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Benessere digitale: le abitudini digitali degli adulti come esempio per quelle dei figli [video]

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Sono stato coinvolto dall’Università Bicocca di Milano in un progetto di sensibilizzazione dei genitori sull’uso consapevole del digitale, tema assai attuale dopo la pandemia. In particolare sono stato invitato a registrare una videopillola. Questo il tema, come dichiarato nel progetto:

La prima mossa da fare per progettare una strategia educativa per l’uso dei media digitali dei nostri figli è rivedere i nostri stessi comportamenti di adulti. Questo non solo costituirà un esempio rilevante per i più piccoli ma ci permetterà anche di migliorare la nostra stessa qualità di vita!

Ecco la video-pillola che è stata inviata a una selezione di genitori di scuole lombarde in via sperimentale:

Le buone abitudini digitali familiari

Alcune restrizioni all’uso continuo degli schermi digitali possono essere utilissime per rivedere le nostre abitudini di adulti e, attraverso noi, quelle di tutta la famiglia:
– niente smartphone a portata di sguardi durante i pasti;
– niente smartphone prima di addormentarsi in camera da letto;
– niente smartphone quando si prendono i propri figli all’uscita da scuola o quando li si rivede dopo un’attività.
La pervasività dei device, soprattutto lo smartphone, rischiano infatti di mettere in secondo piano la relazione personale, innescando frustrazione nei più piccoli perchè la tecnologia sembra rubare l’attenzione dei genitori: un comportamento di distrazione dall’interlocutore per quale è stato recentemente coniato il termine “phubbing”, nato dalla fusione delle parole “phone” (telefono) e “snubbing” (snobbare). Non solo: la mancanza di comunicazione genitori-figli può anche privare i più piccoli di interazioni preziose per le loro conoscenze e competenze e anche aumentare la probabilità di uso eccessivo dei device quando i figli saranno grandi.

È importante quindi che il genitore impari – per quanto possibile – a concentrare l’uso dei dispositivi in alcuni momenti dedicati, durante i quali potrà chiedere a buon diritto di non essere disturbato. Il genitore deve invece proteggere i momenti familiari più significativi all’intrusione della tecnologia, come sono i pasti ma anche i momenti in cui si vuole parlare insieme di questioni rilevanti. In questo modo si stabilisce un esempio che sarà molto importante come punto di riferimento anche durante l’adolescenza e la prima età adulta dei figli.

L’esempio di una corretta comunicazione online

Il buon esempio dei genitori è fondamentale anche nella vita relazionale online, nella capacità di usare toni moderati e non offensivi e nella gestione della privacy propria e dei figli stessi. Anche per questo motivo è importante non pubblicare foto dei figli sui social! Rispetto a quest’ultimo comportamento si usa spesso l’etichetta di sharenting, un termine che deriva dall’unione di share (condividere) e parenting
(genitorialità). I rischi di condividere pezzi di vita dei propri figli sui social (o in generale su Internet) riguardano sia la loro sicurezza (non è opportuno far sapere al mondo dove si trovano, dove abitano, che abitudini hanno) ma anche l’uso che altri potrebbero fare di questi materiali sensibili pubblicati a loro insaputa (ad es. rispetto al cyberbullismo che potrebbe essere messo in atto contro un/a ragazzo/a utilizzando materiali creati quando era piccolo/a).
Riuscire a consolidare delle abitudini di dialogo rispettoso online e di difesa della privacy, sin dai primi anni di vita dei propri figli, significa porre le basi per un loro corretto uso degli strumenti digitali anche in periodi più delicati, come la pre-adolescenza e l’adolescenza.
Usare assieme i nuovi media in modo costruttivo Bambini e ragazzi, ma in molti casi anche gli adulti, tendono a concentrarsi in modo eccessivo su attività ludiche (videogame, visione di video ecc.) o comunicative (chat, commenti e messaggi) ignorando alcune funzioni più complesse che possono essere incentivate da un uso familiare e finalizzato a obiettivi comuni. È molto importante invece valorizzare la Rete, mettendo in luce le sue potenzialità attraverso il co-utilizzo, cioè l’utilizzo condiviso. Per esempio, è possibile progettare insieme una vacanza con l’uso di mappe e applicazioni specifiche, oppure utilizzare un portale di visualizzazione 3D delle opere d’arte per rivedere assieme quanto visto durante l’ultimo viaggio. E ancora: cercare informazioni per una discussione, scrivere un testo insieme o addirittura – per i più evoluti –
programmare un software. La ricerca ha mostrato che l’utilizzo congiunto del digitale è un predittore di buone competenze digitali nei ragazzi e aiuta a sviluppare un uso della rete per finalità positive earricchenti.
Uno degli obiettivi primari dell’educazione digitale, quindi, dovrebbe essere quello di stimolare la curiosità e creatività per aprire ai nostri figli le enormi potenzialità positive del mondo digitale. E questo, ancora una volta, rappresenta un’occasione di crescita per i genitori stessi!

Link utili

Il sito del progetto Benessere Digitale 
La pagina Facebook 
Il canale YouTube 

Bambini e schermi: quali limiti? [Il mio articolo per Gengle Magazine]

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Nell’ultimo numero di Gengle Magazine ho scritto un articolo su bambini e schermi, problemi e consigli dei pediatri:

Ne riporto uno stralcio:

Ecco le indicazioni dei pediatri divise per fascia d’età.

Da zero a due anni

Uno studio recente evidenzia che il 20% dei bambini usa uno smartphone per la prima volta durante il primo anno di vita. Eppure i neonati, fino a due anni, non dovrebbero usare questi strumenti.

Da tre a cinque anni

I bambini fino a cinque anni dovrebbero usare schermi vari meno di un’ora al giorno.

Da cinque a otto anni

I bambini tra i cinque e gli otto anni dovrebbero usare i device digitali al massimo per due ore al giorno.

Mai gli schermi dovrebbero essere usati durante i pasti e un’ora prima di andare a dormire: questo vale per tutti, genitori compresi.
Chiaramente, aggiungono i medici, non bisogna parlare solo di quantità, ma anche di qualità. I bambini dovrebbero essere esposti o interagire solo con contenuti di alta qualità (e ne esistono!) ma soprattutto dovrebbero farlo in compagnia dei genitori. Mamme e papà dovrebbero scegliere app e contenuti, ma soprattutto dovrebbero essere un modello per i propri figli, dato che i piccoli sono grandi imitatori. In ogni caso gli schermi non dovrebbero mai essere usati come pacificatori o “baby sitter”.

La seconda puntata di Genitori Tech per Mumadvisor sullo sharenting

Sharenting è l’unione di due parole inglesi: “share”, condivisione, e “parenting”, genitorialità. Si tratta, in pratica, dell’abitudine dei genitori di condividere sui propri profili social notizie e sopratutto foto e video dei propri figli. Una vera emergenza: per questo ho deciso di spiegare in questa seconda puntata del videoblog “Genitori Tech” di Mumadvisor, i tre motivi per i quali le foto delle sue bambine non sono online. Buona visione:

“Genitori tech”: al debutto il mio videoblog per Mumadvisor

Dal mese di luglio 2018 è iniziata la mia collaborazione giornalistica con il noto sito per genitori Mumadvisor. Invece dei “soliti” articoli, ho proposto di lanciare un videoblog: “Genitori tech“. Mi sono messo davanti alla telecamera e, grazie alle riprese e al montaggio dell’amico Renzo Zonin, ho realizzato la prima puntata del videoblog, dedicata a tutto quello che i genitori si sono sempre chiesti su questi benedetti nativi digitali.

Puoi guardare il filmato, caricato da Mumadvisor su Youtube e sulla pagina Facebook, direttamente qui. Buona visione!

Se vuoi farmi delle domande o proporre dei temi per il videoblog, scrivimi:

Selfie e identità: 4 cose che i genitori devono sapere

Questo articolo è stato pubblicato su Mamamò, a questo indirizzo.

In un recente articolo sul perché i ragazzi amano tanto i social, in cui sottolineavo il fatto che partecipare, confrontarsi con gli altri online e ricevere dei feedback positivi sia un loro bisogno, parlavo anche di selfie, come strumento per definire la propria identità e accrescere l’autostima. L’occasione per approfondire questo tema viene dalla lettura del libro Selfie. Narcisismo e identità di Giuseppe Riva.

Il libro di Riva, breve ma intenso, dà molti spunti. Ecco le quattro cose che un genitore deve sapere sui selfie.

Selfie: iniziamo dal nome

Selfie è il diminutivo di self-portrait, autoritratto, autoscatto tipicamente fatto con uno smartphone o una Webcam e condiviso sui social. Pare che il termine si sia diffuso a inizio secolo, come hashtag, sulla piattaforma di condivisione di foto Flickr. L’esplosione si è avuta nel 2010 quando si diffusero i primi smartphone con fotocamera anteriore. Fino a diventare, nel 2013, la parola dell’anno dell’Oxford Dictionary. C’è anche una pagina dedicata sul sito dell’Accademia della Crusca, dove  si scopre che ormai è ufficiale l’uso al maschile e che esistono anche delle varianti: Delphie è il selfie mentre si guida, Welfie in palestra, Belfie del “lato b”.

La storia del termine o della tecnologia contano poco. Quello che conta è la data, 3 marzo 2014: durante la notte degli Oscar Ellen Degeneres scatta il selfie più condiviso della storia. Nello scatto si vedono diverse star come Meryl Streep, Jared Leto, Julia Roberts, Brad Pitt, Angelina Jolie, Kevin Spacey e altri. Era una trovata pubblicitaria di Samsung ma in quel momento il selfie è diventato un comportamento socialmente desiderabile: se lo fanno anche i personaggi famosi… Seguiranno altri selfie VIP come quelli del papa o di Totti durante un derby.

Narcisismo, malattia dei nostri anni

Ivan Cotroneo ha scritto:

Se negli ultimi 30 anni la malattia da curare era la depressione, per i prossimi sarà il narcisismo”.

Siamo tutti narcisisti?

Riva riprende il mito di Narciso per fare delle precisazioni. Nel mito il protagonista non cerca la propria immagine ma la subisce, invece il selfie è sempre un atto intenzionale, con il preciso scopo di condividere. Per Riva chi fa un selfie non è necessariamente un narcisista (ma certamente un narcisista si fa molti selfie).

Ma allora perché scattiamo i selfie? È una questione di definizione dell’identità. La nostra soggettività ha due facce: IO, come mi vedo da dentro (sé personale), e ME, come mi vedo e come mi vedono da fuori (sé sociale). Per chi sta ancora definendo la propria identità, come i preadolescenti, lo smartphone e i social permettono di entrare in contatto con il proprio ME. Definiscono la propria identità, anche nel confronto con gli altri. In questo contesto, i selfie stanno diventando uno degli strumenti più utilizzati dai ragazzi per definire ciò che sono e che vorrebbero diventare. Allo stesso tempo i social permettono di verificare la posizione degli altri e confrontarla con la propria per decidere chi si è e chi si vuole essere.

I tre paradossi dei selfie

Utili per definire la propria identità, i selfie però si portano appresso tre paradossi.

  • Primo paradosso: se i selfie sono un modo efficace per mostrarsi e raccontarsi agli altri, allo stesso tempo non sono in grado di rappresentarci in maniera completa. Anzi assumono vita propria, continuando a raccontarci nello stesso modo anche quando siamo cambiati (quella foto sbagliata alla festa ci può perseguitare).
  • Secondo paradosso: se attraverso i selfie possiamo modificare fugacemente la nostra identità sociale, è però vero che i nostri selfie possono anche essere utilizzati da altri per modificarla anche se non lo vogliamo (vedi l’uso ricattatorio del sexting).
  • Terzo paradosso: se attraverso i selfie possiamo scegliere quali caratteristiche sottolineare della nostra identità sociale all’interno delle diverse reti che frequentiamo, tutti i frammenti possono essere rimessi insieme per individuare la nostra vera identità (vedi i ragazzi che passano la prima selezione del personale per un buon CV o un preciso profilo LinkedIn ma poi vengono scartati per le foto che condividono su Facebook e Instagram).

I numeri dei selfie degli adolescenti

Veniamo infine ai numeri: Riva cita diverse ricerche sul tema selfie. In particolare mi ha colpito una ricerca dell’Osservatorio sulle tendenze e comportamenti degli adolescenti su 7000 ragazzi tra i 13 e i 18 anni. Ci dà un’esatta dimensione del fenomeno selfie.

I ragazzi si scattano una media fra i 3 e gli 8 selfie al giorno, con punte di 100!

Il 31% degli adolescenti si fa i selfie per ricordo, l’11% per noia e l’8,5% per ridere. Il 15,5% condivide tutti i selfie sui social e WhatsApp, soprattutto le ragazze. Un adolescente su 10 fa selfie pericolosi in cui mette potenzialmente a repentaglio la propria vita, soprattutto i maschi (purtroppo esiste anche il fenomeno del killfie: il selfie letale).

Un’altra ricerca su 150 giovani, proprio di Riva per l’Università Cattolica e la fondazione IBSA, approfondisce il tema della relazione tra tratti della personalità e selfie. Ci sono i ragazzi estroversi e quelli coscienziosi. I primi usano i selfie per mostrarsi (fino ad arrivare all’oggettivazione del proprio corpo, usato come strumento per piacere), in particolare le donne sono molto sensibili ai commenti che i selfie scatenano sui social. Chi è coscienzioso usa i selfie in maniera più strategica per trasmettere una specifica immagine di sé, ed è meno interessato ai commenti degli altri, positivi o negativi che siano.

Ascolta la puntata del mio podcast “Genitorialità e tecnologia” sui selfie

Ascolta “1×10 I selfie: 4 cose che i genitori devono sapere” su Spreaker.

I Premi di Studio e di Laurea 2017 della BCC Milano di Carugate

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Il 17 dicembre 2017 sono stato invitato dalla BCC Milano, sede di Carugate, per l’evento “I Premi di Studio e di Laurea 2017”: la banca ha premiato i migliori studenti dell’anno scolastico 2017/18, i laureati e una start-up che ha finanziato.
Ho parlato di uso consapevole dei social network davanti a 500 persone, tra genitori e figli. Queste le foto dell’evento:

Qui invece trovate le slide che ho usato durante la presentazione:

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Se vuoi organizzare una conferenza o uno speech per la tua azienda, scrivimi!

 

 

 

 

 

 

Qui

Motori di ricerca per minori

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Il computer di casa è usato da tutti, anche dai miei figli minorenni? Come evitare che, accidentalmente (o meno…), nei risultati di Google compaiano immagini sconvenienti? Detto che esistono delle strumentazioni hardware, come il nuovo Routerhino, è anche possibile chiedere a Google di adeguarsi all’uso dei minori. SafeSearch è uno strumento che permette di escludere le pagine Web contenenti immagini porno. In base alle impostazioni predefinite, Google non applica alcun filtro. Per attivarlo, vai nelle impostazioni delle preferenze delle ricerche, raggiungibile direttamente da www.google.com/preferences, quindi concentrati sulla prima sezione: “Filtri SafeSearch”.

In alternativa si possono usare dei motori di ricerca studiati ad hoc per minori, che filtrano i contenuti proibiti. Ce ne sono diversi, questi i migliori. KidSearch cerca in una directory di oltre 2.000 siti in tre lingue (italiano compreso). BAOL (BAmbini OnLine, www.baol.it), con evidente citazione benniana[1], si presenta come il mago del Web, è dedicato ai bambini e ragazzi dai 9 ai 16 anni e funziona come una directory di siti consigliati. Dade (www.dade.it) non è un motore, ma si definisce un “motorino” di ricerca, anche se in realtà è una sorta di portale con Web mail e altri servizi. Google stessa ha pensato ai bambini, mettendo a punto www.safesearchkids.com.

Questo brano è tratto dal mio libro “Il guru di Google”, che trovi su tutti gli store online, compreso Amazon:

[1] Stefano Benni, Baol. Una tranquilla notte di regime, Feltrinelli

Manifesto dei genitori digitali: l’intervista a Francesco Facchini

Da quando tengo corsi su genitorialità e tecnologia ho come un radar che mi permette di intercettare i contenuti buoni che circolano online sul tema. Qualche giorno fa mi sono imbattuto in un manifesto dei genitori digitali. Fermi tutti, mi sono detto: dovevo saperne di più, indagare a fondo.
Mi sono così imbattuto nel sito www.francescofacchini.it, dove ho scoperto che un collega giornalista (nonché docente IULM), anche lui genitore, aveva pubblicato dieci idee, suggestioni e regole per papà e mamme di nativi digitali. Per scoprirne di più ho contattato Francesco Facchini e gli ho fatto alcune domande.

Ciao Francesco, come è nato questo progetto?

Ho due progetti di vita: uno professionale, faccio il formatore sulla mobile content creation, e uno personale, sono un genitore single. Nella sfortuna ho avuto la fortuna di aver sposato una donna intelligente, con la quale vado molto d’accordo. Mio figlio, ora di cinque anni, sta con me una settimana ogni due: è stato un affidamento paritario e pari-tempo.
Il mio lavoro e questa avventura di papà mi hanno portato a fare delle riflessioni, a creare dei contenuti sul mio sito sull’educazione digitale. Così come non mi piaceva la letteratura sui genitori separati, anche quella su genitorialità e tecnologia mi pareva tutta improntata sul terrorismo.

A chi lo dici… Spesso mi trovo in convegni sull’uso consapevole della Rete dove gli altri relatori raccontano il mondo del Web come un far west fatto solo di bulli, prostitute, droghe e chissà cos’altro. Invece il Web è pieno zeppo di opportunità…

Certo! Tra l’altro non mi piace nemmeno la distinzione tra mondo reale e mondo virtuale: non esiste questa differenziazione, anche per quanto riguarda le regole. Quando Tamara Maggi ha ideato questa iniziativa del manifesto, mi ci sono fiondato. L’idea di un’azione sociale condivisa che aiutasse concretamente i genitori non digitali e i ragazzi cui basterà una cattiva immagine digitale per perdere lavoro e affetti mi ha subito catturato.

È arrivato il momento di scoprire questo manifesto e i dieci spunti che parlano di uso consapevole, privacy e tanto buon senso:

  1. Il Web è un bel posto se lo usi per il bene. Per questo motivo il genitore digitale attivo non si relazionerà agli altri in modo negativo, ma in modo costruttivo.
  2. Il Web ha delle sue regole di educazione e di vivere civile: il genitore digitale attivo le insegnerà senza distinzioni di qualsiasi genere.
  3. Il Web non è la baby-sitter: il genitore digitale attivo regalerà al triangolo genitore-figlio-Web quelle istruzioni per l’uso che faranno diventare il rapporto con la rete un grande viaggio di conoscenza.
  4. Il Web non è un luogo “altro”. Il genitore digitale attivo si farà ambasciatore della vita digitale come parte integrante e determinante della vita reale propria e dei propri figli.
  5. Il Web è un luogo pubblico. Il genitore digitale attivo insegnerà ad altri genitori come avere una vita digitale serena, felice e coerente con la propria immagine. Ogni diversa manifestazione è un tradimento ai propri figli
  6. Il Web è un luogo dove la privacy deve valere. Il Web ci offre molto, ma ci ruba tutto. Il genitore digitale attivo insegnerà ad altri genitori come avere un ruolo protettivo nei confronti dei dati e delle immagini dei propri figli minori.
  7. Il Web e lo smartphone non sono luoghi di divieto. Il genitore digitale attivo insegnerà ad altri genitori la coerenza e la correttezza del rapporto con i figli per quanto riguarda l’accesso a internet da telefono. Non divieti, ma dialoghi.
  8. Il Web non è il luogo del controllo: è il luogo della fiducia. Il genitore digitale attivo insegnerà ad altri genitori come fare in modo che i figli abbiano piena e corretta espressione della propria persona nei social senza mettersi in pericolo.
  9. Il genitore digitale attivo si mette a disposizione gratuitamente per incontri nelle scuole, con le istituzioni e in altri enti sociali senza distinzione. Se dovete chiedergli un progetto o un impegno continuativo, tuttavia, ricordatevi che il genitore digitale attivo ci campa con queste cose.
  10. Il genitore digitale attivo si farà cura di condividere ciò che sa delle enormi potenzialità della vita digitale a vantaggio della vita offline.

Trovate tutto a questo indirizzo.

Per altri contenuti su genitorialità e tecnologia, visita la sezione “Genitori tech” del mio sito.