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Cos’è Google Gemini: il mio webinar per Edulia

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Il primo marzo 2024 ho tenuto un webinar per Edulia di Treccani su Google Gemini. Ecco la registrazione integrale dell’evento (comprese le moltissime domande che mi sono arrivate):

Scrivimi per organizzare un evento o un corso sull’intelligenza artificiale generativa

Scrivimi mandami un WhatsApp al 339.6325418 per organizzare un corso o una conferenza sull’A.I. generativa.

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Fatti scoprire: ecco i parametri che usa Google per scegliere quali pagine visualizzare prima

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Se segui i miei articoli, saprai certamente che ho una grande passione per LinkedIn, la principale piattaforma per far incontrare domanda e offerta in ambito business. Lo usano le aziende le cercare talenti, le persone per trovare un lavoro (o un nuovo lavoro), ma è anche uno strumento chiave per spingere i propri servizi B2B e per trovare nuove opportunità di business.

Non puoi però affidarti solamente a LinkedIn, per più motivi. Il primo è che non è detto che tutti lo usino e sono ancora tante le realtà che si limitano alle ricerche su Google (o altri motori di ricerca). Ma non trascurare un altro aspetto: se anche qualcuno ti trova (o trova la tua azienda) sul LinkedIn, la prima cosa che vorrà fare è andare sul tuo sito, o quello della tua azienda. Un sito curato, con contenuti di qualità, fa la differenza, esattamente come il modo in cui ti presenti la prima volta a un interlocutore: puoi essere un genio nel tuo settore, ma un aspetto dimesso e trasandato di certo non contribuirà a fare una buona impressione, e lo stesso vale per il sito.

Alcuni suggerimenti di questo articolo ti permetteranno anche di migliorare la qualità del tuo sito anche se il focus è un altro: in queste righe voglio infatti spiegarti come spiccare nelle ricerche su Google facendo leva sulla SEO, la Search Engine Optimization. Non temere, non ti riempirò la testa di tecnicismi: il mio obiettivo non è quello di insegnarti a spremere quell’1% in più di conversioni nelle vendite. Voglio invece darti alcune indicazioni e suggerimenti alla portata di tutti per aiutarti a “scalare” la SERP di Google e posizionarti meglio nelle ricerche.

Passa subito ad HTTPS se non l’hai ancora fatto

Ci sono due protocolli per erogare pagine web: HTTP e HTTPS. Il primo è obsoleto, il secondo va abbandonato quanto prima. Il fatto è che ancora oggi, navigando online, trovo tantissimi siti, anche di aziende di grandi dimensioni o di seri professionisti, che si appoggiano ancora al protocollo non cifrato HTTP, quindi meno sicuro. Certo, se non vendi prodotti online e quindi non chiedi ai tuoi utenti di inviare dati di pagamento ti potrà sembrare un problema da poco, ma in realtà è un problema enorme. Non solo Google e gli altri motori di ricerca abbasseranno il tuo Ranking Score, fatto che influenzerà il tuo posizionamento nella SERP (pagina dei risultati della ricerca), ma scoccerai anche gli utenti. Sì, perché quando useranno Chrome, verrà visualizzato il messaggio “Questo sito non è sicuro. Vuoi procedere?”. Al di là dell’avviso, che potrebbe preoccupare qualcuno, per raggiungerti un utente dovrà fare almeno un clic in più. Credimi, molti non lo faranno e si fermeranno all’avviso. Insomma, passa di corsa ad HTTPS. Se non sai come fare, chiedilo a chi ti gestisce il sito: è un lavoro semplice e veloce.

La velocità è tutto

L'aforisma: "Il milanese imbruttito ordina un caffè... - Comunicaffè

Viviamo tutti di corsa, c’è poco da fare, e la pandemia non ha fatto che accelerare il tutto. Chi cerca una risposta, la vuole immediatamente, non ha tempo è voglia di aspettare. La figura del Milanese Imbruttito, che ha già aperto la bustina dello zucchero mentre il barista gli sta ancora facendo il caffè, è più diffusa di quanto credi, e non solo aMilano (tutto attaccato, come lo scriverebbe un Imbruttito DOC). E mentre si beve il caffè, il classico Imbruttito tiene in mano lo smartphone e prosegue il business. Naturalmente, pretende che il sito carichi velocemente e devi assicurarti che il tuo sito sia sufficientemente reattivo se non vuoi che la gente lo abbandoni ancora prima che l’homepage sia caricata.

Ma come si giudica se un sito è veloce? Basta usare il servizio PageSpeed Insight di Google: inserisci l’URL del tuo sito per avere un’analisi tecnica. Dopo pochi secondi, ti verrà restituita una pagina contenente uno score e una serie di suggerimenti su come poter migliorare, se necessario, la velocità di caricamento, sia su mobile sia su desktop. Non impazzire per guadagnare un millisecondo: concentrati sui problemi principali, se PageSpeed ne individua qualcuno. Il resto sono piccole ottimizzazioni che possono fare la differenza su siti di enormi dimensioni, tipo Amazon. Se il tuo Score è superiore al 90, significa che hai fatto un ottimo lavoro. Se è inferiore, segui i suggerimenti e cerca di ottimizzare ulteriormente, magari chiedendo supporto a un esperto.

Il mobile prima di tutto

Se ancora concentri la maggior parte della tua attenzione su come si vede il tuo sito da desktop, stai sbagliando tutto. Seriamente. Da quasi 10 anni, infatti, le ricerche su mobile hanno abbondantemente superato quelle da desktop. Non ci credi? Dai un’occhiata alle statistiche del tuo sito e scoprirai che, a meno di casi particolarissimi, più dell’80% del tuo traffico sarà generato da dispositivi mobili. Non puoi non tenerne conto. “Mi stai dicendo che tutte le grafiche e animazioni superbelle che si vedono solo da mobile sono uno spreco di tempo?”. Dipende da quando le hai fatte, ovviamente: un tempo, facevano la differenza. E anche oggi, quegli utenti (pochi in percentuale) che si collegano da un computer potrebbero apprezzarle. Rimane il fatto che la maggior parte delle persone vedrà il tuo sito da smartphone, e devi far sì che l’esperienza da mobile sia snella e piacevole. Poi, se ti avanzano tempo e budget, potrai anchoe ottimizzare ulteriormente la parte desktop. Considera una cosa: non si tratta solo di esperienza utente, ma anche risultati nella ricerca. Dal marzo 2021, infatti, tutti i siti sono indicizzati da Google solo sulla base del mobile. Le tue ottimizzazioni desktop, insomma, non avranno alcun impatto sul ranking. Se vuoi scalare la SERP, insomma, ti tocca puntare tutto sul mobile. Anche se non ti piace.

Per controllare come si vede il tuo sito su diversi device puoi usare, tra gli altri, Screenfly:

Non trascurare i backlink

I backlink sono i collegamenti che da altri siti portano al tuo. Più ne hai, più il tuo sito acquisirà autorevolezza e, quindi, sarà “visto meglio” da Google che tenderà a farlo salire nella SERP. Alla fine, l’algoritmo di Google si è sempre basato su questo concetto e già dalla nascita di Big G il fattore che faceva la differenza nella SERP era quante pagine citavano uno specifico sito in base alle parole chiave usate. Attivati insomma per ottenere backlink, possibilmente puntando su siti autorevoli, non su officine di clic. Non mancano siti di bassa qualità che “vendono” i baclkink al tuo, ma ti assicuro che sono soldi spesi male, proprio perché queste realtà non hanno alcuna autorevolezza. E ti sconsiglio anche di mandare mail agli amministratori dei siti di riferimento del tuo settore chiedendo loro di “regalarti” un link: nella migliore delle ipotesi ti ignoreranno, nella peggiore, rischi di venire mandato a quel paese.
Come ottenerli quindi? Facile scegli i siti giornalistici di riferimento del tuo settore ed esplora la possibilità di includere articoli sponsorizzati (e naturalmente indicati come tali) che riportano al tuo sito. A seconda della realtà editoriale, potrebbero accettare un contenuto scritto da te o potrebbero preoccuparsi loro della stesura del pezzo. Naturalmente questa operazione ha un costo, costo che cresce con la popolarità del sito che ti linkerà, ma i risultati si vedranno.

Per verificare chi linka il tuo sito, puoi usare un “backlink checker“.

Tag, metatag, metadescription, immagini: tutto contribuisce alla SEO

Qualsiasi contenuto deciderai di pubblicare sul tuo sito, dovrà essere ottimizzato in ottica SEO. Che significa? Individuare le parole chiave relative alla tua attività e inserirle in tutte quelle parti rilevanti. Nel titolo, nel sottotitolo (la metadescription dell’articolo, nei tag, nelle dida e nei nomi delle immagini allegate e anche nell’url del pezzo. Se usi Worpress, sarà molto semplice inserirli e plugin come YOAST – quello che uso io – ti aiuteranno a ottimizzare ulteriormente, indicandoti se hai dimenticato qualcosa o se puoi fare di meglio.

Yoast SEO ‑ SEO for everyone - Increase organic traffic, technical SEO & get rich results! | Shopify App Store

Non prenderli come se fossero la Bibbia, soprattutto in italiano, ma come indicazioni di massima: non cercare a tutti i costi di avere tutti gli indicatori di Yoast verdi, insomma. Perché va bene ottimizzare in ottica SEO, così da far “piacere” il tuo pezzo a Google, ma non dimenticare che chi andrà a leggere i tuoi contenuti sarà un essere umano, non un bot. L’articolo dovrà essere piacevole alla lettura, scorrevole, non infarcito di ripetizioni ogni due righe.

Contenuti sempre aggiornati e di elevata qualità

Se non aggiorni il tuo sito dal 2020, difficilmente scalerai la SERP, questo anche se il tuo sito è eccellente. Per scalare la pagina dei risultati di Google, infatti, è necessario avere contenuti aggiornati di frequente. Quanto? Dipende dalle tue risorse e dalle tue ambizioni. Un nuovo articolo al giorno sarebbe l’ideale, ma comprensibilmente non tutti hanno il tempo e il budget per un piano editoriale così elaborato. Inizia valutando un contenuto a settimana, ottimizzato in ottica SEO come ti ho spiegato prima. Se hai già un catalogo enorme di articoli, non ti far la tentazione di ripubblicarli cambiando solo la data. Google non è fesso, e se ne accorgerebbe. Se i contenuti sono validi, però, va benissimo riprenderli, aggiornarli cambiando titolo e sottotitolo, ma anche aggiungendo ulteriori dettagli ed eliminando o modificando le parti che col tempo non sono attuali come quando le hai pubblicate la prima volta.

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Google My Business – tutto quello che devi sapere

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Google My Business è uno dei più potenti strumenti digitali di business per chiunque gestisca un’attività, che si tratti di un negozio, un bar, un ristorante, un’officina, uno studio professionale. Ma anche per un libero professionista come me.

Tramite Google My Business, i clienti potranno trovare facilmente la tua attività online, cercando sul web, oppure direttamente su Google Maps. È totalmente gratuito, ti offre un sacco di analytics (statistiche) su quanti ricercano la tua attività, visitano il sito, ti chiamano telefonicamente o chiedono indicazioni su come raggiungerti.

La cosa più strana? Forse la tua attività è già presente su Google My Business e nemmeno lo sai: chiunque, infatti, può inserire un luogo su Google e farne una recensione, se lo desidera. In tal caso, si tratterà di una scheda generica sulla quale non hai – ancora – controllo. Questo può rivelarsi un grosso problema: un mio cliente, con 100.000 clienti (contenti ma silenti) sul territorio, non aveva controllato questo presidio Web e s’era beccato una cinquantina di recensioni a una stella; un enorme problema reputazionale!

Una volta che decidi di registrare la tua attività su Google, potrai prenderne il controllo e modificare le informazioni (orari di apertura, turni di chiusura, numero di telefono, immagini e via dicendo) e rispondere alle recensioni.

A cosa serve Google My Business?

Google My Business è uno strumento che ha due finalità principali: la prima è quella di permettere a tutti di rintracciare la tua attività su Internet. Ovviamente la gente non cercherà necessariamente il tuo nome (a meno che tu sia particolarmente noto nel tuo settore), ma un’attività generica: carrozziere, meccanico, pub, pizzeria, agenzia di viaggio e via dicendo. Quando qualcuno fa queste ricerche, soprattutto da smartphone, Google tenderà a proporre le attività corrispondenti come primi risultati, evidenziando proprio le pagine Google My Business. La stessa ricerca può essere effettuata anche su Google Maps.

Ma come è fatta una scheda di Google My Business (d’ora in poi GMB)? Fondamentalmente, è una sorta di mini-sito (o meglio sito one page) per la tua attività, che potrebbe benissimo sostituire un sito ufficiale. Se non ne hai uno, diventerà automaticamente questo; ma se hai già un sito, non ti consiglio di chiuderlo, bensì di tenerlo aperto e indicarlo nell’apposita sezione di GMB. La soluzione di Google, infatti, non sostituisce la tua presenza ufficiale online, ma la affianca, inserendo una serie di strumenti di analisi molto efficaci che sarebbe complicato e costoso integrare sul tuo sito.

L’analisi dei dati è proprio la seconda finalità di questo strumento: tramite la pagina di GMB potrai infatti sapere quante persone hanno cercato la tua attività, quanti hanno chiesto indicazioni a Google Maps per raggiungerla, quanti ti hanno chiamato passando direttamente da GMB, quali sono gli orari di maggiore affluenza alla tua attività, oltre a poter rispondere alle recensioni degli utenti.

Potrai anche usarlo come blog, inserendo qui tutte le informazioni rilevanti per la tua attività. Non solo: avrai anche facile accesso a una serie di strumenti promozionali, come le inserzioni su Google, e tramite un clic potrai anche creare un indirizzo di Gmail personalizzato, che non usa Gmail.com ma il tuo dominio, tipo www.nomeazienda.it, che dovrai registrare, se non lo hai ancora fatto. Non ti preoccupare se non sai come fare queste cose: verrai supportato tramite alcune guide passo a passo nelle varie operazioni necessarie.

Come aprire un profilo Google My Business

Aprire un nuovo profilo è estremamente semplice: vai all’indirizzo https://business.google.com, accedi col tuo profilo Google e seleziona “Crea la tua attività”. A meno che quest’ultima non sia stata aperta da pochissimo, è estremamente probabile che sia già online, magari anche con qualche recensione. Non ti preoccupare, non sei stato usurpato da nessuno: chiunque, infatti, può creare un’attività, se non presente, così da recensirla e inserire delle foto. Se ti trovi in questa situazione, non devi far altro che rivendicare l’attività, semplicemente cliccando sul tasto “Rivendica questa attività” e, successivamente, su “Gestisci ora”. Per assicurarsi che solo il proprietario possa eseguire questa operazione, Google ha preso delle precauzioni e quindi pretenderà delle prove. Tipicamente, ti verrà inviato all’indirizzo dell’attività una cartolina via posta (quella lenta, delle Poste Italiane) che conterrà un codice: potrai usare questo come verifica e a questo punto sarai a tutti gli effetti “proprietario” di questo spazio virtuale. Ovviamente, saranno necessari alcuni giorni. Quanti siano, dipende dall’efficienza del servizio postale italiano. Metti in conto di attendere almeno una settimana, in ogni caso, ma potrebbe volerci più tempo.
Fortunatamente, alcune particolari attività possono essere rivendicate anche attraverso altri metodi: tramite il numero di telefono, sul quale riceverai un SMS contenente il codice; via e-mail; in alcuni casi, addirittura inviando un video (procedura che richiede circa cinque giorni lavorativi, dato che il filmato dovrà essere esaminato. In rari casi, basterà usare la Search Console di Google per poterla rivendicare immediatamente.

Se invece l’attività non è ancora presente, non ti resta che crearla seguendo la procedura guidata, che riassumo qui di seguito. Accedi a Google My Business (https://business.google.com) e seleziona “Aggiungi Nuova Attività”. A questo punto, metti il nome, nel nostro caso un generico “La mia attività”.

Al passaggio successivo, indica la categoria. Se sei indeciso, non ti preoccupare: al contrario del nome, potrai modificare tutte queste informazioni in ogni momento. Attenzione, però: non puoi inventarti una categoria, ma devi limitarti a quelle preimpostate da Google.

Inizia quindi a digitare e vedi i suggerimenti che ti arrivano. “Servizi di consulenza”, per dire, non è utilizzabile, ma puoi usare “Consulenza del lavoro”, “Consulenza edile”, così come “Servizi di consulenza fiscale”. I questo caso, abbiamo scelto “Consulente aziendale”.

Se hai una sede fisica, specificalo al passaggio successivo. Andando avanti ti saranno poste ulteriori domande che ti aiuteranno a completare il profilo: se effettui servizio a domicilio, per esempio, e quali aree copri con questo servizio. Infine, dovrai indicare il numero di telefono dell’attività e specificare il suo indirizzo Internet, sempre che l’attività abbia un sito. A questo punto, ti verrà richiesto di verificare l’attività secondo uno dei metodi disponibili, a seconda della tipologia di realtà che hai registrato. Nel nostro caso siamo stati fortunati: è bastato un cellulare sul quale abbiamo ricevuto l’SMS.

Il lavoro non è ancora finito: ora GMB ti chiederà ulteriori informazioni. Può sembrare una scocciatura, ma in realtà compilare correttamente tutti i campi è un lavoro molto utile, che ti eviterà di dover modificare la scheda più avanti: i dati richiesti infatti saranno quelli fondamentali per l’utente finale. Non compilarlo significherebbe avere una scheda GMB “monca”, molto meno efficiente di una che riporta tutte le info utili. A partire dagli orari e i giorni di apertura, o se vuoi accettare messaggi. A quest’ultima ti direi di rispondere sì senza pensarci due volte, ma mi raccomando: devi poi rispondere a tutti, possibilmente in tempi MOLTO brevi. Un’ora è il limite, di solito. Idealmente, dovresti rispondere entro 5 minuti, anche se mi rendo conto che spesso è impossibile, a meno di avere una persona dedicata a questo o quasi.

Ora non ti resta che descrivere la tua attività. Hai 750 caratteri per farlo, che a mio avviso sono più che sufficienti. Non devi incensarti o fare un’auto-agiografia: non interessa a nessuno! Concentrati sulle caratteristiche che ti differenziano, sui problemi che risolvi e soprattutto sui servizi che offri, senza necessariamente elencarli uno per uno, soprattutto se sono numerosi. Per questo, infatti, c’è una sezione apposita, che ti spiegherò più avanti.

Se ha senso, puoi includere una breve storia della tua attività, ma ricordati che non devi annoiare il lettore e devi andare subito al sodo: ripari auto storiche? Questo è un dettaglio che merita di essere specificato, per esempio. Sei un idraulico? Può aver senso specificare che ti occupi di vendita e assistenza per le caldaie. Hai un panificio? Sottolinea che fai il pane è pleonastico: sicuramente ci sono elementi più interessanti che ti caratterizzano, come la qualità delle farine che usi, o le tecniche che adotti.

Fatto questo, è ora di inserire le foto. Queste verranno poi visualizzate sia nelle ricerche su Google sia in Google Maps, e sono fra gli elementi che fanno la differenza nel convincere un potenziale cliente ad usufruire o meno dei tuoi servizi. Chiunque potrà aggiungerne in seguito, ma le tue avranno la priorità e saranno indicate come “Caricate del gestore”, oltre che suddivise per interni, esterni e via dicendo. Puoi anche inserire foto a 360°, che sono molto efficaci, soprattutto nel caso di negozi di moda, tecnologia, attività di ristorazione in genere. Non sottovalutare l’importanza di queste immagini e cerca di inserire gli scatti più belli e rappresentativi. Meglio evitare foto fatte col telefono, per quanto di buona qualità. L’ideale sarebbe affidarti a un professionista, in particolare se operi nel settore della ristorazione (la foto dei tuoi piatti è un elemento chiave nella scelta di un locale dove mangiare) o nella moda.

A questo punto Google ti chiederà se vuoi fare pubblicità. Ti consiglio di saltare questo passaggio: concentrati sul creare la scheda della tua attività e solo dopo valuterai se ha senso fare pubblicità tramite Google Ads.

A questo punto, ti troverai di fronte alla dashboard della tua pagina Google My Business, dove potrai verificare le statistiche e modificare ogni aspetto. L’interfaccia è estremamente semplice ed essenziale e ti verranno suggerite subito le azioni da intraprendere, come realizzare un post, aggiungere un’immagine e, inevitabilmente, fare pubblicità. Non sei obbligato a farlo, naturalmente, ma Google inevitabilmente te lo proporrà con una certa frequenza, in molti casi anche inviandoti del credito omaggio da investire, solitamente qualche decina di euro, così da invogliarti. Del resto, il servizio GMB è gratuito e spronarti a investire sugli strumenti pubblicitari è il modo che ha Big G di monetizzare. In questa sede, però, non affronteremo il tema delle adv, che è complesso e richiederebbe un articolo a parte.

Scrollando verso il basso potrai verificare i vari suggerimenti, fra cui quali informazioni aggiungere per migliorare la tua scheda. Se hai indicato le informazioni in tutti i passaggi indicati in precedenza, senza ignorarli, sarai già a buon punto. Nel nostro esempio, il profilo era completo al 70% e GMB ci ha suggerito di aggiungere il logo dell’attività appena creata. Se non vuoi gestirla personalmente, ma vuoi delegare uno dei tuoi collaboratori o un professionista, vai su Utenti, nella barra a sinistra: potrai aggiungere ulteriori persone che potranno avere i privilegi di Proprietario o Gestore, con quest’ultimo che avrà qualche privilegio in meno. Nello specifico, non potrà rimuovere il profilo né aggiungere altri utenti. Ulteriori informazioni sui ruoli sono disponibili a questo indirizzo.

Dallo stesso profilo Google puoi gestire più attività, sia come proprietario sia come gestore, fatto utile nel caso tu possieda più punti vendita, per esempio, o se ti occupi di consulenza marketing e usi il tuo profilo per gestire le attività GMB dei tuoi clienti.

Completare il profilo Google My Business: servizi e prodotti

Alcune informazioni che possono essere molto utili per i clienti finali non ti vengono suggerite dal wizard iniziale, ma dovrai aggiungerle dopo aver completato la scheda. Fra queste, i servizi e i prodotti offerti. Puoi trovare queste voci nella barra a sinistra: basta cliccare sulla sezione che vuoi integrare e aggiungerli, uno per uno. Aggiungere nuovi servizi è estremamente semplice, si tratta di un mero elenco di attività che svolgi. Merita invece un approfondimento la sezione prodotti, che può risultare utilissima per i venditori, ma non solo. Andando nella sezione Prodotti e cliccando su Inizia potrai infatti creare un vero e proprio catalogo online, con foto e descrizione di ogni singolo oggetto. Potrai creare diverse categorie, specificare il prezzo (se lo desideri, non è obbligatorio), e aggiungere un pulsante con una CTA selezionabile fra le seguenti:

  • Ordina online
  • Acquista
  • Scopri di più
  • Vai all’offerta

Questo pulsante porterà poi a un link che potrà portare al tuo e-commerce, Amazon e Ebay inclusi, a un form da compilare o a una pagina web con ulteriori informazioni. Sebbene siano i negozianti i principali utenti di queste funzionalità, nulla ti impedisce di usare questa sezione in maniera creativa: un ristoratore potrebbe offrire dei coupon per la cena, così come un carrozziere un buono per un trattamento nanotecnlogico. Il tuo unico limite è la fantasia.

Creare un sito web da Google My Business

Come ti ho detto prima, GMB non si sostituisce al tuo sito ma è uno strumento complementare. Se hai già un sito, basta indicarlo e gli utenti potranno raggiungerlo cliccando su Sito Internet, anche direttamente dall’anteprima di Google My Business, che riporta anche pulsanti per chiamare direttamente o attivare il navigatore che porterà direttamente in loco. Se non ne hai uno ma vuoi realizzarlo nella maniera più semplice possibile, clicca su Sito Web dalla colonna di sinistra. Si aprirà un editor WYSIWYG (What You See Is What You Get) dove potrai scegliere un tema, modificare font e colori, aggiungere immagini e via dicendo. Non sarà un sito ultraprofessionale, ma l’interfaccia è infinitamente più semplice rispetto al classico WordPress, e non dovrai pagare un euro né essere costretto ad avere pubblicità di terzi. L’indirizzo predefinito però avrà un indirizzo del tipo la-mia-attivita.business.site. Vuoi un dominio personalizzato? Nessun problema: specifica l’indirizzo e, se il dominio è libero, Google ti permetterà di acquistarlo in un click, indicandoti subito il prezzo per la registrazione annuale.

Statistiche: uno strumento prezioso per potenziare il tuo business

Una volta completate tutte le informazioni, il tuo GMB sarà pronto e visibile. Che fare ora? Per il momento, nulla, oltre a verificare che tutti i dati inseriti siano corretti, che siano presenti tutte le informazioni e che non ci siano refusi. Attendi un po’ di tempo per vedere cosa succede, diciamo un mesetto, e poi inizia a guardare le statistiche. L’unica eccezione è rispondere ai messaggi e alle eventuali recensioni che riceverai. Ai messaggi, il prima possibile, soprattutto se sono messaggi rilevanti, come informazioni dettagliate sui servizi o prodotti offerti. Considera che oggi l’utente medio si aspetta una risposta immediata usando canali digitali, motivo per cui sono in tanti a usare dei bot su Facebook, Instagram o sui loro siti internet. Ti anticipo subito che potrebbero arrivare domande anche irritanti: da chi ti chiede informazioni presenti e corrette (tipo gli orari di apertura dell’attività) a chi ti fa domande totalmente prive di senso o scritte in un italiano incomprensibile. Rispondi sempre educatamente, anche a chi si comporta un po’ da cafone. Piuttosto che cercare la rissa, ignoralo: purtroppo, i maleducati non mancano, ma abbassarti al loro livello, pubblicamente, sarebbe una pessima mossa.

Ora che è passato un mese, ha senso iniziare a guardare le statistiche per capire cosa sta succedendo e se la tua pagina sta “funzionando”. Accedi alla tua pagina GMB e vai su Statisiche nella sezione di sinistra. Il primo dato che ti verrà presentato sarà relativo alle ricerche: come ti ricercano i clienti su Internet? Fondamentalmente, hai tre opzioni: ti hanno cercato direttamente, mettendo l’indirizzo oppure il nome preciso della tua attività; ti hanno trovato genericamente, per esempio cercando con chiavi come “Gelataio”, “gommista”, “ristorante indiano”; ultima opzione, hanno cercato il nome del tuo brand (tipo McDonald’s, nel caso tu gestista in franchise un punto vendita del noto marchio americano) e di uno dei prodotti che offri, per esempio “Sushi” nel caso tu gestisca un ristorante giapponese.

Il secondo grafico ti indica quante ricerche sono effettuate su Google e quante direttamente da Google Maps, e il terzo sulle azioni svolte dai clienti: quanti sono andati sul sito ufficiale dopo aver visto la tua pagina GMB, quanti hanno chiamato telefonicamente, quanti hanno chiesti indicazioni al navigatore su come raggiungerti. Il quarto grafico è legato a quest’ultimo, e ti indica da quali aree provengono le richieste di chi trova indicazioni. Ti può tornare utile per capire le aree su cui effettuare investimenti pubblicitari, nel caso decidessi di farlo.

Ulteriori informazioni statistiche ti indicheranno i giorni della settimana in cui ricevi più telefonate e gli orari di punta, cioè quanto la tua attività è più frequentata. Si tratta in realtà di un dato più utile agli utenti finali che a te, dal momento che queste informazioni dovresti già averle sottomano. In fondo alla sezione delle statistiche trovi infine i dati relativi alle tue foto, che possono tornare molto utili in quanto vengono comparati a quelli delle attività simile alle tue, e sono suddivisi sulla base delle foto pubblicate da te e quelle pubblicate dai clienti.

Perché Google My Business può aiutarti a vendere di più?

Che tu sia un noto professionista o un piccolo esercizio di quartiere, il vantaggio di Google My Business è che ti permette di intercettare le ricerche effettuate sia su Google sia su Google Maps, che sono i principali strumenti utilizzati dalle persone quando si presenta la necessità. Il tipico esempio? Un turista che cerca una gelateria nelle vicinanze per concedersi un momento di pausa dalle sue esplorazioni. Ma anche lo sfortunato automobilista che ha un problema alla sua vettura e, trovandosi lontano dal suo meccanico di fiducia, ha bisogno di un supporto il prima possibile. Ma questo vale anche per gli studi professionali: chi ha bisogno di un avvocato, un commercialista, un notaio, un dentista, tende spesso ad affidarsi al passaparola degli amici, è vero, ma non sempre è valido e capita molto frequentemente che si vada alla ricerca dello specialista più vicino per queste esigenze.
Google My Business è anche un servizio utile per chi è già tuo cliente, dato che fornisce al volo informazioni utili e rapide. Se provi a cercare il numero telefonico o l’indirizzo di un negozio o di un pub sul sito, dovrai prima accedere al sito e, nella maggior parte dei casi, sfogliare qualche pagina prima di trovare queste informazioni. Al contrario, Google My Business presenta delle comodissime scorciatoie direttamente dalla SERP, la pagina dei risultati di Google: basta un tap sullo smartphone per avviare il navigatore o effettuare una chiamata, facendo risparmiare un sacco di tempo. Le recensioni, infine, aiuteranno i potenziali clienti a farsi un’idea dei servizi offerti, naturalmente se sono positive. Non tutti tendono a farle, e per questo motivo se sei in confidenza coi tuoi clienti puoi chiedere cortesemente se vogliono darti un feedback ufficiale, mettendolo nero su bianco sulla pagina. Il modo meno invasivo per farlo? Chiedi al cliente di lasciarti una mail o un recapito telefonico, dove potrai inviare la fattura o altre informazioni. Dopo aver offerto il servizio, invia una mail con allegata la fattura e, in calce, metti due righe chiedendo se desiderano lasciare una recensione, naturalmente inserendo il link diretto. Non tutti lo faranno, ma in ogni caso avrai acquisito un contatto che potrebbe tornarti utile per le tue campagne di marketing. Attenzione, però: non puoi usarle queste informazioni come nulla fosse: se vuoi inviare loro una DEM o iscriverli alla newsletter, devi infatti chiedere esplicitamente l’autorizzazione. Potrai farlo direttamente nel messaggio che hai inviato loro.

Rivoluzione Google: come Big G ha cambiato la nostra vita (in dieci modi)

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Per qualcuno siamo nel 2021 d.C., dopo Cristo. In questo video dimostro che siamo invece nel 23 d.G., dopo Google. Elenco dieci rivoluzioni portate da Big G. nelle nostre vite:

  1. Accessibilità delle informazioni
  2. Consapevolezza del consumatore (simmetria informativa)
  3. Pubblicità mirata (micro-targetizzazione)
  4. Uso dei big data delle ricerche
  5. Nuovi mestieri (per esempio “SEO expert”)
  6. Televisione (YouTube)
  7. Cloud office (Drive)
  8. Viaggi (Maps)
  9. Ricerche vocali e Home assistant
  10. Stupidità e intelligenza

Guarda qui il video “Messaggio dal 23 d.G.”:

 

Come evitare epic fail sui social con la ricerca inversa delle immagini di Google

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Il 16 ottobre 2021 l’ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha pubblicato su Facebook questo post per ricordare la notte del Ghetto di Roma:

Apriti cielo: la foto non c’entra nulla con Roma, ma è un’immagine del ghetto di Varsavia. L’epic fail (la figuraccia, in pratica) è virale, nonché bipartisan:

Lo scopo di questo mio articolo è quello di mostrare come sarebbe stato possibile evitare la figuraccia in pochissimi secondi, grazie alla ricerca inversa delle immagini di Google (già citata nell’articolo Come scoprire se una foto è falsa).
Basta fare clic con il tasto destro sulla foto (nell’esempio uso Chrome) e scegliere, dal menu a tendina, “Cerca l’immagine su Google”:

Nei risultati della ricerca si trovano link e foto:

Si seleziona un’immagine per vederne nome e descrizione, o quantomeno il collocamento all’interno di un sito. In questo caso è palese che si tratta di una foto del ghetto di Varsavia.


Uno strumento alternativo per fare la ricerca inversa delle immagini è TinEye (dove tra l’altro si vede al volo che si parla di Warszaw…):

Contattami per un evento sulle fake news

7 trend di ricerca Google che raccontano la pandemia

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Nel corso “Big data e comunicazione aziendale: come costruire un piano editoriale data-driven” illustro parecchi strumenti che permettono di ascoltare il Web, tradurre dati e trend in potenziali contenuti. Uno dei più interessanti è Google Trends: permette di conoscere la frequenza di ricerca sui motori di ricerca del Web di una determinata parola o frase. Prima di mostrarti i sette trend che raccontano la pandemia da Coronavirus e il lockdown, voglio raccontarti 10 cose su Google Trends.

10 cose da sapere su Google Trends

  1. I dati si basano su richieste di ricerca effettive fatte a Google.
  2. Il campione è reso anonimo: nessuno viene identificato personalmente, i dati sono aggregati.
  3. Non vi si trovano valori assoluti, ma l’interesse per un determinato argomento.
  4. Si possono fare ricerche anche per zone specifiche.
  5. Le ricerche sono per giorno o in tempo reale.
  6. Si possono esplorare anche le tendenze del mercato in Ricerca Google, Google Immagini, Google News, Google Shopping e Ricerca di YouTube.
  7. Si possono confrontare termini di ricerca e argomenti nelle varie lingue e località e in intervalli di tempo diversi.
  8. Si possono fare ricerche anche per categoria: del resto per “maschera” si può intendere un’attrezzatura medica protettiva o un prodotto di bellezza.
  9. Si possono esplorare i termini più ricercati e quelli in aumento, oltre alle ricerche correlate.
  10. Infine un trucchetto di ricerca: mettendo una frase tra virgolette si cerca la frase esatta.

7 trend che raccontano la pandemia

Ho usato Google Trends per capire che cosa succede agli italiani durante il lockdown per la pandemia da Coronavirus. Ovviamente le ricerche del virus sono esplore da febbraio 2020:

Ecco quanto ho rilevato seguendo altri trend.

1. Oltre alla crisi sanitaria, è esplosa quella economica. Ecco il picco di ricerche sulla sospensione del mutuo sulla casa:

2. Chiusi in casa, gli italiani hanno scoperto l’e-commerce. Partendo da due beni di prima necessità…

3. Anche i dispositivi di protezione sono al centro dei nostri pensieri, anche su Google.

4. Lo smart working, in realtà dovremmo chiamare più propriamente “remote working”, ci ha fatto scoprire le videoconferenze. Al boom di Zoom e Meet si accompagna la scoperta di moltissime altre applicazioni. Una delle più interessanti è Jitsi, free e open source.

5. Non potendo andare al cinema, è esploso Netflix (ora 150 milioni di abbonati).

6. Anche il calcio non è più una priorità per gli italiani, che si sono riscoperti panificatori.

7. Ma il trend che più di tutti rappresenta il lockdown è la ricerca di attività “vicine” come supermercati, ristoranti, distributori GPL vicini alla propria abitazione (trend invece in crescita fin0 alla fine dello scorso anno).

L’intervista per Radio Capital

Sabato 2 maggio 2020 la DJ La Mario di Radio Capital mi ha intervistato sul tema dei trend delle ricerche Google al tempo del Coronavirus. Puoi riascoltare l’intervista qui:

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Bimbi e tecnologia a casa: 5 dritte per proteggerli

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Questo video è  stato realizzato in collaborazione con Benessere Digitale in piena emergenza Coronavirus, con genitori e figli costretti a casa ma con i primi impegnati nello smart working. Ho quindi raccolto 5 suggerimenti per genitori che danno in mano i device digitali ai propri figli ma vogliono evitare brutte sorprese. Si parla di filtri alle ricerche di Google e YouTube, contenuti protetti, acquisti in-app e altro.

Qui trovi tutte le istruzioni per attivare i filtri:

Filtrare i risultati espliciti con SafeSearch

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Leggi un approfondimento su YouTube Kids:

Che cosa sono i motori di ricerca semantici?

Google rappresenta lo stato dell’arte della ricerca online, non a caso ha sbaragliato la concorrenza. Ma da qui a dire che le ricerche siano perfette, ce ne corre. Anzi, possiamo chiaramente affermare che il meccanismo di ricerca è tutt’altro che “smart”, come si dice di questi tempi. Per interrogare l’oracolo Google dobbiamo usare parole chiave e codici ben precisi e i risultati non sono sempre pertinenti. Un grosso passo avanti può avvenire con i motori di ricerca semantici, vale a dire strumenti da interrogare con linguaggio naturale e che restituiscano risultati “ragionati”. Qualcuno prova ingenuamente a usare un linguaggio naturale con Google, scrivendo frasi articolate, ricche di punteggiatura e avverbi e altro, sostanzialmente perdendo tempo.

Il cosiddetto “Web semantico” (si parla di Web 3.0[1]) rappresenta il tentativo di aggiungere significato al Web, rendendo i contenuti comprensibili anche alle macchine, che devono quindi non solo contare le occorrenze, ma comprendere i significati, i contesti. Ragionare come (dovremmo fare) noi. Come? Grazie ai metadati: dati, come etichette, che descrivono altri dati. Un esempio in tal senso è Graph Search, il motore di ricerca di Facebook che permetterà un’interazione colloquiale: potremo chiedere di mostrare le “foto scattate dai miei amici a New York” per ottenere esattamente ciò che vogliamo, e che attualmente non potrebbe darci Google, perché non sa (ancora) quali sono i nostri amici.

Google, in realtà, è già più avanti di quanto pensiamo. Nel 2012 ha introdotto Knowledge Graph[2] (grafo della conoscenza), un sistema per associare parole e oggetti in modo da ottenere una ricerca più completa e coerente. In concreto, accanto ai risultati tradizionali della parte centrale della pagina di Google, sulla destra appaiono informazioni pertinenti all’oggetto della ricerca: a Leonardo Da Vinci sono associate anche le sue opere, altri artisti, il luogo di nascita e di morte e così via.

Un progetto interessante è quello di Wolfram Alpha, definito dal creatore – lo scienziato e matematico britannico Stephen Wolfram – come un “motore computazionale di conoscenza”: interpreta le parole chiave inserite dall’utente e propone direttamente una risposta, invece che offrire una lista di collegamenti ad altri siti come fa Google. L’era dell’intelligenza artificiale, di macchine che superino il mitico test di Turing[3], si sta avvicinando[4].

Questo paragrafo è tratto da “Il guru di Google”. Puoi acquistarlo su Amazon:

[1] Rudy Bandiera, Rischi e opportunità del Web 3.0 e delle tecnologie che lo compongono, Dario Flaccovio Editore

[2] www.google.com/insidesearch/features/search/knowledge.html

[3] Alan M. Turing, Computing machinery and intelligence, in Mind (1950)

[4] In realtà, nell’era dell’Internet of things, esistono già esempi di macchine, intese proprio come automobili, che funzionano senza l’intervento umano. Proprio Google ha lanciato il progetto di una “self driving car”: http://googleitalia.blogspot.it/2014/05/basta-premere-avvio-il-progetto-di-un.html

Che cos’è il diritto all’oblio?

Il 5 marzo 2010 lo spagnolo Costeja González, nella foto, si rivolse al garante della privacy spagnolo per presentare un reclamo contro La Vanguardia Ediciones, che pubblica un quotidiano di larga diffusione, nonché contro Google Spain. Il reclamo era fondato sul fatto che, cercando il nome di González in Google, si ottenevano link verso due articoli del quotidiano che parlavano del pignoramento della sua casa, 16 anni prima. González non voleva che comparissero più i suoi dati, visto che la questione era risolta da anni. Il tribunale stabilì che il quotidiano aveva agito correttamente mentre il motore di ricerca doveva accontentare González. L’intero testo della sentenza è disponibile in PDF qui:

corte-giust-131-12

Una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea (C-131/12 del 13 maggio 2014), a seguito di questa vicenda, ha disposto che in alcuni casi si può chiedere ai motori di ricerca di rimuovere dei risultati, se sussistono rilevanti motivi legati alla privacy. Google non ha potuto esimersi dal rispettare la legge: dopo due settimane dalla sentenza aprì la possibilità ai cittadini europei di poter inviare, con un modulo su Internet (questo il link), la richiesta di rimuovere link inadeguati a loro riferiti. Tuttavia Big G specifica a chiare lettere:

A fronte di una tale richiesta, effettueremo un bilanciamento tra il diritto alla privacy della persona e il diritto di rendere accessibili le informazioni e l’interesse pubblico a trovarle. Nel valutare la richiesta considereremo se i risultati includono informazioni obsolete sul richiedente e se le informazioni sono di interesse pubblico. Ad esempio, potremmo decidere di non rimuovere determinate informazioni che riguardano frodi finanziarie, negligenza professionale, condanne penali o la condotta pubblica di persone che ricoprono incarichi nell’amministrazione pubblica.

Per la cronaca: nei primi cinque mesi Google esaminò più di mezzo milione di siti.

Fogpad: file blindati su Google Drive

Il servizio Fogpad permette di caricare sul tuo spazio Drive dei documenti a prova di intruso.

Ormai la nuvola spaventa sempre meno: tra Dropbox, OneDrive, Box e altri servizi on-line, stiamo trasferendo sempre più dati nel cloud. Anche se, a dire il vero, qualcuno ha ancora parecchie remore: i file non sono più sul mio PC, chi vi accede? Come li proteggo? La risposta è Fogpad: un servizio Freemium che consente di crittografare, proteggendo con password, i documenti da caricare su Drive, il tuo spazio in cloud offerto da Google.

Il funzionamento 

Fogpad è un servizio che permette di blindare i tuoi documenti, crittandoli con una password. In pratica, come detto, è la risposta a chi ha paura di lasciare documenti “delicati” sulla nuvola. Collegati al sito Web www.fogpad.net.

Per utilizzare il servizio occorre iscriversi. Si può usare il proprio profilo Google, anzi il profilo sul social network G+. Accetta le condizioni a procedi. Nella schermata successiva metti il segno di spunta accanto a “I have read and agreed to the Terms of Use and Privacy Policy”. Fai clic su “Sign up”.

Il servizio, come detto, è Freemium: gratis per cinque documenti, oltre occorre pagare. Per crittare il primo documento, fai clic su “Upload”, in alto a destra.

Dopo aver scelto quale documento caricare, grazie a una finestra di esplorazione delle risorse del PC, occorre inserire una password, due volte per sicurezza. Poi fai clic su “Encrypt + upload”: in tal modo si fanno due cose in un colpo solo, crittazione e caricamento.

Al termine della doppia operazione, il documento crittato appare nell’elenco al centro della pagina. E compenso, in alto, il conteggio dei file caricabili è sceso di uno: ora sono quattro. Da questo pannello puoi anche cancellare il file.

Ecco, invece, come si carica un documento che non esiste: come lo si crea da qui. Fai clic su “Create document”, comando che si trova accanto a quello di upload visto al passo 3.

Questa volta la password va scelta prima di creare il documento: del resto non si possono caricare file “in chiaro”, quindi nemmeno crearli da zero.

Quello di Fogpad è un editor testuale a tutti gli effetti, che non ha da invidiare ad altri servizi analoghi on-line: si può scrivere, formattare, inserire contenuti multimediali o tabelle e anche incollare testo da Word, preservandone la formattazione.

Per assegnare il nome al file, cosa determinante per ritrovarlo poi facilmente nell’elenco, basta fare clic sull’intestazione in alto. Quella che, inizialmente, riporta la dicitura inglese “Senza titolo”.

Con un clic su “Back”, in alto a sinistra, si torna all’elenco dei documenti. Ora sono due, e ne puoi caricare o creare altri tre.

Potresti gestire i file solo da qui: ma, come detto inizialmente, il servizio su appoggia su Drive. Quindi i file devono essere sulla nuvola di Google. Per accedervi, apri uno qualsiasi dei servizi di Big G, per esempio Gmail, e scegli di spostarti su Drive.

Per ritrovare velocemente i file creati con Fogpad, basta usare il menu di sinistra, scegliendo di visualizzare i documenti recenti. Troverai i tuoi file crittati in cima alla lista.

Che cosa succede se provi ad aprire uno dei file blindati? Ovviamente l’anteprima non è disponibile, perché il file è crittato. Bisogna comunque passare da Fogpad, per aprirli.

 

Quanto costa Fogpad

Detto che Fogpad è gratis per l’uso con cinque documenti, quanto costa? Per fare l’upgrade del proprio account, inizialmente definito “demo”, basta collegarsi all’indirizzo www.fogpad.net/pricing e scegliere un profilo. Il pagamento può avvenire solo con carta di credito.

 

La crittazione

Ogni document caricato in Fogpad o creato con l’editor viene crittato con algoritmo AES a 256 bit. Per intenderci: è l’algoritmo usato anche per blindare i dati bancari o le informazioni sulla tua carta di credito inserita in Amazon.

 

I dati restano tuoi

Quando carichi i file su Fogpad, restano tuoi? La risposta è contenuta nei termini d’uso del servizio, sezione “User data” (www.fogpad.net/terms). Ed è sì: “You retain all of your ownership rights, including copyrights and other intellectual property rights in and to your user content”. Chiaramente Fogpad non vuole materiale illegale sui suoi server.