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Appunti da un’intervista a Jacques Séguéla

All’università feci un esame di scienza della politica (per alcuni un ossimoro…), dove scoprii l’acqua calda: i politici vedono gli elettori come clienti, il prodotto che vendono dovrebbe essere il loro programma ma in realtà vendono sé stessi, l’elettorato è un insieme di numeri distribuiti su una curva gaussiana e così via.
Tutte queste cose le ho ritrovate nel libro “Presidente da vendere”: si tratta di un’intervista di Domenico Pasquariello a Jacques Séguéla, vera e propria leggenda della comunicazione politica: basti pensare che, come ampiamente testimoniato nel testo, su venti campagne presidenziali ne ha vinte 19.

Da buon pubblicitario, quando Séguéla parla, spara claim. Ho deciso di appuntare tutte le chicche trovate nel testo e le ripropongo, in rigoroso ordine sparso, qui di seguito.

L’uomo politico è una marca.

Non esistono buone interviste, solo buoni intervistatori.

Il denaro non ha idee. Ma solo le idee producono denaro.

Il XIX è stato il secolo dei mercanti. Il XX di industriali e banchieri. Questo è per creativi e visionari, e si parla di “Rivoluzione infostriale”.

Il consumo è un sistema di vasi comunicanti. Una delle branche è il desiderio, l’altra la fiducia.

La coscienza politica è la prima coscienza dell’uomo.

Elezione è seduzione.

Nessuno vince un’elezione. È l’avversario che la perde.

Giornalista una volta, giornalista per sempre.

La vita è un percorso predeterminato, che si decide tra infanzia e adolescenza.

Esiste un punto mediano di comunicazione: al di là degli intellettualismi, tutti hanno le stesse reazioni di fronte alla vita e alla morte.

L’istinto è animale, l’intuito è umano.

Bisogna pensare per immagini, non più parole. Le parole devono essere al servizio dell’immagine.

Occorre liberare il consumatore dal senso di colpa: la pubblicità ha trasformato l’atto di acquisto in atto culturale.

La moda diventa propria moda a seconda delle marche che uno sceglie. La combinazione dei marchi acquistati è personale ed esprime la propria creatività.

Che cosa differenzia un oggetto da un uomo? La parola

La comunicazione è ormai indissociabile dall’esercizio del potere.

“Calunniate, calunniate, qualcosa resterà” (cit. Francis Bacon)

 La società della comunicazione è diventata la società di conversazione. Non si parla più di società di massa ma di persone. Quindi la comunicazione diventa personale. Ogni cittadino è un medium: basta dargliene i mezzi.

“Prossimità” è la nuova parola d’ordine.

Il terzo millennio sarà femminile. Uomo dà morte, guerra. Donna dà la vita, parto.

Ogni atto di consumo è sessuale. Vi è il piacere nell’acquisto. Senso di potere e soddisfazione. La stessa cosa vale per il voto.

La debolezza della sinistra, prima di essere degli uomini e delle idee, è la debolezza della comunicazione.

La vecchiaia è il culto dell’egoismo.

Postpubblicità: Nike rinuncia allo slogan Just do it e lascia solo il simbolo.

Non più martellamento con uno slogan, ma vibrazione. Energia di auto-trasmissione (passaparola).

L’Idea lascia alla storia lo scettro della persuasione: ora vale solo lo Storytelling.

Ma ogni internauta può deformare il messaggio, perché è di fatto comproprietario del messaggio. Ognuno da destinatario diventa emittente.

La comunicazione è sorprendere. Chiedo a un banchiere che cos’è la neve quando si scioglie? Lui risponde: diventa acqua. Per me la neve che si scoglie diventa primavera.

La buona pubblicità è quella che tocca la pancia, non la testa.

Nell’era dell’immagine non avere il look del proprio elettorato è una tara insormontabile.

Solo la sostanza conta, ma è la forma quello che passa.

Il Titanic l’hanno costruito dei professionisti, l’arca di Noè dei dilettanti.

Ogni elezione è una drammatizzazione.

Si vota per il futuro, non per il passato. Nell’urna non esiste gratitudine. Per questo il cambiamento è l’arma fatale di ogni lotta politica.

Il voto è sociologico, non politico. Si sceglie col cuore e non con la ragione.

Sono sempre gli indecisi a decidere un’elezione.

Si vota per lo straordinario, non per l’ordinario. Una campagna è uno spettacolo.

Si vota per un vincitore, non per un perdente.

Non bisogna essere il candidato che si vede di più. Ma quello che si vede meglio.

Si vota per un valore. Non per un’immagine.

 

 

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