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I giustizieri della Rete

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Qualche anno fa rimasi impressionato dalla vicenda di Oscar Giannino. Alle elezioni politiche del 2013 il giornalista dandy (lo incontrai a un evento giornalistico e mi colpirono, per fortuna solo metaforicamente, delle scarpe con borchie) si presentò alla guida del movimento “Fare per fermare il declino”. A pochi giorni dal voto, però, il suo compagno di partito, l’economista Luigi Zingales, denunciò dei falsi nel suo curriculum. Tra gli studi di Giannino spiccava un master alla Booth University di Chicago, quella dove insegna Zingales. Ma il professore scoprì che alla Booth University Giannino non ha mai messo piede. Anzi, Oscar non era nemmeno laureato.

La carriera politica di Giannino finì lì. Iniziò, in compenso, una sorta di processo pubblico, i mass media si avventarono sul suo cadavere politico; ma è in Rete, sui social, che iniziò il massacro popolare. Riporto, per decenza, uno dei commenti simpatici:

Una vera gogna, come sempre più spesso accade online. Sono tantissimi i casi di persone messe in croce sul Web, senza alcun processo ma con conseguenze ben peggiori.

Recentemente mi sono imbattuto in un libro proprio su questo tema. Si tratta de “I giustizieri della Rete” di Jon Ronson. L’autore britannico, in un testo scritto molto bene e che consiglio, parla del lato oscuro di Twitter e Facebook; dalla quarta di copertina:

“Spesso [i social] alimentano i peggiori istinti moralizzatori delle persone, dando vita a una versione moderna e violentissima della gogna pubblica. Il bersaglio può essere chiunque, il perfetto sconosciuto come il personaggio famoso”.

Tra i casi citati c’è quello, notissimo, di Justine Sacco.


Per questo tweet di cattivo gusto (tradotto: “Sto andando in Africa, spero di non prendermi l’AIDS. Scherzavo: sono bianca!”) ha perso il lavoro. E la faccia.
La vicenda: nel dicembre 2013 Justine aveva preso un aereo per raggiungere Città del Capo, in Sudafrica, per visitare la sua famiglia. Prima di imbarcarsi aveva creato quel tweet. Nonostante i suoi pochi follower, il messaggio fu ritwittato (condiviso) da un giornalista e divenne virale, al suo arrivo in Sudafrica le crollò il mondo addosso. Come si legge su IlPost.it:

“Sacco fu presa in giro e insultata per giorni. A causa di quel tweet perse il suo lavoro da capo delle pubbliche relazioni della IAC, una grande società con sede a New York che possiede più di una trentina di società web molto conosciute tra cui Vimeo, Match.com, Daily Beast e Ask.com”.

La beffa: anche un professionista della comunicazione online è rimasta schiacciata dalla comunicazione online.

Il libro parla di tante storie del genere, tutte centrate su vergogna, reputazione e facile giustizialismo. Per esempio si racconta la storia di Jonah Lehrer, star della divulgazione scientifica che si è inventato, in un libro, una citazione di Bob Dylan; scherzetto che gli ha fatto saltare la carriera.

Tra gli altri c’è anche un predicatore finito in una lista di frequentatori di prostitute, ma anche il caso clamoroso di Max Mosley. Nel 2008 l’ex capo della Formula 1 venne coinvolto in un clamoroso scandalo sessuale scatenato dal quotidiano inglese News of the World. Il giornale pubblicò alcuni fotogrammi tratti da un video nel quale Mosley prendeva parte ad un’orgia di tipo sadomasochistico con alcune prostitute in uniformi naziste ed in divise che ricalcano quelle che indossavano gli internati nei lager. La notizia è che Mosley pare essere l’unico, tra i protagonisti del libro, ad aver superato la gogna mediatica online in modo (quasi) indolore.

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“Programma o sarai programmato” di Douglas Rushkoff

Premetto che ho un debole per Douglas Rushkoff. Se non altro perché sono anni che, parlando di social network e profilazione degli utenti, cito la sua celebre frase:

“Se su Internet qualcosa è gratis, il prodotto sei tu”.

Frase che, tra l’altro, ha ispirato il titolo di una puntata notevole di Report che potete vedere qui. Tra parentesi, di Rushkoff, avevo già segnalato il suo “Presente continuo”.

Stavolta parlo di un interessante libro un po’ datato, del 2010: “Programma o sarai programmato” (Postmedia). Si tratta di un testo molto interessante, comunque attuale, che parte da questo presupposto: è vero che computer e reti informatiche consentono a tutti di scrivere e pubblicare, ma la competenza alla base dell’era informatica riguarda in realtà la programmazione, attività di cui quasi nessuno di noi è a conoscenza. Usiamo i mezzi programmati da qualcun altro. Solo un élite è in grado di trarre vantaggio da quanto promette il nuovo mezzo.

Fatta questa premessa, il libro si presenta come un manualetto, l’insieme di “dieci istruzioni per sopravvivere all’era digitale”, come recita il sottotitolo. Eccole, queste dieci istruzioni, che ritengo molto utili pur essendo io un tecno-entusiasta, non certo un apocalittico (il rischio è che scettici e luddisti prendano questi spunti come la prova che la tecnologia ci sta solo deumanizzando e uccidendo: tesi che trovo in gran parte priva di fondamento).

  1. Evitiamo di essere sempre online. Le tecnologie digitali sono intrinsecamente opposte allo scorrere del tempo e tese verso modalità asincrone di comunicazione. I computer si basano su istruzioni, non sul tempo. Eppure ora siamo tutti always-on, sempre connessi, e pure multitasking col risultato che, invece di diventare autonomi e consapevoli, siamo esausti se non esauriti. Non a caso si comincia a parlare di “digital detox”, aggiungo io.
  2. Vivere lo spazio. Le reti digitali sono tecnologie decentrate, che penalizzano le relazioni con chi o cosa ci sta davanti. Spesso finiamo per perdere il senso del luogo e il vantaggio di giocare in casa. Si parla quindi di incontri di persona, ma non solo: per esempio di acquisti da produttori locali.
  3. Si può sempre scegliere di non scegliere. Che cosa vuol dire? Il digitale obbliga sempre a fare scelte di tipo binario, perché questi sono i limiti di uno strumento che si basa sui bit, sugli zero e sugli uno. Il mondo è un po’ più complesso di così, fatto di miliardi di sfumature: allora possiamo rifiutare le classificazioni o scegliere qualcosa che non è nel menù, se possibile.
  4. Non abbiamo mai pienamente ragione. Gli strumenti digitali semplificano eccessivamente le questioni più delicate. I nuovi media tendono a polarizzarci in campi opposti, riducendo la complessità. Mai confondere modelli digitali e realtà quotidiana.
  5. La scalabilità: un’unica misura non va bene per tutti. Su Internet tutto è scalabile: per esempio le attività imprenditoriali, se vogliono sopravvivere, devono ingrandirsi e salire a un livello di astrazione al di sopra degli altri. Online non si può più rimanere a livello del “negozietto sotto casa”. Non è detto che questo vada bene per tutti.
  6. L’identità: rimani te stesso. Relazionarsi con gli altri in maniera anonima, come spesso avviene in Rete, ci porta a perdere le ripercussioni umane di quanto diciamo e facciamo online. Senza anonimato, rimaniamo presenti e responsabili, viviamo meglio la nostra umanità anche nell’universo digitale.
  7. Il sociale: non svendere gli amici. I media digitali, nonostante molte tendenza disumanizzanti, sono caratterizzati da forti spinte sociali. A prosperare sono sempre strumenti che contribuiscono a creare legami tra le persone, anche se non erano stati inventati con quello scopo (anche la stessa rete Internet ne è un esempio). Vedi, in particolar modo, i social network.
  8. I fatti: dire la verità. L’unica opzione disponibile per chi usa gli spazi virtuali è dire la verità perché, a detta di Rushkoff, prima o poi le bufale vengono scoperte online. Tesi controversa, visti i tempi che corrono e la cosiddetta post-verità.
  9. Condividere senza rubare. Le reti sono state create per condividere risorse informatiche: ecco perché due delle caratteristiche fondamentali della tecnologia sono l’apertura e la condivisione (imparando la differenza tra condividere e rubare in un’economia del dono).
  10. L’obiettivo finale: programmare o essere programmati. Se non impariamo a programmare, rischiamo di essere programmati da qualcun altro. Basta anche solo capire che esistono codici nascosti tra le interfacce di siti e programmi. In caso contrario resteremo alla mercé dei programmatori o della tecnologia in quanto tale.

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Quelli che pubblicano online la foto della carta di credito

In “Non mi piace – Il contromanuale di Facebook” scrivevo:

Rendere pubblici dettagli della vita privata legati a famiglia, amici, questioni legali, fede, sesso, salute, finanza, lavoro o altro è sconveniente, nonché pericoloso. Il problema è che il 40% degli utenti lo fa, a volte in modo assolutamente ingenuo (eufemismo per: stupido). Le cronache narrano di utenti che pubblicano la foto della propria carta di credito, l’indirizzo di casa, il nome da ragazza della madre (solitamente usato nelle domande segrete di sicurezza) il numero di cellulare, luogo e data di nascita (che permettono di risalire al codice fiscale) o peggio (vedi fenomeno del sexting).

Quando faccio le presentazioni del libro cito, come esempio, la storia di quella ragazzina che, contenta per la nuova carta di credito, la fotografa e la posta su Facebook, con dati sensibili in bella vista.
Non è un caso isolato, anzi: l’account Twitter @NeedADebitCard (scoperto grazie a Zeus News) raccoglie tutti i tweet di questi squilibrati.

C’è qualche genio che fotografa parte anteriore e posteriore, per non farsi mancare nulla. Vien voglia di usare la loro carta per acquistare qualche idiozia inutile su, per dirne uno, http://shutupandtakemymoney.com.

“Deep Web. La rete oltre Google” di Carola Frediani


Tra i corsi che tengo, ce n’è uno sul cercare on-line. Prima di iniziare a spiegare come usare i motori di ricerca, accenno sempre al fatto che il Web non è (solo) quel che si vede (che si trova). Il Web come lo conosciamo rappresenta solo la punta dell’iceberg, l’1% delle risorse disponibili. Solo che le altre non possono essere raggiunte (“La prima regola del Deep Web è che non si parla del Deep Web”) se non si conosce il link diretto, se non si naviga anonimamente (mai sentito parlare del software Tor?).
Se volete fare un viaggio in quel mondo sommerso dovete leggere assolutamente il libro “Deep Web” (Quintadicopertina) di Carola Frediani, giornalista esperta di cultura digitale. Non si tratta di un racconto alla Verne (anche se ne ha, per certi versi, il fascino), ma una vera inchiesta (come quelle di una volta, signora mia!) un reportage giornalistico che presenta personaggi, storie e luoghi dell’Internet sconosciuta, pericolosa e inquietante. Un “universo parallelo” fatto di spaccio, truffe, furti telematici e addirittura di pedofili e terroristi. Ma – altro lato della medaglia – è anche un luogo (non luogo?) dove essere liberi (uno spazio di espressione senza censure) e dove essere attivi (hacktivi). Il libro ci presenta personaggi e storie assolutamente fuori dagli schemi: imperdibile, secondo me, la storia di Silk Road (il sito n. 1 per lo spaccio di droga, ora chiuso). Molte le interviste ai protagonisti che, coperti dall’anonimato, rivelano il loro modus operandi.
Al di là dei contenuti, Deep Web è un gran bell’eBook. Ben curato, ma soprattutto innovativo: è infatti il primo libro elettronico italiano “auto-aggiornante” (in questa versione). Oltretutto il libro è acquistabile con la criptomoneta bitcoin e parte del ricavato delle vendite sarà devoluta a Privacy International.

Il libro su Amazon:

Cosa resterà degli anni ’80?

Non molto, purtroppo. Se gli anni ’60 erano “favolosi”, i ’70 di piombo, i nostri cari ’80 si sono beccati l’epiteto di “anni di fango” (per non dire di peggio). Non a torto: quello che è pervenuto a noi, posteri del nuovo millennio, sono cose delle quali potremmo tranquillamente fare a meno. Dal Commodore 64 a Hulk Hogan, da Samantha Fox alla moda paninara. Della serie: non si stava meglio quando si stava peggio…

hazzard2

Nostalgia canaglia

La Rete è piena zeppa di siti che guardano a quel terribile decennio con un misto di nostalgia e di ironia. Se cercate bene, ma proprio bene, forse scoprirete qualcosa che valga la pena salvare: anche grazie al gioco dei “Fantastici anni ’80”. Buona fortuna.

http://users.iol.it/c_altieri/80.html

Ateam

Yuppie e paninari

Se non vi ricordate come ci si comportava e ci si vestiva in quegli anni, provate a noleggiare le vecchie videocassette dei film “Sposerò Simon Le Bon” o “Italian Fast Food”. Tra felpe Best Company e orologi sul polsino, passando per i mocassini Timberland.

www.80s.com

DriveIn

 

Commodore Vs. Atari

Non c’era bambino, in quel decennio, che non avesse un bel computerino da attaccare al televisore per giocare con i primi rudimentali videogiochi. Presto, però, si svilupparono due correnti di pensiero: i commodoristi e gli ataristi. Voi da che parte stavate?

www.srn.it/c64

www.atari-history.com

commodore

 

Il Wrestling

Colpi fasulli, cadute spettacolari, mosse ridicole. Tutto questo era il wrestling. Come dimenticare i vari Hulk Hogan, Macho Man, The Undertaker ma soprattutto le esilaranti telecronache di Dan Peterson?

http://www.obsessedwithwrestling.com/menu/feds/wwf.php

hogan

Samantha Fox Vs. Sabrina Salerno

Due dei sex symbol più in voga degli anni ’80. Nessuno, probabilmente, si ricorderà delle loro canzoni; ma non è stata certo la loro musica a renderle così celebri… Morbide.

http://samfox.com

www.sabrinasalerno.com

samfox

Diego Armando Maradona

O mamma, mamma, mamma… sai perché mi batte il corazon? Ho visto Maradona… Ué, mammà, innamorato so’… Negli anni ’80, assieme a Platini e a pochi altri, ha infiammato gli stadi di mezzo mondo. Genio e sregolatezza.

www.vivadiego.com

maradona

Blues Brothers

John Landis, quel geniaccio, ha girato questo film nel 1980. Da allora il mito di Elwood e Jake non ha mai avuto la benché minima flessione. Rigorosamente in giacca e cravatta nere, senza dimenticare l’indimenticabile paio di occhiali da sole.

http://bluesbrothersofficialsite.com

blueasbrothers2Blues_Brothers

Il cubo di Rubik & Pacman

Quanti di voi sono impazziti girando e rigirando le sezioni colorate del celeberrimo cubo di Rubik? E quanti hanno sofferto della “sindrome del fantasmino”, scappando in ogni direzione con il loro piccolo Pacman? Tantissimi, a giudicare dalle manie che erano scoppiate in quegli anni. Su questi siti potrete fare un tuffo nel passato, giocando on-line con questi due passatempi. Simpatici e snervanti.

Il cubo di Rubik

Pacman

Pacman 2