince chi grida di più? Possiamo fare un contenuto scadente, sbagliato per, machiavellicamente, ottenere l’obiettivo della visibilità? Faccio un esempio concreto. Qualche tempo fa mi imbatto su Facebook in questo volantino:

Sulle prime mi sono messo a ridere: com’è possibile che un grafico sia così ingenuo da fare un errore così macroscopico? Poi ho capito: se quella comunicazione non fosse diventata virale, non avrei mai scoperto quell’evento… La shitstorm funziona!

Questo è stato definito il “marketing dell’errore” (a volte dell’orrore). Ecco un esempio:

Come racconta Insidemarketing:

Questo visual della campagna di Real Time per San Valentino fece il giro del web indignando i puristi della grammatica. Solo più tardi si scoprì che non si trattava né di un refuso di un copy distratto, né di un apostrofo di troppo, ma che era invece una voluta scelta di genere: il programma lanciato, infatti, raccontava storie d’amore e vicende di coppia, anche di coppie omosessuali.

Lo stesso vale per dei “tone of voice” particolari e provocatori. È il caso Taffo, per esempio. Quanti funerali e bare vende di più grazie al black humor? Pare pochi. “A dirlo sono i dati dello Sprout social index 2017: un atteggiamento irriverente sui social attira l’attenzione dei consumatori, ma non è detto che questo condizioni positivamente le vendite“.

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