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ChatGPT e AI tra fake news e allucinazioni [VIDEO]

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Il 19 aprile 2023 il Washington Post pubblica uno scoop: nell’articolo “Inside the secret list of websites that make AI like ChatGPT sound smart” rivela quali siano le fonti giornalistiche utilizzate per addestrare C6, il dataset usato per il training delle AI di Google e Meta. Si possono controllare anche le fonti giornalistiche italiane, come racconta La Repubblica: il Corriere della Sera e il sito del Governo, ma si notano anche noti portali di fake news. Inoltre nel video spiego perché ogni tanto questi chatbot hanno le allucinazioni.

Il corso su ChatGPT per Primopiano

Ho realizzato un videocorso on demand per Primopiano: puoi acquistarlo qui.

[VIDEO] Come sconfiggere le fake news con blockchain e intelligenza artificiale

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In questo video mostro un paio di esperimenti interessanti di contrasto alle fake news. Ecco le fonti per eventuali approfondimenti:

Buona visione:

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Come evitare epic fail sui social con la ricerca inversa delle immagini di Google

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Il 16 ottobre 2021 l’ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha pubblicato su Facebook questo post per ricordare la notte del Ghetto di Roma:

Apriti cielo: la foto non c’entra nulla con Roma, ma è un’immagine del ghetto di Varsavia. L’epic fail (la figuraccia, in pratica) è virale, nonché bipartisan:

Lo scopo di questo mio articolo è quello di mostrare come sarebbe stato possibile evitare la figuraccia in pochissimi secondi, grazie alla ricerca inversa delle immagini di Google (già citata nell’articolo Come scoprire se una foto è falsa).
Basta fare clic con il tasto destro sulla foto (nell’esempio uso Chrome) e scegliere, dal menu a tendina, “Cerca l’immagine su Google”:

Nei risultati della ricerca si trovano link e foto:

Si seleziona un’immagine per vederne nome e descrizione, o quantomeno il collocamento all’interno di un sito. In questo caso è palese che si tratta di una foto del ghetto di Varsavia.


Uno strumento alternativo per fare la ricerca inversa delle immagini è TinEye (dove tra l’altro si vede al volo che si parla di Warszaw…):

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Gamification per formazione ed eventi: il case study “Campus Psichiatria 2021”

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Nell’ottobre 2021 sono stato invitato a Roma all’evento “Campus Psichiatria” di Angelini. Il mio compito era quello di parlare agli specializzandi di comunicazione digitale. Dopo una fase preparatoria di un mese, con contenuti sul personal branding (eBook e videopillole su LinkedIn) e due speech (uno online e uno in presenza sulla comunicazione online), il 12 e 13 ottobre si sono svolti i workshop in presenza. In particolare abbiamo progettato e organizzato due workshop:

  • Divulgare contenuti scientifici su LinkedIn
  • La caccia alla fake news

Per rendere più coinvolgente i workshop abbiamo pensato di introdurre l’elemento ludico (gamification).

Il gioco della creazione di un post LinkedIn di divulgazione scientifica

Gli 80 partecipanti al workshop, dopo aver seguito due mie relazioni su “7 errori da non commettere su LinkedIn” e “LinkedIn come social media: l’uso strategico dei contenuti (e la lotta alle bufale online)”, sono stati divisi in gruppi. Nelle quattro sale, i partecipanti sono stati divisi ulteriormente in altri quattro gruppi. Quindi vi erano 16 gruppi in tutto.

Il primo esercizio che hanno affrontato era sulla creazione di un post LinkedIn. Il comitato scientifico, composto da professori e direttori delle scuole di specializzazione di psichiatria, hanno selezionato quattro articoli scientifici, uno per saletta, sui seguenti argomenti: depressione, schizofrenia e disturbo bipolare. Ecco un esempio di articolo:

I ragazzi dovevano leggere l’articolo e trasformarlo in un post per LinkedIn di massimo 1.000 battute (in italiano). I post, caricati su una piattaforma online creata ad hoc, sono poi stati valutati tecnicamente (efficacia del messaggio, tecnicismi LinkedIn come hashtag, menzioni e call to action, ecc.) per poter sceglierne uno solo per sala: questo sarebbe poi stato valutato nuovamente, in plenaria, da comitato tecnico e comitato scientifico, grazie a schede di valutazione con diversi criteri e punteggi. Tra i quattro post finalisti, dopo presentazione da parte dei ragazzi e commento degli addetti ai lavori, è stato poi scelto il migliore per premiare il gruppo vincitore.

Il gioco della caccia alle bufale

Sempre nelle salette, i diversi gruppi si sono poi cimentati nel gioco della caccia alle bufale. Il comitato scientifico aveva scelto quattro notizie, pescate in Rete, sui social, su riviste non specializzate. Per esempio questa:

Durante la plenaria ho spiegato il metodo Trinchero per l’individuazione e l’analisi delle fake news. Consiste in dieci criteri di valutazione:

  1. Accuratezza sito
  2. Aggiornamento, data
  3. Chiarezza. Si capisce a chi è rivolto?
  4. Coerenza interna. Cita le fonti? Sono attendibili o di parte?
  5. Coerenza esterna. I dati citati sono confermati anche da altre fonti siti giornali? Almeno 3
  6. Completezza. Le informazioni sono esaurienti complete o scarse?
  7. Controllabilità. I fatti sono separati da opinioni?
  8. L’autore. È conosciuto? È esperto dei temi trattati?
  9. Trasparenza. L’autore è rintracciabile? C’è un responsabile del sito
  10. Valore aggiunto. Le informazioni sono pertinenti col tema trattato utili per i lettori

I ragazzi dovevano compilare una scheda anzitutto dicendo se la notizia era vera o falsa, e soprattutto motivare il perché. Il comitato tecnico e quello scientifico hanno poi giudicato l’accuratezza dell’esposizione e soprattutto le fonti citate. Anche in questo caso, dopo la presentazione in plenaria, è stato premiato il gruppo che ha fatto il lavoro migliore sia dal punto di vista formale che sostanziale.

 

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Intervista sulle fake news per la Fastweb Digital Academy

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La Fastweb Digital Academy mi ha intervistato sul tema delle fake news:

Cosa si intende con fake news o bufale? Perché nascono? Come facciamo a riconoscere una notizia falsa da una vera? Cosa dobbiamo saper fare per smascherare una fake news? Ci sono siti che ci possono aiutare e la rete come può esserci di aiuto? Il video fornisce risposte a queste e a molte altre domande e curiosità sul tema.

Puoi rivedere qui l’intervista della durata di 22 minuti:

ClickBait, la tecnica per scrivere titoli che acchiappano clic (e che non dovresti mai usare)

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Quando introduco i miei corsi sul Web writing a qualcuno vengono in mente gli scintillanti annunci sul Web che recitano più o meno così:

“Non ti piacerebbe poter scrivere titoli che attirano l’attenzione e portano le persone a cliccare in maniera spasmodica?”

Sono in tanti a usare trucchetti per creare engagement – termine molto in voga sul Web per indicare partecipazione e coinvolgimento – e aumentare il contatore delle visite di Google Analytics. Se alcuni trucchetti non sono altro che ottimizzazioni SEO, che permettono di intercettare con più facilità specifici intenti di ricerca, altri sono degli escamotage psicologici che, pur funzionando (e ne vedrai degli esempi), portano più problemi di quanti ne risolvano.

Parlo dei titoli clickbait, tanto amati e odiati da chi lavora online. Se da un lato fanno felice il capo (o il cliente), perché aumentano i contatori e generano traffico, dall’altro fanno inferocire molti utenti e, sul lungo termine, portano l’effetto opposto, allontanando i lettori più fedeli e minando la credibilità del sito, blog o profilo social.

Il clickbait come il “salto dello squalo” di Fonzie

Clickbait: cosa significa?

Letteralmente clickbait significa “esca per i clic”, anche se la traduzione più diffusa è attira-clic. È esattamente questo: uno stratagemma per attirare la curiosità delle persone (si parla di curiosity gap) e spingerle a cliccare sul link per approfondire. Il termine ha assunto una connotazione negativa perché non sto parlando di headline ben studiate, intelligenti e chiare, ma di una sorta di inganno. In alcuni casi, puntano sulla banalità (“Non immagineresti mai come è andata a finire”), in altri si tratta di titoli fuorvianti, che non hanno alcuna attinenza con il contenuto. In altri casi si tratta di vere e proprie bufale, e non è un caso che fra più prolifici utilizzatori di questa strategia ci siano i siti di complottisti, come quelli che orbitano attorno alla galassia di Qanon.

Faccio qualche esempio, spiegandone la logica

Chi non riesce a svegliarsi presto è più intelligente: lo dimostra la scienza

È ovviamente una sciocchezza, ma sono tanti i siti, anche di importanti realtà editoriali, che sfruttano questo trucchetto. Si prende uno studio, spesso reale, si estrapola un dato e lo si piega alle proprie esigenze. In questo caso, il trucchetto è spingere l’utente a cliccare per soddisfare il proprio ego: a chi non piace dormire sino a tardi? E a chi non piace sentirsi dire che è più intelligente della media? Taac, direbbe Renato Pozzetto: combinando le due cose si ottengono facilmente visite su un articolo scopiazzato male da qualche altra fonte.

È sopravvissuto per miracolo!

Solitamente accompagnato a foto completamente fuori dal contesto, chi usa questi titoli fa leva sulla curiosità delle persone, spesso sulla loro morbosità. Peccato che solitamente non si faccia riferimento a fatti reali. Raramente titoli del genere sono legati a un incidente in Formula 1 o Moto GP, situazioni in cui potrebbero anche essere giustificati, ma a banalità soporifere.

Questa casalinga guadagna 3.640 euro lavorando due ore alla settimana

Un altro modo di attirare l’attenzione (e i clic) è promettere cose impossibili: guadagnare un sacco di soldi lavorando nei ritagli di tempo. Ovviamente la realtà sarà ben diversa, ma quante persone si fanno tentare da queste promesse nel paese delle cartomanti in diretta TV? Solitamente questi titoli sono studiati per colpire l’attenzione di particolari categorie: la casalinga in questo caso, ma può essere uno studente o un pensionato, persone che solitamente hanno un po’ di tempo libero e non gli dispiacerebbe impiegarlo per incrementare i guadagni. La scelta di non mettere una cifra arrotondata, come 3.000 euro, è funzionale, serve a rendere il messaggio più credibile.

Scopri il trucco definitivo per sbancare alla roulette/slot machine/black jack

Un altro sogno ricorrente di tante persone è quello di fregare il sistema. Se poi il sistema è rappresentato da casinò o siti di gambling è ancora meglio, perché si gioca su concetto di rivalsa contro queste entità cattive. E si attirano gli appassionati dell’azzardo, tendenzialmente sensibili a questo tipo di informazioni: sono tantissimi i giocatori legati ai gesti scaramantici o convinti che esistano tecniche magiche (il tema è anche quello dell’ignoranza statistica diffusa). Sono anche i gonzi preferiti dalle case da gioco, che sanno di poter contare sulle loro debolezze per tenerli attaccati al tavolo verde, virtuale o reale che sia. Un trucco che viene usato anche nel mondo reale, e non solo sulla comunicazione online: facendosi un giro a Las Vegas è facile trovare le tabelle sulla strategia ideale per il Black Jack, diffuse dagli stessi casinò. La cosa “divertente” è che non sono quelle vere (facilmente recuperabili online) ma sono modificate leggermente per dare un ulteriore margine di vantaggio al banco.

Facchinetti è scoppiato in lacrime: ecco cosa è successo

Qui siamo al limite della truffa: per dare più credibilità a un titolo e meglio intercettare il traffico e la curiosità delle persone, si cita un personaggio famoso, spesso usando a corredo una sua foto, e ci si costruisce sopra una storia. Palesemente falsa. Illegale? Molto, ma chi ha questo approccio tende a non dare peso alla cosa.

Tutti questi titoli sono stati realmente pubblicati, e non sempre si siti di dubbia professionalità ma, spesso, anche sulle pagine dei quotidiani. A volte come articoli veri e propri, altre volte come link sponsorizzati.

Chiudo il paragrafo con questo caso “raffinato”:

Qual è, in questo caso, il giochino? Il quotidiano Libero lascia intendere che Stasi, noto alle cronache per l’omicidio di Garlasco, sia fuggito dal carcere. Invece è scappato un altro detenuto.

Il clickbait su YouTube

Fino a ora ho parlato di titoli di articoli, ma il clickbait si presta ad ammorbare altre piattaforme, a partire dal portale video per eccellenza: Youtube. Qui il giochetto è ancora più efficace, soprattutto perché è probabile che un video abbastanza cliccato finisca fra quelli consigliati, aumentandone così la portata e le visualizzazioni. L’approccio è quello già visto con la differenza che si propone un filmato e un’immagine di anteprima che colpisce l’attenzione. Molto spesso l’immagine non sarà nemmeno del filmato stesso, ma presa da altre parti, pesantemente ritoccata con Photoshop e usata come miniatura.

Ecco un esempio qui:

Sebbene nel filmato siano effettivamente presenti filmati di animali in lotta, quello che tutti vorrebbero vedere, rappresentato nell’anteprima, è assente. In questo caso di clickbait, a ben vedere non è il titolo che è fuorviante, bensì l’immagine, che è quella che su Youtube ha maggior peso nell’attirare l’attenzione.
Ci sono anche esempi di persone che hanno costruito il successo del loro canale sulla base del clickbait, come il canale touchdalight di Carmie Sellitto. Un esempio della sua “raffinatezza” lo puoi apprezzare qui:

Naturalmente il contenuto non corrisponde minimamente a quanto promesso, ma lascia a bocca aperta come questo personaggio sia riuscito a creare un canale con quasi 700.000 iscritti con video che superano abbondantemente i due milioni di visualizzazioni. Tutti fatti in questa maniera un po’ becera.

Sellitto non è l’unico a usare questi metodi, sfruttati anche da Youtuber molto più seri e seguiti. Un esempio è quello di Casey Neistat[5], il cui canale conta oltre 12 milioni di iscritti; sebbene di recente abbia iniziato a usare molto meno che in passato Youtube per i suoi Vlog, ha sempre avuto la passione per titoli in grado di attirare l’attenzione e in alcuni casi un po’ fuorvianti. Al contrario di molti suoi colleghi, Neistat è un signore: non cerca di scatenare gli istinti più bassi, e usa sempre anteprime provenienti dal video, ma tende a giocare molto sulla curiosità delle persone: alcuni dei suoi titoli sono “Very serious family problem”, “She’s ready to leave”, “THIS HAS NEVER HAPPENED BEFORE!” (sì, tutto in maiuscolo, come se urlasse).

Casey, a differenza di altri, è oggettivamente bravo. Oltre a realizzare ottimi video è anche capace di realizzare titoli chiari, efficaci ed esplicativi. Eccone un esempio:

“THE $21,000 FIRST CLASS AIRPLANE SEAT”, tutto urlato, cosa non proprio elegante è un titolo che, cosa rara, mantiene quello che promette e ha fatto un record di visualizzazioni: si parla di poco meno di 75 milioni di visualizzazioni!

Il clickbait sui social network

Come si può facilmente intuire, i social network sono il regno ideale dove disseminare post clickbait. Il controllo qui è inferiore rispetto a quello che ci può essere su un testata online, e ci sono pagine senza scrupolo che non si fanno problemi a inventarsi bufale spacciate per articoli di giornale. Solitamente a sfondo politico, perché alla fine il populista indipendentemente dal colore è un soggetto che tende a cascarci facilmente. Talvolta l’intento ironico e canzonatorio è evidente (come nel caso di Lercio o della pagina istituzionale dell’immaginario Comune di Bugliano, i cui post taglienti e surreali sono stati condivisi da più di un politico che evidentemente non ha notato il palese sarcasmo.

In questi casi naturalmente non si può parlare di clickbait come mezzo usato per ingannare la gente: se già i titoli sono di per sé un programma (spesso esilarante) facendo clic si viene riportati a cialtronate ancora più divertenti, e mai spacciate per reali.

Un approccio invece molto utilizzato per fini meno nobili delle risate, ma per cercare di strappare qualche misero clic, è quello delle anteprime degli articoli modificate con Photoshop. Un approccio che viene usato più per diffamare avversari politici che per guadagnare clic, almeno su Facebook. In questo caso l’immagine non è cliccabile, e bisognerebbe inserire un link, senza anteprima, nel testo del post. Un approccio che, fortunatamente, porta molti meno clic rispetto alle anteprime cliccabili. Va detto che Facebook ha cercato di fare qualcosa nel tempo per limitare l’abuso di queste tattiche. Inizialmente, infatti, era possibile linkare una pagina e poi cambiare sia l’immagine sia il titolo, rendendo l’anteprima credibilissima. Tanto, si sa, sono in pochi a consultare la fonte, quindi bastava questo ad aumentare l’engagement del post, generando con una balla migliaia di commenti. Oggi, mettendo un link, l’anteprima verrà generata automaticamente basandosi sugli attributi del sito.

Anche su Facebook si vedono alcuni dei classici escamotage usati per i titoli, pur se adeguati alla piattaforma. Si punta a un articolo con una galleria di 10 fatti curiosi? Il tipico clickbait di accompagnamento potrebbe essere qualcosa del tipo “Non mi sarei mai aspettato la numero 7”.  Oppure il classico “Solo una persona su 10 riesce a risolvere questo enigma”. Qui riporto quanto mai esplicativo:

Ecco il trucchetto: il clic è molto più incentivato se si celano i dettagli della notizia. Per la cronaca non era morto un parente o amico di Mourinho, bensì il cane.

Se il clickbait porta traffico e non è illegale, perché non dovresti usarlo?

Il motivo è molto semplice: non porta a fidelizzare i lettori, se si vuole fare informazione. Può pompare le statistiche di un sito, ma si tratta di numeri di vanità (vanity metrics), non di persone realmente interessate. Queste ultime probabilmente si stuferanno presto. Differente il discorso se l’obiettivo è quello di fare ironia, di fare una pagina di fake-news palesemente fasulle per la loro assurdità: in questi casi, non si sta informando il pubblico, ma gli si sta regalando una risata, e i questi casi lo stile e la serietà possono tranquillamente venire meno, se ben fatti. Ma intrattenere non è da tutti, e le tante imitazioni di Lercio non arrivano nemmeno lontanamente ai numeri che può fare Lercio.

La mia masterclass sul Web writing

Se vuoi seguire la mia masterclass sul Web writing, collegati al sito di Primopiano!

Comunicazione digitale, brand journalism, algocrazia, fake news [La mia intervista a Radio Lombardia]

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Il 15 dicembre 2020 sono stato intervistato da Lorenzo Zacchetti di Radio Lombardia nella sua nuova trasmissione dedicata al Brand Journalism, che lui stesso ha presentato così a Spot & Web:

Un appuntamento – afferma Lorenzo Zacchetti – per curiosare e comprendere i ‘segreti’ dei più grandi comunicatori: dalla pubblicità, alla CSR al mondo della live communication e dei media. Proveremo inoltre con gli ospiti in studio di spiegare quali sono le caratteristiche e le qualità per diventarne protagonista e, per voce di chi è già un ‘guru’, capire come intraprendere i primi passi ed avere successo in un settore così affascinante ma anche molto complicato”.

Lorenzo mi ha rivolto diverse domande, per ognuna ho creato un video a parte.

Che cos’è il brand journalim?

In questa risposta ho parlato di brand journalism e soprattutto del corso sul tema che tengo da anni per Primopiano di Milano.

Il libro “Il candidato digitale”

Io e Lorenzo siamo autori del libro “Il candidato digitale” edito da Ledizioni.

La comunicazione digitale d’impresa

Qui ho parlato della mia esperienza di consulente per la comunicazione digitale d’impresa.

Fake news e pericoli della Rete

A partire dal testo “Manuale per difendersi dalla post-verità”, in questo spezzone parlo di fake news e pericoli della Rete, con una coda sulla comunicazione social al tempo di TikTok.

Le mie altre interviste radiofoniche

Fai clic qui per ascoltare le mie interviste a Radio Capital:

 

Contrastare le fake news: la mia intervista a Radio Capital del 28/3/20

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Sabato 28 marzo 2020 la DJ La Mario di Radio Capital, in piena coronavirus, mi ha intervistato sul tema del contrasto alle fake news. Puoi riascoltare l’intervista qui:

Segui qui il videocorso gratuito sulle fake news:

Il Maestro Roberto segnala il mio corso sulle bufale

Il Maestro Roberto, all’anagrafe Roberto Sconocchini, ha dedicato un post del suo seguitissimo blog al mio videocorso gratuito sulle bufale online.

Chi è il maestro Roberto?

Roberto Sconocchini, insegnante elementare in ruolo dal 1991 che risiede in provincia di Ancona, è un’autorità nel campo dell’uso dell’informatica nell’insegnamento. Dal 2014 fa parte del team “Tecnologie nello zainetto” per promuovere iniziative di aggiornamento sulle risorse didattiche digitali. Ha un blog seguitissimo, Maestro Roberto, dove raccoglie risorse e spunti sull’insegnamento e la Rete.
Lo scorso 26 agosto ha dedicato un articolo al mio videocorso sulle fake news.

Che cosa ha scritto del mio corso il Maestro Roberto?

Ecco il post che il Maestro Roberto ha dedicato al mio corso sulle bufale online:

Il fenomeno delle bufale sta rappresentando un problema di dimensioni mondiali, capace di incidere in maniera significativa in ogni settore della vita di ciascun individuo.

Dalla politica all’economia, dalla sanità al costume, gli effetti delle fake-news rappresentano lo scotto più pesante che stiamo pagando per aver accesso libero all’universo delle informazioni. Una realtà in cui diventa opportuno disporre delle conoscenze adeguate per poter difendersi dalle “post-verità”.

Gianluigi Bonanomi, giornalista e formatore che lavora molto con scuole e genitori sulla Media education, ha realizzato un videocorso, accessibile gratuitamente, che guida al riconoscimento delle fake news e rappresenta una sorta di vademecum alla scoperta degli strumenti necessari (siti, app, trucchi) per combattere bufale e inganni del mondo digitale.

Per accedere al videocorso su come difendersi dalle bufalecliccate qui

 

Guarda il mio videocorso sulle bufale

Per guardare il videocorso gratuito sulle bufale fai clic qui oppure sull’immagine qui sotto:

Fake news in classe: intervista a Maria Cecilia Averame

Il tema delle fake news mi è particolarmente caro. Non solo perché è un’emergenza, soprattutto per un giornalista, ma anche per altri due motivi. Il primo è che, con tre colleghi di Ledizioni, ho firmato il testo “Manuale per difendersi dalla post verità” con tanto di cover trumpiana. Il secondo è che spesso tengo workshop nelle classi su questo tema.

Capirai quindi che quando ho visto sulla bacheca Facebook di una persona che stimo, Maria Cecilia Averame di Quintadicopertina (l’avevo intervista per la prima volta sei anni fa: qui il link), un testo dal titolo “Riconoscere le fake news in classe. Percorsi per una comunicazione consapevole in rete”, la prima cosa che ho pensato è stato: devo leggerlo! La seconda: devo intervistare Maria Cecilia per il mio podcast Genitorialità e tecnologia. E così è stato.

Lo scorso 22 giugno ho fatto una chiacchierata con Maria Cecilia. Si è presentata, ha parlato del suo lavoro e del suo blog, quindi del libro pubblicato da Pearson nella collana “Insegnare nel XXI secolo” (fai clic sulla cover per acquistarlo su Amazon):

Nella sinossi del libro si legge:

Nel Piano Nazionale Scuola digitale l’azione #14 si propone di indagare il rapporto fra competenze digitali necessarie per esercitare la propria cittadinanza, ed educazione ai media impartita nelle scuole. Lo studente, a partire dal termine del primo ciclo di scuola superiore, deve acquisire “buone competenze digitali, usare con consapevolezza le tecnologie della comunicazione per ricercare ed analizzare dati e informazioni, per distinguere informazioni attendibili da quelle che necessitano di approfondimento, di controllo e di verifica e per interagire con soggetti diversi nel mondo”. Ma a questa naturalezza dell’approccio tecnologico spesso non segue una competenza nell’uso e nel discernimento di come questo flusso di dati arriva ai ragazzi. Quali sono le fonti che generano informazione? Come è possibile giudicare l’autorevolezza di questo o quel canale non ufficiale? Quali tecniche sono utilizzate in rete, consciamente o meno, per affermare la superiorità delle proprie idee a danno di quelle degli altri?

“Riconoscere le fake news in classe” è quindi un testo pratico. Questo l’indice:

Capitolo 1 La conversazione in rete
Capitolo 2 Cultura e creatività in rete
Capitolo 3 Pillole di web marketing
Capitolo 4 Psicologia e comportamento umano
Capitolo 5 Informarsi in rete
Capitolo 6 L’arte di costruire ragionamenti validi

Maria Cecilia mi ha spiegato, come puoi sentire nel podcast, che l’idea del libro parte da una considerazione: navighiamo in Rete per motivi utilitaristici e di svago. Queste sono cose fondamentali da spiegare agli insegnanti e ai genitori.

Bisogna spiegare anche che il Web va ben usato e la questione dell’informazione, e quindi il lato oscuro delle fake news, è cruciale: nel decalogo anti-bufale voluto per la scuola nel 2017 dall’ex Presidente della Camera Boldrini e dall’ex Ministro dell’Istruzione Fedeli vi era anche una voce sulle fonti. Una semplice indicazione che però, come fa notare Maria Cecilia, apre un mondo (per approfondimenti leggi anche i criteri e le domande guida per valutare l’affidabilità dell’informazione presente in una risorsa Web del professor Roberto Trinchero).

Il libro di Maria Cecilia dà una serie di strumenti pratici: tabelle di valutazione delle fonti e in generale materiali di aggiornamento e link (vedi ParoleOstili, Valigia Blu, Generazioni Connesse e schede di lavoro) per genitori e insegnanti.

Dopo tutta questa introduzione, ecco la puntata 12 del mio podcast “Genitorialità e tecnologia” con Maria Cecilia Averame. Buon ascolto: