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[3 VIDEO] Evento “I linguaggi della comunicazione” di MakingLife: comunicazione digitale, A.I., gamification

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Il 5 novembre 2021 sono stato invitato dalla rivista MakingLife all’evento “I linguaggi della comunicazione nelle scienze della vita” per parlare di comunicazione digitale.

Nella prima parte del mio intervento sono partito da una notizia di cronaca di quei giorni (Donald Trump ha fondato il suo social network, Truth). È stata l’occasione per parlare di questi temi:

  • Che cosa si intende per disintermediazione?
  • La scelta dei canali di comunicazione
  • I modelli B2B, B2C ma anche C2B e C2C
  • Che differenza c’è tra social media e social network? (Il caso del Papa su Twitter)

Puoi rivedere questa parte di intervento qui:

Nella seconda parte del mio intervento parto da un’altra notizia: Facebook cambia nome e diventa Meta. Perché Zuckerberg ha preso questa decisione? Qui i temi sono:

Puoi rivedere questa parte di intervento qui:

Nella terza parte dell’intervento alla tavola rotonda sono invece partito da una provocazione: si parla tanto di comunicazione online, ma perché diamo per scontato che nei prossimi anni saranno gli umani a comunicare?

I temi sono:

  • Il ruolo dell’intelligenza artificiale nella comunicazione
  • Esempi di tool per la creazione automatica di testi
  • Il verso scopo della comunicazione online: creare relazioni

Puoi rivedere questa parte di intervento qui:

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Gamification per formazione ed eventi: il case study “Campus Psichiatria 2021”

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Nell’ottobre 2021 sono stato invitato a Roma all’evento “Campus Psichiatria” di Angelini. Il mio compito era quello di parlare agli specializzandi di comunicazione digitale. Dopo una fase preparatoria di un mese, con contenuti sul personal branding (eBook e videopillole su LinkedIn) e due speech (uno online e uno in presenza sulla comunicazione online), il 12 e 13 ottobre si sono svolti i workshop in presenza. In particolare abbiamo progettato e organizzato due workshop:

  • Divulgare contenuti scientifici su LinkedIn
  • La caccia alla fake news

Per rendere più coinvolgente i workshop abbiamo pensato di introdurre l’elemento ludico (gamification).

Il gioco della creazione di un post LinkedIn di divulgazione scientifica

Gli 80 partecipanti al workshop, dopo aver seguito due mie relazioni su “7 errori da non commettere su LinkedIn” e “LinkedIn come social media: l’uso strategico dei contenuti (e la lotta alle bufale online)”, sono stati divisi in gruppi. Nelle quattro sale, i partecipanti sono stati divisi ulteriormente in altri quattro gruppi. Quindi vi erano 16 gruppi in tutto.

Il primo esercizio che hanno affrontato era sulla creazione di un post LinkedIn. Il comitato scientifico, composto da professori e direttori delle scuole di specializzazione di psichiatria, hanno selezionato quattro articoli scientifici, uno per saletta, sui seguenti argomenti: depressione, schizofrenia e disturbo bipolare. Ecco un esempio di articolo:

I ragazzi dovevano leggere l’articolo e trasformarlo in un post per LinkedIn di massimo 1.000 battute (in italiano). I post, caricati su una piattaforma online creata ad hoc, sono poi stati valutati tecnicamente (efficacia del messaggio, tecnicismi LinkedIn come hashtag, menzioni e call to action, ecc.) per poter sceglierne uno solo per sala: questo sarebbe poi stato valutato nuovamente, in plenaria, da comitato tecnico e comitato scientifico, grazie a schede di valutazione con diversi criteri e punteggi. Tra i quattro post finalisti, dopo presentazione da parte dei ragazzi e commento degli addetti ai lavori, è stato poi scelto il migliore per premiare il gruppo vincitore.

Il gioco della caccia alle bufale

Sempre nelle salette, i diversi gruppi si sono poi cimentati nel gioco della caccia alle bufale. Il comitato scientifico aveva scelto quattro notizie, pescate in Rete, sui social, su riviste non specializzate. Per esempio questa:

Durante la plenaria ho spiegato il metodo Trinchero per l’individuazione e l’analisi delle fake news. Consiste in dieci criteri di valutazione:

  1. Accuratezza sito
  2. Aggiornamento, data
  3. Chiarezza. Si capisce a chi è rivolto?
  4. Coerenza interna. Cita le fonti? Sono attendibili o di parte?
  5. Coerenza esterna. I dati citati sono confermati anche da altre fonti siti giornali? Almeno 3
  6. Completezza. Le informazioni sono esaurienti complete o scarse?
  7. Controllabilità. I fatti sono separati da opinioni?
  8. L’autore. È conosciuto? È esperto dei temi trattati?
  9. Trasparenza. L’autore è rintracciabile? C’è un responsabile del sito
  10. Valore aggiunto. Le informazioni sono pertinenti col tema trattato utili per i lettori

I ragazzi dovevano compilare una scheda anzitutto dicendo se la notizia era vera o falsa, e soprattutto motivare il perché. Il comitato tecnico e quello scientifico hanno poi giudicato l’accuratezza dell’esposizione e soprattutto le fonti citate. Anche in questo caso, dopo la presentazione in plenaria, è stato premiato il gruppo che ha fatto il lavoro migliore sia dal punto di vista formale che sostanziale.

 

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La genesi di Link&Lead: intervista a R3START di Business Press

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Il 7 aprile del 2021 sono stato invitato alla 34a puntata di R3START TV, trasmissione online di Business Press che, dalla pandamia del 2020, racconta la trasformazione digitale. Ho parlato della genesi di Link&Lead e di gamification. Qui la registrazione dell’intera puntata, della durata di mezz’ora (dal minuto 13′ di parla di L&L):

Che cos’è e come funziona una escape room digitale?

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L’Escape Room Digitale, definita “e-Scape”, approda in Italia: EscapeDigitale.it. Ma come si fa a scappare da un ambiente virtuale? L’ho chiesto ai fondatori, Sascha e Stefano:

“L’e-Scape digitale, in pratica, è un gioco realistico che permette di diventare un agente segreto per alcune ore o giorni. L’utente dovrà dedicare tutto il suo ingegno, astuzia e gli strumenti necessari per risolvere i casi e le missioni proposte”.

Trasformare un gioco classico come l’escape game in un gioco virtuale è stato complicato?

“Eh, un’ardua impresa: non si tratta solo di lucchetti o enigmi numerici da risolvere… Tutt’altro! Nell’e-Scape Digitale bisogna mettersi nei panni di in un agente segreto, creandosi un’identità falsa e indagando nell’ombra, usando gli strumenti digitali per non farsi scoprire”.

Quindi si deve scorrazzare in Rete?

“Sì, si deve navigare sui profili social, Google, forum e varie altre piattaforme per cercare messaggi nascosti, tracce e seguire le piste fino alla risoluzione del caso. Non solo, ci sono filmati di sicurezza, messaggi audio e testi da scrutare per scoprire dettagli che permettono di beccare o liberare i sospetti”.

Esiste qualcosa di simile, anche all’estero?

“No, è un’esperienza che non ha precedenti… a livello mondiale. Ci siamo ispirati a giochi simili, che però sono solo a sfondo crimine-investigativo e mantengono una base da gioco da tavola”.

E come vi è venuta l’idea?

“L’idea è partita nell’autunno del 2019 e il progetto è stato poi concepito, sviluppato e testato nei mesi successivi. La beta è partita nel febbraio 2020…”

Problemi di sviluppo?

“I primi risultati non sono stati buoni: i feedback indicavano che l’esperienza da agente segreto non soddisfaceva, non rispecchiava le aspettative di durata (era reputato troppo breve) e soprattutto era indicata come molto semplice, sebbene il gioco piacesse già. Pertanto nel marzo 2020 l’e-Scape Digitale è stato completamente rivisto sulla base dei feedback degli agenti. È stato allungato, reso più difficile, intricato e complesso. La storia è stata rafforzata ed ora ha un finale mozzafiato! Da allora le cose sono notevolmente migliorate.”

Ma si gioca da soli o in gruppo?

“Si può giocare da soli, in coppia, in famiglia o anche in gruppo”.

Come si fa a partecipare?

“Per partecipare serve unicamente un qualsiasi dispositivo collegato alla Rete: uno smartphone, un tablet, un PC/Mac”.

Ci sono limiti di tempo come nelle escape room tradizionali (60 minuti)?

“No, non ci sono limiti di tempo, quindi si può cominciare a giocare un giorno in coppia davanti al PC e continuarlo da solo nel bus una settimana dopo, a seguito di un’illuminazione riguardo a un indizio”.

Quanto ci vuole, in media, per finire il gioco?

“I migliori agenti, concentrati e determinati, completano l’esperienza in circa 3-4 ore”.

Che cosa vedi nel vostro futuro?

“Stiamo già pianificando tre tappe: – il secondo caso (il seguito del primo), viste le numerose richieste, – una rapida espansione nel mercato della Svizzera italiana, quello inglese e spagnolo – la personalizzazione dell’esperienza per occasioni speciali: si potrà per esempio creare un caso o delle missioni in linea con la personalità, l’esperienza e il contesto del giocatore.”

Sembra proprio quello che, nei miei corsi, chiamo “oceano blu”, qualcosa di completamente nuovo: un misto tra un gioco online, app e escape game.

Un esempio di gamification non digitale: la escape room nel museo

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Dopo aver scritto un articolo (e girato un video) sulla gamification nella comunicazione online (leggi qui l’articolo “Gamification nella comunicazione digitale: 5 esempi”) sono andato a caccia di esempi di gamification nel mondo offline. E ho trovato un esempio molto interessante: una escape room in un museo. Si tratta dell’iniziativa del Museo Africano di Basella di Urgnano, in provincia di Bergamo. Ho fatto alcune domanda al direttore Flavio Pessina.

Come è nata l’idea di associare l’escape room, solitamente associata ai giochi e al team building, al tuo museo africano?

Il nostro museo dispone di due modelli indipendenti di escape room: una fisica e una virtuale.

Il gioco nasce dalla consapevolezza che la sala arte e la didattica digitale annessa è poco appetibile per le scuole primarie e secondarie in visita, se messa a confronto con i giochi di ruolo nel villaggio. D’altro canto la settantina di opere esposte richiede un’innovazione di prodotto se si vuole dar loro vita suscitando maggior interesse da parte dei visitatori. Infine è determinante l’incontro con Giuliano Gaia di Invisible Studio, che alla vista del villaggio esclama entusiasta: “Questi scenari sarebbero l’ideale per attività di team building”.

Tutti questi fattori mi portano, nella tarda estate dello scorso anno, a raccogliere nel Web materiale informativo e a preparare la prima escape room. Avendo maturato un’esperienza quasi ventennale di attività di didattica museale per le scuole dell’obbligo e di centri estivi, mi viene spontaneo partire da loro e complicare poi enigmi e percorsi anche  per giovani ed adulti.
D’altro canto il museo dispone di due soli ampi spazi espositivi da 225 mq, tra loro comunicanti, quindi capisco che, a differenza delle classiche escape room a 5-8 giocatori, posso e devo progettare un gioco per gruppi di partecipanti, corrispondenti a quelli delle altre attività nelle due sale, vale a dire 40-45 persone.
In questa logica non ci sarà una squadra vincente, ma sarà tutto il gruppo a riuscire o fallire nel tentativo di uscire dal museo nel tempo prestabilito. I/le partecipanti, divisi in squadre da 4-5 persone ciascuna, sono chiamati a risolvere enigmi per scoprire il legame tra gli oggetti esposti e le storie “verosimili” di 10 personaggi archetipi del villaggio o del mondo africano: la vasaia, la sacerdotessa, la consigliera, la guaritrice, l’ostetrica, il cantastorie, il capo villaggio, il re, il commerciante, lo scultore.

Ogni enigma/oggetto è legato a sei diversi fasi della vita: nascita, infanzia, giovinezza, età adulta, età anziana, oltre la morte. La narrazione e le domande risposte sono dei moduli Google da fruire attraverso i tablet e la rete wifi del museo.
Trovi un esempio in questo post di Linkedin (è una prima versione ora migliorata)

Al termine dei sei passaggi ogni squadra deve sbloccare uno scrigno contenente una parola che, combinata con tutte le altre, formano un proverbio. Il proverbio, inserito correttamente nel lucchetto digitale, mostra come sbloccare la porta radar di uscita dal museo.
Abbiamo già giocato con gruppi di 4° e 5° con 40-45 giocatori in contemporanea, con scuole medie e prima del blocco per Covid19 eravamo pronti al primo test della versione per adolescenti, adulti e giovani.

E la seconda modalità, quella virtuale?

L’escape room virtuale del museo nasce da un progetto più ampio ancora in fieri: mettere in rete alcuni musei virtuali amici, sia italiani che africani.

Come nel film “I guardiani del destino” (con Matt Damon ed Emily Blunt) l’idea è quella di partire dentro ad un museo, ma aprendo porte virtuali attraverso lucchetti digitali (come quello presente nell’attuale versione in linea attivabile dall’hotspot chiamato USCITA), “saltare” a Bobo Dioulasso in Burkina Faso, a Milano al Museo Arte e Scienza, a Roma al museo Pigorini, a Douala o a Bafoussam in Camerun, al museo dell’Ifan di Dakar e così via.

Questo presuppone ovviamente la creazione di una partnership con questi musei, le foto panoramiche da parte loro, la redazione delle schede informative delle opere ed il montaggio del tour da parte mia.

Poi il blocco delle scuole mi ha portato a chiedermi: cosa può fare il museo africano per le scuole in questo periodo di Didattica A Distanza? Cosa posso fare io?

Ho quindi iniziato a realizzare una versione per scuole superiori che potete vedere qua: escape room virtuale per scuole superiori.

All’interno di questo tour si possono fare due cose:

  • esplorare virtualmente la sala arte del museo, leggere le info per ogni opera e, se si vuole saperne di più, continuare ad approfondire attraverso la guida on line guidamuseoafricano.it;
  • muoversi tra le sei diverse viste della sala per raccogliere i 12 indizi nascosti che formano la chiave finale per uscire dal museo.

Va da sé che il museo reale ha anche altri ambienti: il villaggio, in primis. Per quello ci sono già delle riprese panoramiche, ma al momento non è ancora stato costruito un tour che lo comprenda. Ci arriverò, ma il concept è sempre quello di informare e divertire, quindi sarà ancora attraverso un’escape room o una caccia al tesoro, vedremo… 

Torniamo per un momento al mio campo: lato comunicazione digitale, qual è il contenuto social che funziona di più per voi?

Sono attivo in LinkedIn da un paio di anni e insieme all’amico Marcello Cenati ci divertiamo a cercare e sperimentare soluzioni sempre innovative in ambito di didattica digitale. Diverse sperimentazioni diventano spesso delle innovazioni di processo e di prodotto delle attività di didattica museale, di cui rendo conto attraverso dei post. In altre parole: soluzioni per le scuole e per altri musei. La stessa cosa avviene nei gruppi tematici Facebook “Musei e social media”, “Museologia” e “Didattica museale”, ma in questo caso reach ed engagement sono più bassi. A molti partecipanti non interessa il confronto, ma solo promuovere le proprie attività. Per questo nell’ultimo anno sono ormai quasi stabilmente solo su LinkedIn.

Gamification nella comunicazione digitale: 5 esempi

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La tua patente è un esempio lampante di gamification, uso di dinamiche ludiche in ambienti che non hanno nulla a che fare con giochi e videogiochi: se fai il bravo ti premiano (un paio di punti all’anno), se fai il cattivo ti penalizzano e se addiruttura perdi tutti i punti è “game over”, hai perso una vita e devi ripartire da capo.

Anche in ambito aziendale la gamification è ormai uno strumento fondamentale, soprattutto per coinvolgere Millennial e post, generazioni di fan della Playstation e delle altre console. Si usa nella formazione (personalmente tengo corsi sul personal branding con il metodo ludico Playbrand), nel training per le vendite, nel recruiting e anche nella comunicazione digitale. Riguardo alla comunicazione, eccone cinque esempi Web e social.

1 Riconoscere uno status

In questo esempio i più assidui utenti di Booking possono vantare delle coccarde!

2 Usare dei badge

Google incentiva le “local guide” con badge e punti:

3 Sfidare il lettore con un gioco social

Ecco un post di Ricola:

4 Sfidare il lettore con un gioco su Web

Il Corriere della sera ha introdotto l’aspetto ludico applicato al mondo delle news:


5 Challenge e i contest sui social

Qui la celebre Ice Bucket Challenge:

Il Late Tech Show

Questo video è stato mostrato nella quinta puntata di Late Tech Show:

 

Affronto tutti questi temi nei miei corsi sulla comunicazione digitale. Per informazioni, mandami un messaggio:

Scrivimi

 

Aumentare l’efficacia del profilo: ecco come LinkedIn usa la gamification

Questo articolo è stato pubblicato su Digital4 il 30 aprile 2019.

LinkedIn usa la gamification per convincerci a completare il nostro profilo. Quando ci si iscrive una barra indica proprio quanto le prime informazioni inserite risultino efficaci. Ma perchè è importante guardare questo parametro, quali sono i benefici per gli utenti e come il noto social network ci spinge a lavorarci?

La logica del gioco e del divertimento è talmente importante nella nostra vita che sta invadendo anche altri campi, un tempo seriosi: anche il business. Sto parlando di gamification (eviterei di usare la terrificante versione italiana “ludicizzazione”). Per gamification si intende l’utilizzo di elementi mutuati dai giochi e delle tecniche di “game design” in contesti, appunto, esterni ai giochi. Tutti l’abbiamo sperimentato, per esempio quando facciamo la raccolta punti del supermercato o le MilleMiglia, quando facciamo sport con FitBit, quando ci decurtano i punti della patente o quando partecipiamo a un concorso a premi per vincere la Green Card. Insomma: si tratta dell’uso di meccaniche di gioco per rendere più piacevole, ed efficace, svolgere compiti noiosi. Come gestire il proprio profilo LinkedIn.

Gli obiettivi di LinkedIn

LinkedIn ha l’esigenza di farci completare i nostri profili. Per due ragioni. Primo: se siamo soddisfatti di come funziona lo strumento, lo useremo sempre di più e inviteremo anche altri utenti a unirsi. Secondo, e questo è il motivo più importante: più dati inseriamo, più informazioni LinkedIn può vendere a recruiter e a chi pianifica campagne marketing. Il mantra è sempre lo stesso: se un servizio è gratis, il prodotto sei tu.

Rendere un profilo efficace: ecco perchè LinkedIn usa la gamification

LinkedIn usa proprio la gamification per convincerci a completare il nostro profilo. Quando ti iscrivi e inserisci le prime informazioni su di te, una barra indica proprio l’efficacia del profilo. In seguito puoi trovare questa informazione nella dashboard del tuo profilo. Nel mio caso l’efficacia del profilo, come vedi in alto a destra, è massima:

Come vedi, ho “vinto” anche un badge, che rappresenta una ricompensa, seppur simbolica (anche Booking usa i badge con l’etichetta Genius, mentre TripAdvisor usa i livelli crescenti).

I benefici per gli utenti

Come fa LinkedIn a convincerci a badare a questo parametro? Lo motiva così: “Gli utenti con un profilo completo aumentano di 40 volte la probabilità di trovare nuove opportunità grazie a LinkedIn”. L’idea di raggiungere facilmente un livello più alto è irresistibile. I benefici ci sono: un profilo completo attira più attenzione, anche perché ha una priorità più alta nelle ricerche (e aiuta a fare personal branding).

LinkedIn e la gamification: gioco e interazioni

LinkedIn non si limita a questo. La gamification viene usata anche nelle conferme di competenza, gli endorsement delle skill. Come hai visto, quando crei il tuo profilo, puoi aggiungere un massimo di 50 competenze. Quando un altro utente visita il tuo profilo può confermarle, e la sua immagine profilo sarà mostrata al fianco della tua competenza. Le conferme si sommano e il conteggio viene mostrato a tutti. Secondo LinkedIn “chi usa la sezione delle competenze e conferme fa aumentare di 13 volte le visite al suo profilo”.

Le statistiche divertenti

Anche l’uso che LinkedIn fa delle statistiche sa di gamification. Sapere che tante persone hanno visitato il tuo profilo, e che magari questo numero è in crescita, dà un grande senso di soddisfazione. A volte LinkedIn ricorda anche in mail le tue conquiste: quanto sei popolare, quanto sei vincente!

Il social selling index

L’ultimo meccanismo di gamification, non certo per importanza, è il social selling index. Durante i miei corsi sull’uso strategico di LinkedIn chiedo ai partecipanti di calcolarlo. Si scatena la bagarre: confronti, sfide, prese in giro e così via. A che cosa serve questo indice? Quantifica la tua attività su LinkedIn. Quanto sei in grado di fare social selling? Quanto è efficace il tuo personal branding, quanto il tuo networking, quanto il tuo content marketing? Tutto questo non solo è espresso con un valore in centesimi (il social selling index, appunto) ma vi si trova anche una classifica che esprime la tua posizione all’interno del tuo settore e della rete. Tra l’altro LinkedIn ti permette anche di vantarti del tuo SSI con un tasto di condivisione e un messaggio preimpostato che recita: “Il mio Social Selling Index su LinkedIn è 83. Scopri il tuo punteggio! #GetYourSSI”.