Articoli

Bufale online: che cos’è la legge di Brandolini?

Sull’autorevole rivista Nature, Phil Williamson ha scritto:

Most researchers who have tried to engage online with ill-informed journalists or pseudoscientists will be miliar with Brandolini’s law (also known as the Bullshit Asymmetry Principle): the amount of energy needed to refute bullshit is an order of magnitude bigger than that needed to produce it. Is it really worth taking the time and effort to challenge, correct and clarify articles that claim to be about science but in most cases seem to represent a political ideology?

In parole povere la legge di Brandolini, che in realtà ha un altro nome meno elegante (che ti svelo nel prossimo paragrafo), dice che lo sforzo richiesto per sbugiardare una bufala online è notevolmente maggiore rispetto allo sforzo per crearla.

Williamson chiude con una domanda: vale la pena affrontare la sfida, prendersi la briga di lottare contro la disinformazione soprattutto in un Paese come il nostro, pieno zeppo di analfabeti funzionali (vedi qui un approfondimento) e di persone che vivono dentro la loro bolla di conferma? La risposta, per Williamson e per molti altri, è sì. Anche se gli sforzi non sono ripagati immediatamente, e la fatica è tanta, ma qualcuno, da qualche parte, leggerà la verità. E allora ne sarà valsa la pena.

La genesi della legge di Brandolini

Tornando alla legge di Brandolini, qual è la sua genesi? La legge, che recita testualmente “L’ammontare di energia necessaria a confutare una ca**ata è di un ordine di magnitudine superiore a quella necessaria a produrla”, è opera di Alberto Brandolini (qui il suo account Twitter), programmatore italiano, che nel 2013 diventò virale sul Web americano proprio con questo “principio di asimmetria della ca**ata.

A quanto pare, Brandolini fu ispirato dalla lettura di Daniel Kahneman, economista e psicologo vincitore di un premio Nobel. Dopo aver letto il suo bestseller “Pensieri lenti e veloci”, leggenda narra che Brandolini mise a punta la sua legge dopo aver guardato un dibattito tra Silvio Berlusconi e Marco Travaglio.

Ripercorrendo gli insegnamenti della psicologia del pensiero e dei processi decisionali si può sostenere che, per una persona che abbia già un certo tipo di credenze, sia molto facile cadere nella trappola di una notizia falsa che rafforza le stesse credenze (in gergo si parla di “confirmation bias”; qui altri nove bias che favoriscono le fake news). Esempio tipico: chi crede che gli immigrati siano pericolosi non farà altro che cercare notizie a conferma di questa ipotesi. E quando una notizia falsa (“un immigrato ha stuprato una donna”) viene smentita, molto difficilmente crede a tale smentita, o comunque le credenze non verranno modificate (“se anche non fosse successo stavolta, comunque succede continuamente”).

Per approfondire il tema delle fake news

Puoi acquistare il libro che ho scritto con altri tre colleghi sulle bufale online direttamente su Amazon:

Eventi

Nessun risultato

Spiacente, nessun articolo corrisponde ai tuoi criteri