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La Rete, i social e gli smartphone possono creare dipendenza?

In Cina esistono centinaia di centri di trattamento per la dipendenza da Internet. È il governo cinese a promuovere la cura di persone che hanno completamente perso il controllo, e che i genitori portano in questi centri a volte con l’inganno. Esiste anche un documentario sul fenomeno (Web Junkies), che si trova facilmente in Rete; questo è il trailer:

Da tempo si parla di dipendenza dalla Rete: Internet addiction (o IAD). In un articolo su questo sito ho elencato 15 statistiche incredibili, che puoi leggere qui. Va detto, però, che spesso vi è, soprattutto da parte dei genitori, una tendenza a drammatizzare, confondendo l’uso eccessivo, comunque problematico, con una vera patologia: malattia che riguarda una piccola minoranza degli utenti della Rete (tra l’1% e il 9%). Secondo il sito Dipendenze.net:

“I numeri dell’uso di internet e della dipendenza ci dicono che in Italia i dipendenti da internet sono quasi tutti giovani e giovani-adulti e, considerando i livelli di gravità severo e moderato, sono circa il 6%, mentre in Inghilterra il 18% degli studenti usa internet in modo eccessivo, in Norvegia l’1% e in Grecia l’8% è dipendente. Ma è nel continente asiatico che i tassi d’incidenza sono più elevati, oscillano dall’1% al 25%” (fonte).

Una ricerca ancor più recente, condotta da Skuola.net, Università La Sapienzà e Università Cattolica di Milano per conto della Polizia di Stato su 6.671 persone tra gli 11 e i 25 anni evidenza che il 45% degli utenti passa su Internet almeno 5-6 ore al giorno, anche nel fine settimana. Quando manca la connessione alla Rete, un intervistato su cinque dice di sentirsi a disagio.
Ricapitolando occorre distinguere, come fa Israelashvili, tra ragazzi che abusano della Rete, forti utenti e dipendenti: secondo l’autore le prime due categorie non configurano una dipendenza e sono strettamente correlate agli scopi identitari dell’età e alle esigenze della vita adolescenziale.

Le caratteristiche della dipendenza dalla Rete

La dipendenza dalla Rete, a detta di Block JJ, è una patologia che si presenta con quattro caratteristiche ben precise.

  1. Uso eccessivo associato alla perdita della cognizione del tempo e che finisce per far trascurare i bisogni fondamentali, come l’alimentazione e il sonno. A proposito di sonno va registrato un aumento spaventoso del cosiddetto fenomeno del vamping: l’abitudine degli adolescenti di navigare di notte. L’Osservatorio nazionale adolescenza ha condotto uno studio su 8.000 ragazzi a partire dagli 11 anni d’età. È emerso che 6 su 10 dichiarano di rimanere spesso svegli fino all’alba a chattare, parlare e giocare, rispetto ai 4 su 10 nella fascia dei preadolescenti.
  2. Chiusura verso l’esterno, con sentimenti di rabbia, tensione e/o depressione quando il computer non è accessibile. Qui occorre richiamare le sindromi dette Fomo e Nomofobia, di qui avevamo già parlato qui. Va segnalato, inoltre, il crescente fenomeno dei giovani hikikomori: coloro che rifiutano qualsiasi contatto con l’esterno perché vittime di bullismo o perché rifiutati dai coetanei.
  3. Persistenza, con richieste di nuove dotazioni tecnologiche, migliori software, più tempo per stare al computer.
  4. Ripercussioni negative, come frequenti litigi con i familiari, facilità nel mentire, ridotta produttività professionale o scolastica, isolamento sociale, stanchezza.

Chi è più soggetto a diventare dipendente? Fioravanti fa un collegamento empirico tra la mancanza di abilità sociali e la dipendenza da Internet: in pratica ipotizza che le persone con scarse social skill siano le più soggette a sviluppare una preferenza per l’interazione sociale on line, che poi predice a sua volta un utilizzo problematico.

Quanto usano la Rete i nostri ragazzi?

La fascia di popolazione più a rischio è quella degli adolescenti. Raro che si arrivi a sintomi depressivi, però. Spesso si parla solo di “information overload” (qualcuno parla di “infobesità”) o, più prosaicamente, di “technostress”. Ma quanto usano la Rete i nostri ragazzi? Possiamo rispondere a questa domanda con dei dati concreti. La ricerca “Indagine sull’uso dei nuovi media tra gli studenti delle scuole superiori lombarde” (consulta lo studio qui) condotta da Marco Gui nel 2013 ha fatto emergere un dato interessante: la permanenza online media giornaliera dei ragazzi di seconda superiore è di circa tre ore.

Ma è inversamente proporzionale all’impegno richiesto dalla scuola: mentre i ragazzi dei licei navigano per circa 2 ore e 48 minuti (in media), quelli degli istituti tecnici lo fanno per 3 ore e 5 minuti, quelli degli istituti professionali 3 ore e 10 minuti, quelli dei Centri di formazione professionale infine superano tutti gli altri con circa 3 ore e 15 minuti al giorno. Altro dato interessante: chi ha genitori stranieri immigrati in Italia naviga di più di chi ha entrambi i genitori italiani.

All’inizio della diffusione di Internet in Italia i risultati erano opposti: i ragazzi dei contesti sociali più avvantaggiati erano i maggiori utilizzatori delle nuove tecnologie. Evidentemente, fa notare Marco Gui, la quantità di consumo di Internet non può più essere considerata un indicatore di inclusione sociale come si faceva all’inizio.

Come si cura la dipendenza dalla Rete?

Nei casi meno gravi di dipendenza da Internet si può ricorrere anche al nudging (vedi libro Richard H. Thaler, Nudge, la spinta gentile, Feltrinelli), che in economia comportamentale individua una serie di rinforzi positivi o aiuti indiretti che possono influenzare decisioni e comportamenti. In un interessante articolo di Marianna Vaccaro sul digital detox da smartphone, si racconta un esperimento particolare. In due locali milanesi sono state posizionate sui tavoli delle scatole di legno, all’interno delle quali era possibile inserire i propri smartphone. Su ogni scatola si trovavano degli adesivi con la scritta “Sei davvero social? #posalo”, invitando i clienti ad abbandonare i telefonini (un chiaro tentativo di far leva sull’effetto gregge). È stata poi monitorata la frequenza di utilizzo degli smartphone prima e durante l’esperimento: prima il 25% dei clienti utilizzava lo smartphone, dopo solo il 15%.
La cura della “vera” dipendenza da Internet, dicono gli esperti, richiede invece un intervento psicoterapeutico di tipo cognitivo comportamentale. La terapia è sostanzialmente questa: mentre si riduce l’uso della Rete, si incentivano comportamenti e attività alternativi, gratificanti, in sostituzione. Raramente si ricorre all’uso degli psicofarmaci, a meno che il terapeuta non abbia diagnosticato anche la depressione.

I consigli dell’esperto

Nel mio podcast “Genitorialità e tecnologia” ho intervistato su questi temi Alberto Rossetti, psicoterapeuta e autore di “Nasci, cresci e posta. I social network sono pieni di bambini: chi li protegge?”:

Ascolta “1×09 Hikikomori, dipendenza e regole: intervista ad Alberto Rossetti” su Spreaker.

Internet addiction, quali sono le malattie connesse alla dipendenza da Internet

“Internet addiction, quali sono le malattie connesse alla dipendenza da internet”: questo mio articolo è stato pubblicato su Agenda Digitale, progetto del network Digital360 che aiuta imprese e pubbliche amministrazioni nella comprensione e nell’attuazione della trasformazione digitale e open innovation.

Internet addiction, quali sono le malattie connesse alla dipendenza da internet

Technostress, Nomo fobia, Nomo: che dice la letteratura scientifica in merito alle patologie o sindromi associabili alla internet addiction

di Gianluigi Bonanomi

a tempo si parla di dipendenza dalla Rete: Internet addiction (la sigla è IAD). Spesso però vi è da parte dei genitori una tendenza a drammatizzare, confondendo l’uso eccessivo, comunque problematico, con una vera patologia: malattia che riguarda una piccola minoranza degli utenti della Rete (tra l’1% e il 9%).

Le quattro caratteristiche dell’internet addiction

La dipendenza dalla Rete, a detta dello psicologo Jerald J. Block, è una patologia che si presenta con quattro caratteristiche ben precise.

  1. Uso eccessivo associato alla perdita della cognizione del tempo e che finisce per far trascurare i bisogni fondamentali come l’alimentazione e il sonno.
  2. Chiusura verso l’esterno, con sentimenti di rabbia, tensione e/o depressione quando il computer non è accessibile.
  3. Persistenza, con richieste di nuove dotazioni tecnologiche, migliori software, più tempo per stare al computer.
  4. Ripercussioni negative, come frequenti litigi con i familiari, facilità nel mentire, ridotta produttività professionale o scolastica, isolamento sociale, stanchezza.

La fascia di popolazione più a rischio è quella degli adolescenti. Raro che si arrivi a sintomi depressivi, però. Spesso si parla solo di “information overload” (qualcuno parla di “infobesità”) o, più prosaicamente, di “technostress”.

I dati sull’uso della rete da parte dei ragazzi

Ma quanto usano la Rete i nostri ragazzi? Possiamo rispondere a questa domanda con dei dati concreti. La ricerca “Indagine sull’uso dei nuovi media tra gli studenti delle scuole superiori lombarde”, condotta dal professore Marco Gui con alcuni colleghi nel 2013, ha fatto emergere un dato interessante: la permanenza online media giornaliera dei ragazzi di seconda superiore è di circa tre ore. Ma è inversamente proporzionale all’impegno richiesto dalla scuola: mentre i ragazzi dei licei navigano per circa 2 ore e 48 minuti in media, quelli degli istituti tecnici lo fanno per 3 ore e 5 minuti, quelli degli istituti professionali 3 ore e 10 minuti, quelli dei Centri di formazione professionale infine superano tutti gli altri con circa 3 ore e 15 minuti al giorno. Altro dato interessante: chi ha genitori stranieri immigrati in Italia naviga di più di chi ha entrambi i genitori italiani.

All’inizio della diffusione di Internet in Italia i risultati erano opposti: i ragazzi dei contesti sociali più avvantaggiati erano i maggiori utilizzatori delle nuove tecnologie. Evidentemente, fa notare Gui, la quantità di consumo di Internet non può più essere considerata un indicatore di inclusione sociale come si faceva all’inizio.

 

Le sindromi della dipendenza: Nomo e Fomo

Esistono altre malattie o patologie legate a Internet? Rispetto allo studio di Block citato prima, datato 2008, ci sono state due grossi cambiamenti: l’esplosione di connessioni in mobilità, grazie agli smartphone, e il boom dei social network. Esistono due sindromi connesse a questi fenomeni. La prima si chiama “No.Mo.Fobia”: sta per “no mobile fobia” (la paura di rimanere senza connessione alla Rete da mobile) e la seconda è nota come FOMO(acronimo che sta per “fear of mission out”, la paura di perdersi qualcosa, di essere tagliato fuori).

La No.Mo.Fobia è quindi traducibile come “timore ossessivo di non essere raggiungibili al cellulare”: colpisce per lo più giovani tra i 18 e 25 anni, con bassa autostima e problemi relazionali. Chi ne è colpito può arrivare a sperimentare attacchi di panico con vertigini, tremore, mancanza di respiro e tachicardia in caso di assenza di Rete mobile o di cellulare fuori uso. La No.Mo.Fobia è connessa all’uso eccessivo dei social network: “L’abuso dei social network può portare all’isolamento – spiega Ezio Benelli, presidente del congresso e dell’International foundation Erich Fromm – l’utilizzo smodato e improprio del cellulare può provocare non solo divari enormi tra persone, ma anche a chiudersi in se stesse e a alimentare la paura del rifiuto”.

Uno studio dell’ente di ricerca britannico Yougov mostra che oltre la metà degli utenti di telefonia mobile (53%) tende a manifestare stati d’ansia quando rimane a corto di batteria, di credito o senza copertura di Rete. In generale l’abuso dello smartphone è un fenomeno diffusissimo: uno studio curato dal centro americano Kleiner Perkins Caufield & Byers’s rivela che, in media, si controlla il proprio telefono almeno 150 volte al giorno.

Collegata alla No.Mo.Fobia c’è anche la FOMO. Tra parentesi l’acronimo è entrato nell’Oxford Dictionary nel 2013. Secondo Annamaria Testa, “fa perdere il senso di sé. Ed è strettamente connesso con un accesso compulsivo ai social media: si va su Facebook appena svegli. Durante i pasti. E un’ultima volta appena prima di addormentarsi. L’unico modo per alleviare lo sconforto generato dal confronto sociale è presentare una versione della propria vita accuratamente editata. Ma c’è un risultato secondario: qualcun altro starà male sentendosi inferiore”.

Che cosa sappiamo della FOMO? Andrew Przybylski dell’università di Oxford, il primo a dare una definizione puntuale del fenomeno, evidenzia che i livelli di FOMO sono più alti nelle persone giovani e in particolare negli individui di sesso maschile. Bassi livelli di considerazione della propria vita coincidono con alti livelli di FOMO. La FOMO è sempre esistita, ma ora è aggravata da un rapporto ambiguo con i social media, che possono portare a vere crisi di astinenza.

Questa sindrome, che deriva quindi da bassa autostima, va combattuta ricreando un rapporto sano ed equilibrato con la tecnologia mobile, e con sé stessi. Circa la metà degli adolescenti ha la sensazione che i loro pari abbiano esperienze più gratificanti. Evidentemente non è così.

RIFERIMENTI

Jerald J. Block, “Issues for DSM-V: Internet addiction”, in American Journal of Psychiatry n. 165

Marco Gui, “Indagine sull’uso dei nuovi media tra gli studenti delle scuole superiori lombarde”, reperibile su www.gianluigibonanomi.com/uso-nuovi-media-studenti

Marco Gui, A dieta di Media, Il Mulino 2014

“Allarme ‘nomofobia’, dipendenza da smartphone è malattia”, da www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/sanita/2017/04/19/saluteallarme-nomofobiadipendenza-da-smartphone-e-malattia_65317299-8658-4fed-84ee-a925029e98e3.html

“Guardiamo il nostro smartphone 150 volte al giorno. Ogni sei minuti della nostra veglia”, da www.corriere.it/tecnologia/cyber-cultura/13_maggio_30/occhi-smartphone-150-volte_e79633aa-c937-11e2-b696-db4a64575c16.shtml

“I social media, il sé virtuale e la maledizione dei tempi interessanti”, da http://nuovoeutile.it/social-media-se-virtuale

www.andrewprzybylski.me