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“Raccomandazione? No, network”: la mia intervista per Silhouette Donna

Sono stato intervistato, ancora una volta, da Silhouette Donna sui temi del lavoro. Mi hanno chiamato in quanto tengo corsi sulla ricerca del lavoro online e in quanto coautore di "Job War".
In particolare ho parlato di networking, tant'è che il titolo dell'articolo (sul numero di maggio 2018), a firma Francesca Tozzi, è "Raccomandazione? No, network".

Questa la trascrizione dell'articolo:

Raccomandazione? No, network

Se da una parte dobbiamo abbandonare la brutta abitudine di usare le conoscenze per trovare lavoro, dall’altra coltivare rapporti aumenta le possibilità di impiego.

Gente allegra e un po’ pigra che trova lavoro grazie a spintarelle e scambi di favori. Stiamo parlando degli italiani, almeno secondo cliché duri a morire. Quanto c’è di vero in tutto questo? Secondo un’indagine dell’Istat sul mercato del lavoro focalizzata sulla fascia tra i 15 e i 34 anni, nel 2017 quattro giovani occupati su dieci hanno raggiunto “l’ambito posto” grazie alla segnalazione di parenti, amici o conoscenti. Un giovane su cinque, segnala l’Istat, ha trovato un’occupazione facendo richiesta diretta a un datore di lavoro, solo il sei per cento tramite centri per l’impiego e agenzie per il lavoro.

«Quello che ho riscontrato nella mia esperienza di analista del mondo del lavoro e formatore è che alcuni strumenti considerati ancora prioritari come il curriculum vitae e la lettera di accompagnamento sono sempre meno efficaci mentre funziona sempre benissimo sfruttare le conoscenze» spiega Gianluigi Bonanomi, esperto di web, social media e coautore del libro Job War (Ledizioni), tutto dedicato alle diverse strategie di ricerca del lavoro di Millenial e over 40. «In negativo si parla di raccomandazione. Proviamo però a considerare questa abitudine in un’ottica non necessariamente negativa. Tutti noi apparteniamo a una rete, a un network, costituito da legami forti e deboli: i primi con i familiari, i secondi con amici, colleghi, conoscenti. Secondo gli esperti di recruitment la maggior parte delle opportunità non emerge più dai legami forti ma da quelli deboli e se per trovare lavoro si utilizzano anche le proprie conoscenze dirette e indirette non c’è niente di cui scandalizzarsi».

Una prassi da premiare

Proviamo a metterci nei panni dei recruiter: cercare un lavoratore andando per agenzia o acquistare spazi in siti specializzati come Monster può costare a un’azienda dalle centinaia alle migliaia di euro. Per questo quando si apre una posizione, si attiva subito il network interno e si chiede ai responsabili di reparto e ai lavoratori se conoscono qualcuno. Il presupposto è che questi, conoscendo l’azienda e le sue esigenze, punteranno su risorse con le caratteristiche giuste mettendoci la faccia.
In alcune realtà questo meccanismo, che di fatto avviene dappertutto, è talmente istituzionalizzato che se un dipendente presenta qualcuno che poi viene assunto perché ritenuto idoneo, cioè se la segnalazione va a buon fine, riceve un bonus (per esempio, General Electrics in Italia).
«In questa ottica il networking non va visto in modo negativo, anzi, è una delle attività che chiunque dovrebbe portare avanti nel corso della sua giornata, non solo chi è a caccia di un’occupazione ma anche chi sta cercando collaboratori, investitori, partner. E se perdendo il lavoro, voleste far fruttare il vostro network, non potete certo cominciare il giorno stesso: essere sul mercato vuol dire costruire e tenere i contatti con le persone che potrebbero esservi utili al momento giusto» sottolinea Bonanomi.

L'importanza della pausa pranzo

Una delle regole fondamentali per fare networking arriva dagli Stati Uniti: se puoi, non mangiare mai da solo o sempre con le stesse persone. Che sia la pausa pranzo per chi già lavora o una qualsiasi occasione conviviale, fosse anche solo un caffè, va messa a frutto.
«Non sottovalutate nessun tipo di incontro o conoscenza» suggerisce Bonanomi. «Secondo la teoria dei sei gradi di separazione tutti noi siamo collegati da una catena di relazioni con non più di cinque intermediari. Cercate quindi di essere sempre aperti a nuove conoscenze. E siate generosi nel dare informazioni prima di pretenderle: vi tornerà indietro dal vostro network».

Mai senza biglietti da visita

Per rispondere in modo efficace alla domanda di rito “di cosa ti occupi?” scrivetevi e imparate una breve presentazione della durata di circa un minuto, quello che gli americani chiamano“elevator pitch".
«Fare “personal branding” durante una pizzata con sconosciuti potrà suonare strano ma uno
di loro potrebbe in seguito intercettare, in modo diretto o indiretto, la ricerca di un profilo simile al vostro: se lo avete colpito, gli si accenderà una lampadina e vi chiamerà» chiarisce l’autore di Job War«Usate anche i contesti informali perché potrebbe essere presente qualcuno in grado di cambiare la vostra vita professionale. Quando ci sono degli incontri di settore o aperitivi di networking di professionisti cercateli e siate presenti. Usate una o due serate a settimana per andare a convegni, seminari, corsi d’aggiornamento e formazione. Portatevi un biglietto da visita e parlate con chi avete di fianco, stabilendo un contatto perché non sapete ancora dove vi potrà portare. Ricordatevi che, quando incontrate una persona, state incontrando anche tutta la sua rete».

La lettera di presentazione

Nel mondo anglosassone, quando qualcuno lascia un lavoro, è quasi un obbligo per il suo superiore scrivere una segnalazione, detta anche referenza. In Italia questo non succede ed è un peccato perché una cosa è presentarsi dicendo di essere bravi, un’altra è che lo dica un ex datore di lavoro.
«Il meccanismo di persuasione funziona così: il nuovo, potenziale datore di lavoro si potrebbe immedesimare nel precedente sotto un duplice aspetto: notando che il lavoratore o collaboratore è stato talmente bravo che il suo capo ha scelto di sostenerlo, mettendoci la faccia; oppure pensando che se ha risolto così brillantemente i problemi di quell’azienda, potrebbe rivelarsi prezioso in un contesto simile» spiega Bonanomi.
«In questo senso sarebbe meglio che l’ex capo non rimanesse sul generico ma facesse riferimento nella sua segnalazione a progetti concreti, problemi risolti, obiettivi raggiunti. La stessa cosa può essere fatta anche da un collega, un collaboratore, un conoscente. Più segnalazioni ci sono, meglio è».

Bando alla timidezza

Come assicurarsi quindi queste segnalazioni? Per prima cosa superate le timidezze e le remore usando la psicologia. Date prima di ricevere, facendo leva sulla reciprocità: se avete scritto cose positive su una persona, questa si sentirà un po’ in obbligo di ricambiare, anzi non vedrà l’ora di sdebitarsi. Magari fategli capire che potrebbe portare beneficio anche a lei in termini di rete. Se chiedete in modo discreto e gentile, senza fare stalking, nessuno vi dirà di no. A maggior ragione un manager, perché chiederne il giudizio è riconoscerne implicitamente il peso e l’autorevolezza.

Non dimenticare i social

Oggi poi con social network specializzati come Linkedin tutto è più semplice e immediato. «Nel momento in cui scrivete la vostra lettera di candidatura online sottolineando l’esperienza o i successi che avete maturato in un settore, segnalare la testimonianza che il precedente datore di lavoro vi ha lasciato su Linkedin darà alle vostre parole un valore maggiore. E se le segnalazioni saranno più di una, tanto meglio. È lo stesso meccanismo di Tripadvisor: quando dovete scegliere un hotel o un ristorante non vi interessa quello che dice la struttura ma la recensione dei vostri pari, quella che in gergo si chiama “peer review”. E se in tanti dicono che è ottimo, sarà così: che ragioni avrebbero tutti di mentire? Il vantaggio del digitale rispetto alla classica lettera di referenze è che le testimonianze possono essere veicolate attraverso il proprio sito o blog, o inserite, appunto, in una presentazione dall’impostazione più moderna» conclude l’esperto.

Puoi scaricare l'articolo in PDF qui:
Silhouette_Donna_articolo_networking_raccomandati_intervista_Gianluigi_Bonanomi

Social recruiter: 10 cose che devi sapere se vuoi fare questo mestiere

Quando ho intervistato il social recruiter Osvaldo Danzi (leggi qui), tra una risposta e l’altra ha citato il libro “Social recruiter” di Martini e Zanella, edito da FrancoAngeli. Allora l’ho letto.

Un buon testo, completo, che fa il punto della situazione su una nuova professione – quella del selezionatore votato al Web e ai social – in forte ascesa. Ho capito che se vuoi fare questo nuovo mestiere, devi sapere le seguenti dieci cose.

  1. Se tutto il mondo va sui social, anche il recruiter non può fare altrimenti. Una delle autrici lavora per Adecco e giustamente cita uno dei maggiori studi su Internet e ricerca del lavoro: vale a dire Work Trends Study. Tra le altre cose si scopre che i lavoratori usano i social anche per tenersi in contatto con i recruiter.
  2. Nell’era di TripAdvidsor, dove ci fidiamo più delle recensioni di altri utenti come noi e non della comunicazione istituzionale, anche le aziende sono state travolte dalla cosiddetta “peer review”. È il caso, per esempio, di Glassdoor. Ma guarda anche l’italiano Sopo. Per questo i responsabili del personale devono puntare sulla employee advocacy: devono coinvolgere i dipendenti in attività che possano farli sentire parte di una community, addirittura di una famiglia.
  3. I social non vengono utilizzati solo per pubblicare offerte, come fossero job board. Servono soprattutto per controllare le informazioni sui candidati, confrontandole con quelle riportate sul CV, nonché per attirarli e infine per contattarli direttamente. I social permettono anche di scoprire il lato umano dei candidati, le competenze trasversali (come quelle comunicative), la loro rete, i loro veri interessi.
  4. I social non servono solo per intercettare i candidati attivi, ma soprattutto per scovare quelli passivi: quelli che non stanno cercando un lavoro.
  5. Non solo LinkedIn, moltissimi recruiter usano anche gli altri social. Facebook prima di tutti, ma anche Twitter, Instagram e Pinterest, oppure YouTube. Microsoft, per esempio, usa l’account Instagram Microsoftlife per fare employer branding.
  6. Per employer branding si intende “la reputazione di un’organizzazione nel suo ruolo di potenziale datore di lavoro”.
  7. Pure i sistemi di messaggistica fanno la loro parte. Cisco, in questo post sul blog ufficiale, spiega come usa Snapchat per raccontare l’azienda e attrarre candidati (soprattutto giovani). WhatsApp può essere un modo efficace per tenere contatti informali con i candidati.
  8. I recruiter devono usare la Rete, e i social in particolare, anche per fare personal branding. Posizionarsi, condividere contenuti di qualità, attirare “personalmente” i candidati.
  9. I recruiter devono lavorare anche moltissimo sul networking. Non quello dei candidati, il proprio.
  10. Se il social recruiter è colui che riceve, legge e cataloga curriculum e domande inviate a seguito di posizioni lavorative aperte, esistono altre figure della filiera della ricerca dei lavoratori. Per esempio c’è il sourcer, che svolge la ricerca “creativa” di candidati qualificati per posizioni aperte o programmate, spesso andando a caccia di candidati passivi. Poi c’è l’HR manager, funzione che si occupa per prima cosa di diffondere la cultura aziendale, le competenze e i modelli organizzativi. Infine esiste anche il consulente per la ricollocazione, un professionista ingaggiato dalle aziende quando, per ragioni organizzative, si devono ridurre gli organici.

Se vuoi leggere altre recensioni di testi a tema tecnologico, fai clic qui.

Il social recruiting al tempo dell’intelligenza artificiale: intervista a Primo Bonacina

I robot conquisteranno il mondo! Da sempre gli “apocalittici” fanno più notizia e rumore degli “integrati”, per dirla con Umberto Eco, ma il fatto che una certa preoccupazione stia serpeggiando tra chi vede l’intelligenza artificiale (Artificial Intelligence o AI) come una minaccia al proprio lavoro o al futuro dei propri figli è sotto gli occhi di tutti. Peccato che i robot e l’intelligenza artificiale, invece, siano oggettivamente una risorsa: basti pensare che, come ha rilevato recentemente il manager di Microsoft Carlo Purassanta in un’intervista Rai, due bambini su tre, che sono oggi alle elementari, tra vent’anni faranno lavori che al momento non esistono. E che, molto probabilmente, avranno a che fare con tecnologia, robotica e intelligenza artificiale.

L’AI sta entrando prepotentemente nelle nostre vite: basti pensare ai chatbot su Facebook, a Siri, alla prevenzione delle frodi o agli articoli finanziari o sportivi già scritti da algoritmi; e l’AI ora si affaccia anche al mondo del lavoro. Anzi, al mondo della ricerca del lavoro. Per parlare di “AI for recruiting” ho contattato uno dei maggiori esperti di “social recruiting”, Primo Bonacina (nella foto).

L’intelligenza artificiale per il recruiting rappresenta la nuova frontiera dei software progettati per migliorare o automatizzare alcune delle fasi tipiche nei processi di assunzione. Quali sono le tendenze in atto?

L’interesse nei confronti di AI for recruiting è nato da tre principali tendenze. Innanzitutto la crescita economica in atto in molti mercati: ciò ha dato vita a un mercato professionale in cui la competizione per i migliori talenti è più accesa che mai. Tale competizione è destinata a crescere: secondo un sondaggio di LinkedIn il 56% dei talent acquisition leader crede che il loro volume di assunzioni crescerà nel 2017.

E il secondo trend?

Il bisogno di miglioramento tecnologico in area recruiting. Per quanto sia prevista una crescita delle assunzioni, il 66% dei talent acquisition leader afferma che il numero dei propri collaboratori per il recruiting resterà invariato o addirittura diminuirà.

In parole povere?

I recruiter, pressati da tempi assai stretti e aspettative elevate, avranno bisogno di strumenti di maggior efficacia per semplificare o automatizzare parte del proprio processo, soprattutto per quelle attività che implicano maggiore investimento e ripetitività in termini di tempo.

E i big data?

Sì, il terzo trend riguarda proprio l’analisi dei dati. Se da un lato la tecnologia diventa sempre più veloce ed efficiente in termini economici nella raccolta e analisi di un ampio numero di dati, dall’altro i talent acquisition leader sono sempre più portati a richiedere ai propri recruiter una prova della qualità delle metriche di assunzione, e questo sulla base di dati concreti, come per esempio le performance dei recenti nuovi assunti.

Come sempre accade quando c’è un’innovazione di tale portata, c’è anche un po’ di confusione, soprattutto per quanto riguarda i nuovi strumenti disponibili. Puoi illustrare i più interessanti?

Per aiutarvi a trovare il bandolo della matassa, vi propongo tre delle applicazioni più promettenti di “AI for recruiting”. La prima si chiama AI for candidate sourcing è una tecnologia che cerca online informazioni relative al profilo professionale delle persone (per esempio curriculum, portfolio o profili social media) per intercettare quei candidati passivi che possano rispecchiare i criteri di selezione.

In sostanza, qui parliamo di controllo della reputazione dei candidati. Hai nulla per la fase di selezione?

Sì, per le fasi di reclutamento che implicano grossi volumi, come quelli atti a coprire ruoli nel retail o customer service, la maggior parte del personale non ha il tempo necessario per passare al vaglio le migliaia di CV ricevuti per le posizioni aperte e serve quindi un aiuto. “AI for screening” è uno strumento ideato per automatizzare il processo di selezione dei CV dei candidati. Questa tipologia di screening software intelligente aggiunge funzionalità all’ATS (Application Tracking System) impiegando informazioni di post-assunzione, che riguardano per esempio prestazioni e turnover, in modo da creare una serie di “raccomandazioni” per l’assunzione di nuovi candidati.

In questo modo si può automatizzare un’attività ripetitiva e non fondamentale, consentendo ai recruiter di focalizzarsi su attività prioritarie. Che cosa mi dici invece del matching per trovare le corrispondenze migliori?

Trovare le corrispondenze migliori può divenire un compito ancora più arduo dei precedenti. Per questo segnalo “AI for candidate matching”. Gli algoritmi analizzano diverse fonti di dati – come per esempio tratti della personalità dei candidati, capacità e indicazioni legate a stipendio e package – per eseguire una valutazione automatica dei candidati in conformità con i criteri impostati.

Questo funziona anche su LinkedIn?

Certo, nella sostanza succede già: un’offerta di lavoro in LinkedIn mette in relazione le competenze della job description con quelle dei candidati sulla base di quanto indicato sui loro profili LinkedIn. I talent marketplace utilizzano algoritmi per trovare tali relazioni all’interno della loro comunità di candidati per le posizioni aperte.  Questi marketplace, in genere, soddisfano criteri specifici relativi alle competenze del candidato, come possono essere le capacità di sviluppo software o gli skill in area commerciale.

Insomma, il ruolo del recruiter sta cambiando: certamente molti automatismi possono essere delegati alle macchine, che fungono da suggeritori, ma la parte più difficile, e forse la più bella, quella del contatto e relazione e con i candidati, quella probabilmente non cambierà mai.

Cercare lavoro con LinkedIn senza effetti collaterali: l’intervista a David Buonaventura

LinkedIn può rivelarsi un problema per chi cerca lavoro sotto gli occhi dell’attuale datore di lavoro. Ho chiesto delucidazioni sul tema a David Buonaventura, ideatore di “Colloquio Diretto” e coautore, con me, di “Job War“, metodo innovativo per la ricerca del lavoro nonché testo in uscita nelle prossime settimane per Ledizioni.

David, sia in Colloquio Diretto che in Job War parli di “Curriculum Vitae Diretto”: hai pensato a qualcosa del genere anche per LinkedIn?

I quattro principali motivi per cui una persona decide di usare LinkedIn sono:
– vendere qualcosa;
– offrire lavoro;
– comunicare;
– cercare lavoro.
A meno che tu non sia un venditore o un recruiter o un divulgatore, aprendo e tenendo aggiornato il profilo stai implicitamente comunicando al tuo datore di lavoro che non ti trovi bene in azienda. Stai cercando di cambiare, probabilmente per andare in qualche azienda concorrente.
Da quel momento nessuno ti affiderà più un incarico importante e di responsabilità. Aumenti di stipendio o miglioramenti professionali? Neanche a parlarne. Sei aziendalmente morto.
Quando prepari la tua immagine pubblica, metti in conto che potrebbe essere osservata anche dalle stesse persone che ti permettono di portare il pasto in tavola. Meglio quindi adottare particolari forme di comunicazione che non facciano capire che stai cercando un nuovo lavoro.
Il camuffamento è quindi necessario. Per farlo devi impostare messaggi che vengono interpretati in maniera diversa dall’attuale e il futuro datore di lavoro.

Visto che sei un fautore del contatto diretto con chi ti dovrà valutare e assumere, giudichi comunque LinkedIn uno strumento utile per chi cerca lavoro?

Lo strumento “LinkedIn” assume diversi significati e utilità a seconda gli elementi che lo costituiscono.
1.     Profilo
È il moderno sostituto del vecchio CV. Ha numerosi pregi in più ma anche il difetto congenito del suo antenato: facilita l’idea che basti presentarlo per attirare l’interesse del datore di lavoro. Vana speranza.
Io lo considero il secondo step della comunicazione. Serve solo per approfondire la conoscenza. Prima è necessaria una comunicazione persuasiva e personalizzata per portare quello specifico interlocutore a volerti conoscere. Quello è il momento di presentare il tuo ricco e dettagliato profilo LinkedIn.
2.     Networking
L’ambiente social di LinkedIn è straordinario e vale la pena di usarlo. Anche qui però senza illudersi che basti un collegamento per creare una relazione che ti porterà un giorno ad ottenere un nuovo lavoro.
La persona con cui vuoi creare una relazione professionale tramite LinkedIn, deve avere un motivo per aiutarti se e quando ne avrai bisogno. Dipende tutto da quello che gli comunicherai dopo aver ricevuto la connessione.
3.     Condivisione
Condividere articoli e commenti può fornirti quella visibilità che può aiutarti molto. Anche qui dipende sempre da cosa comunichi e come lo fai.
Io uso LinkedIn estensivamente. Pubblico almeno due articoli alla settimana con messaggi che possono essere compresi sia dai clienti che i potenziali datori di lavoro. I risultati si vedono.

Quali sono le dritte che puoi dare a chi vuole usare LinkedIn per trovarsi un lavoro?

Per arrivare a un buon livello di utilizzo, è necessario studiare o affidarsi alla guida di persone esperte. L’improvvisazione non basta. Ricordati che sei in “pubblico” e la Rete non dimentica…

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Che cosa mi ha insegnato un libro sul rimorchio a proposito delle soft skill: l’intervista a Matteo Massironi

Ho conosciuto Matteo Massironi, formatore e coach, su LinkedIn. Cercavo “soft skill” con il motore di ricerca interno, e uno dei primi profili a colpirmi è stato il suo. Questo dovrebbe dirla lunga sul posizionamento, sull’uso delle keyword di ricerca e sull’avere un buon profilo… Nel suo caso, più del fatto che fosse un formatore esperto di sicurezza sul lavoro, mi hanno colpito i contenuti del sito Web Sicurezza Comportamentale. Matteo ha anche un sito personale.

Ho contattato Matteo a abbiamo fatto una piacevole, soprattutto spiazzante conversazione sul tema delle competenze personali. Ho attaccato io: nella prima parte della propria carriera tutti sono spinti a puntare sulle hard skill, solo successivamente si accorgono di quanto sia più importante investire sulla crescita personale. Vedi il seguente grafico:

Quando gli ho chiesto che cosa ne pensasse, mi ha risposto così:

Per me è stato l’esatto contrario: sono partito dalle soft skill, sono uno psicologo. Anzi, tutto è iniziato a 12 anni…

Precoce…

Già, mio padre, medico, me ne parlava. Mi parlava in particolare di un libro.

Libro? Per me la parola magica. Spara il titolo!

“Le vostre zone erronee. Guida all’indipendenza dello spirito” di Wayne W. Dyer.

Come può un libro del genere influenzare un dodicenne?

Beh, ho visto che effetto aveva fatto su mio padre: prima si arrabbiava spesso, poi è diventata la persona più calma del mondo. In pratica non esistevano figuracce o problemi, solo soluzioni e opportunità.

Interessante…

Beh, ma visto che ti piacciono i libri, vuoi sapere quale mi ha cambiato veramente la vita ai tempi dell’università?

Ho già il carrello di Amazon caldo…

“The game. La bibbia dell’artista del rimorchio” di Neil Strauss.

Scusa un attimo: ho capito bene? Un libro per Dongiovanni?

Esatto. Me lo fece un leggere un amico e mi cambiò letteralmente la vita, e non solo in tema rapporti col gentil sesso.

Ah. Ma che cosa c’entra con le soft skill?

Beh, le tecniche per migliorare le proprie relazioni interpersonali – con un pizzico anche di PNL, la programmazione neuro linguistica (non ne sono un fan, ma è la prima volta che ne sentii parlare) – sono soft skill. Da impacciato, e non solo con le ragazze, divenni sicuro di me. Capii che la comunicazione deve essere rivolta più sull’altro che sul sé.

Questo lo dice anche Dale Carnegie…

Esatto! In “Come trattare gli altri e farseli amici” è palese che le soft skill possano essere anche allenate.

Come si traduce tutto questo il ambito lavorativo (ti ricordo che questa è un’intervista su LinkedIn e non sull’amore…)?

Io applico le tecniche apprese in quei libri ogni giorno, anche sul lavoro. Per esempio Carnegie parla di rinforzo positivo: bisogna incoraggiare i comportamenti positivi e migliorare le relazioni con gli altri, tipo i collaboratori, grazie ai complimenti. Ma soprattutto ho imparato una cosa fondamentale.

Quale?

Quando parli non impari, quando ascolti impari.

Torno sempre alla base: come si traduce tutto questo in LinkedIn?

Per me la cosa più importante è puntare su queste soft skill. Però tendo a non esplicitarle: preferisco che siano gli altri a sottolinearle, per questo credo molto nelle segnalazioni. Si dice sempre che online non devi cercare clienti, ma dei fan; io penso invece che devi cercare degli amici: voglio lavorare con chi mi piace. Del resto ce lo insegna il principio di Pareto dell’80-20: il 20% clienti porta l’80% dei problemi.

Cerco di tradurre questa insolita e piacevole intervista in due indicazioni operative fondamentali: costruire una rete proficua e puntare sulle soft skill. Non solo per rimorchiare.

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Cercare lavoro online: la mia intervista per Silhouette Donna

Sul numero di luglio 2017 di Silhoutte Donna è stata pubblicata questa mia intervista sul tema della ricerca del lavoro online (sotto l’intero testo):

Silhouette_Donna_Intervista_Gianluigi_Bonanomi_Ricerca_Lavoro_Online

Il lavoro? Cercalo on-line

La Rete è un mare magnum ricco di opportunità e di trappole per chi cerca lavoro ma per sfruttare al meglio le prime ed evitare le seconde è importante saper navigare con gli strumenti opportuni. Non serve mandare cv a pioggia in modo indiscriminato né rispondere a qualsiasi annuncio e nemmeno scrivere chilometriche lettere di presentazione. Servono invece delle strategie mirate, evitando errori e ingenuità. «Il primo errore è quello di buttarsi a caso su un qualsiasi social network, sito aziendale o di ricerca veicolando le stesse informazioni, troppe e confuse, senza tener conto del target» spiega Gianluigi Bonanomi esperto di web e social media, da anni responsabile di corsi sulla ricerca attiva del lavoro on-line e autore del libro Job war di prossima pubblicazione «In base al profilo e al ruolo professionale che ci interessa, invece, deve cambiare anche la nostra strategia».

 

L’importanza del posizionamento

«Il primo passo è comune a tutti e consiste nel presentarsi al mondo del lavoro virtuale nel modo giusto grazie a un buon posizionamento» continua Bonanomi «Si tratta di costruirsi un’immagine corretta che possa essere notata e apprezzata dai recruiter. Lo strumento Curriculum vitae veicola in modo diretto le informazioni base e può andar bene nel caso, per esempio, di un operaio non specializzato che però può anche crearsi la sua scheda caricando direttamente le informazioni su siti come Infojobs.it e Monster.it. In ambito impiegatizio e dirigenziale il cv conta molto meno: secondo le statistiche, i recruiter lo guardano per una ventina di secondi, poi l’88% di loro va subito a cercare in Rete chi siete. Per questo fra gli esercizi che propongo durante i miei workshop c’è l’ego-surfing cioè il cercare se stessi on-line perché le informazioni che troverete sono presumibilmente le stesse che troverà il datore di lavoro. Se non c’è nulla, nessun danno ma non va bene perché non siete presenti quindi non state comunicando. Se trovate qualcosa di positivo, bene: servirà a rendere il recruiter ben disposto nei vostri confronti integrando le informazioni di base del cv. Il caso peggiore è il terzo: tutte le competenze ed esperienze che elencate perderanno di appeal se incontrerete in Rete, per esempio, una vecchia foto dove vi lasciate andare in discoteca con un cocktail in mano o un commento dove insultate qualcuno in una discussione su temi caldi come sesso, religione, politica. I numeri parlano chiaro: in un caso su tre i candidati vengono scartati per questa ragione».

Ottimizzare il profilo Linkedin

L’ottimizzazione della propria presenza on-line è quindi una priorità. A partire dal profilo Linkedin, il primo che appare cercando su google e il più professionale dei social. Come apparire al meglio? «Non sottovalutate l’importanza della foto dato che è la prima cosa che viene vista e pesa sul giudizio complessivo più di quanto si creda» sottolinea l’esperto «Mostratevi in primo piano, vestiti con cura e sorridenti. Lo sfondo deve essere omogeneo il che esclude le foto del mare e delle vacanze. Il recruiter vi trova tramite i motori di ricerca quindi occhio al job title (descrizione del lavoro) e al riepilogo (paragrafo di circa 2000 battute per presentarsi): entrambi devono contenere le giuste parole chiave in relazione a settore e ruolo che si vuole occupare. Nessun recruiter cercherà “impiegato” ma si orienterà su una competenza specifica per esempio “impiegato addetto paghe”. Nel riepilogo scrivete chi siete, cosa fate e soprattutto quali problemi siete in grado di risolvere portando possibilmente i risultati ottenuti: “sono un bravo amministratore” non basta, se aggiungete “con il taglio dei costi ho fatto risparmiare alla mia azienda centomila euro” sarete più concreti e appetibili. Come nel web marketing, le referenze positive (qui si chiamano segnalazioni) da parte di ex colleghi o meglio ancora ex capi possono fare la differenza; si possono chiedere tramite un apposito comando automatico ma la netiquette poi vuole la reciprocità. Evitate noiosi elenchi e chiudete con una call to action, per esempio: chiamatemi per un colloquio».

Un mare di siti

La stragrande maggioranza delle persone manda la stessa lettera di presentazione con lo stesso cv allegato a centinaia di aziende: lo stesso testo non potrà andar bene per una piccola ditta a gestione familiare, un supermercato, una multinazionale o una no-profit. Infatti di solito nessuno risponde. «Procediamo step by step» spiega Bonanomi «Individuate l’offerta di lavoro che più vi interessa usando infojobs.it, cambiolavoro.it, lavoro.it, jobonline.it, job-net.it e via dicendo. Sono molti i siti a disposizione, a volte i più impensabili: per esempio eBay, Vivastreet, subito.it, usati di solito per la compravendite veloci e a buon prezzo, dedicano molto spazio alle offerte di lavoro. Alcuni siti pubblicano offerte originali come monster.it, lavoro.corriere.it, miojob.repubblica.it. Poi ci sono i motori di ricerca che vanno a pescare le offerte su altri siti come jobrapido.it, it.indeed.com, motorelavoro.it, careerjet.it e molti altri. Se vi volete far notare dalle aziende in una nicchia di mercato o in un settore specifico, informatevi se esistono siti specializzati così la ricerca è ancora più mirata. Volete lavorare nella comunicazione? Andate su lavoricreativi.com, primaonline.it o comunicazionelavoro.com. Nel mondo del green e dell’energia? C’è la sezione Green Job del portale Infojobs. Nel turismo? Jobintourism.it e lavoroturismo.it Nell’Information Technology? Crebs.it e jguana.it Se invece state cercando un lavoretto come babysitter, giardiniere, collaboratore domestico o tuttofare, meglio usare okget.it oppure tabbid.com».

Studiare l’offerta

«Una volta individuata l’offerta giusta, dovrete dedicare un po’ di tempo a un’operazione importante e spesso trascurata: leggere e capire davvero l’annuncio» continua l’esperto «Un esercizio che propongo nei miei corsi è prendere l’offerta, schematizzarla e sintetizzarla in punti. Solo dopo scriverete una lettera di accompagnamento che andrà nel corpo della mail con allegato il cv. Sarà un testo breve di 6-7 righe dove risponderete punto per punto alle richieste dell’offerta. Se c’è scritto che è richiesta flessibilità, voi evidenziate che siete disponibili a turni e trasferte. Se serve gente con una certa manualità, dimostrate che avete ricoperto ruoli pratici e magari nel tempo libero vi dedicate al modellismo. Quello che deve emergere dalla lettera è che avete esattamente le hard e soft skill richieste nell’annuncio. A questo punto, se arriva una proposta di colloquio, lo studio non è finito: è necessario raccogliere più informazioni possibili su quello che fa l’azienda che ve lo propone. Non basta conoscere grosso modo il settore. Cercate su google, esplorate il sito aziendale, verificate se sulla stampa locale ci sono notizie di quell’azienda, prendete informazioni sulla persona che incontrerete magari usando Linkedin come strumento di intelligence».

Occhio alle truffe

Si sa che dove c’è tanto bisogno arrivano gli sciacalli. E in Italia il bisogno di lavorare è un problema primario. Ecco perché bisogna stare molto attenti alle offerte di lavoro che riceviamo direttamente in posta elettronica o individuiamo in Rete. Come capire se e quanto sono affidabili questi annunci? «Ci sono diversi modi per capire che un annuncio di lavoro è fuffa o peggio ancora truffa» spiega Gianluigi Bonanomi «Primo, c’è un’esagerata offerta di denaro e condizioni, per esempio: lavorate part time guadagnando 2000 euro al mese da subito, non è richiesta alcuna esperienza. Secondo: l’offerta arriva in posta elettronica da un indirizzo mail sospetto o anche solo sconosciuto; tenete presente che un’azienda seria non usa mail gratuite, ha un suo dominio per cui l’indirizzo del mittente dovrebbe essere il nome del recruiter o del reparto seguito dalla chiocciola e dal nome dell’azienda. Terzo, l’annuncio è infarcito di errori. Quarto, vi chiedono di versare una certa somma per iscrivere il cv in una banca dati oppure per l’acquisto con pagamento anticipato di materiale di studio o di lavoro (inutile dire che la consegna non andrà in porto). Se vi iscrivete a una cooperativa di lavoro dovrete versare un quota ma se ve la chiedono prima di assumervi c’è qualcosa che non va. Insomma,  se dovete pagare, la cosa è sospetta. Provate, infine, a “buttare” su google il nome dell’azienda o del recruiter e vedete cosa salta fuori; nel 99% dei casi, se è una truffa, verranno subito fuori delle segnalazioni perché qualcun altro ne ha già parlato. Può essere utile seguire la pagina Facebook che si occupa di truffe on-line: “sos truffe lavoro”».

Box: sei dritte per un buon cv

  1. Usate sempre lo schema Europass: è bruttino ma abbastanza codificato quindi i selezionatori sono facilitati nella ricerca delle informazioni. Inoltre c’è la possibilità di farlo direttamente on-line sul sito europass.cedefop.europa.eu/it
  2. Fatelo breve, non più di due pagine perché le aziende usano dei software di scrematura dei cv che spesso eliminano in automatico quelli troppo lunghi
  3. Non tralasciate posizioni lavorative che ritenete irrilevanti al fine della nuova carriera. Dategli meno spazio ma non lasciate mai buchi perché il recruiter si domanderà che avete fatto negli anni in cui non c’è nulla e magari penserà male
  4. Nel cv non devono mancare le parole chiave. Se per esempio siete un esperto nel linguaggio di programmazione Java e non scrivete Java, il software di scrematura vi eliminerà e il vostro cv non verrà nemmeno aperto
  5. Quando parlate degli hobby, indicate quelli funzionali a inviare un messaggio: se per esempio avete scritto che siete bravi nella gestione dei team, il fatto che nel tempo libero alleniate una squadra di pallavolo rinforza il concetto, l’eventuale passione per la lettura no
  6. Occhio ai refusi e agli errori di grammatica e sintassi. Venite giudicati anche per come scrivete

 

Queste informazioni

Simone Barbone, il Millenial e Digital Marketer che… Lavora con noi

“Qualche anno fa stavo cercando lavoro. Notavo che la maggior parte delle aziende, soprattutto quelle più grandi, pubblicavano gli annunci nel loro sito, tipicamente in una pagina chiamata ‘Lavora con noi’. Era scomodo tenere traccia di tutte quelle opportunità sparse per il Web e siccome iniziavo ad appassionarmi di digital marketing e blogging, decisi di aprire io un blog che le raccogliesse. Oggi si è sviluppato diventando un blog di interviste, recensioni, guide pratiche e raccolte di consigli e risorse per lavoro, carriera, business e startup con un milione di utenti unici all’anno”.

Inizia così la storia che mi racconta il ventinovenne Simone Barbone, mente e mano che stanno dietro al popolare www.lavoraconnoi-italia.it.

Iniziamo dal “C’era una volta”: Simone, come è iniziata questa avventura?

“Anni fa, nel 2011 iniziavo a lavorare nel marketing e ad appassionarmi del canale digitale, allora in via di sviluppo. Ci fu un periodo in cui cercavo delle aziende per cui candidarmi. All’epoca non si usava LinkedIn, né c’erano molti portali di lavoro. Per trovare le offerte di lavoro delle aziende più grandi e famose, l’unica cosa da fare era cercare le posizioni aperte sui siti delle aziende con il solo ausilio di Google. Si perdeva molto tempo a cercarle tutte, quindi decisi di creare un sito – meglio: un blog – per trattare questo argomento, a partire dalla mia esperienza”.

La scrittura era lo sbocco naturale per te, visto che hai fatto studi classici. Tra parentesi: ho scoperto che hai dato alle stampe pure un romanzo thriller con lo pseduonimo Sim Taster (http://ilcacciatorediscoop.it). Torniamo a noi: che cosa si trova, in pratica, su “Lavora con noi Italia”?

“L’idea è stata subito quella di unire i contenuti del blog a un portale, una directory che raccogliesse una serie di risorse utili a chi cerca lavoro, in Italia e all’estero. Ho iniziato creando delle schede aziendali con link alle varie pagine ‘Posizioni aperte’, ‘Invia CV’, ‘Candidatura spontanea’ ma soprattutto ‘Lavora con noi’, ovviamente. Ho indicizzato tutte queste risorse, le ho categorizzate in base al settore in tal modo che, chi era interessato a una azienda, scoprisse automaticamente anche le altre aziende correlate in base al settore di appartenenza”.

Qual è il tuo target?

“Tutti quelli che cercano lavoro, ma non solo. Inizialmente c’erano solo news e risorse per potenziali candidati: per esempio si trovano 1300 link a portali per chi vuole lavorare all’estero oppure la guida ‘Job Solver’ con dritte e modelli di documenti per chi cerca lavoro. Poi ho iniziato a scrivere post su argomenti correlati, intervistare recruiter, head hunter, imprenditori, startupper o lavoratori italiani all’estero. Tutto ciò che riguarda non solo il mondo del lavoro dipendente, ma anche quello dei freelance, dell’impresa, delle startup. Ormai il lavoro non è più solamente quello tradizionale.”

Con gli anni l’interesse verso Lavora con noi Italia è aumentato. Oltre al milione di utenti unici all’anno, nel frattempo si sono aggiunti i social e ora si contano 13.000 membri del gruppo LinkedIn, 8.000 fan della pagina Facebook, 4.000 follower su Twitter e circa 10.000 iscritti alla newsletter. Oggi il blog di Lavora Con Noi Italia è solo uno dei progetti di Simone, che lavora come consulente per PMI e liberi professionisti, promuovendosi dal suo sito Web www.simonebarbone.net.

Chiedo a Simone di chiudere con tre dritte per chi cerca lavoro.

“Prima di tutto puntare forte su LinkedIn: contatti di alcune aziende mi dicono che ormai molti responsabili HR stanno spostando tutta l’attività di ricerca e selezione lì. Anche lato candidato è comodo: si ha un’unica presenza online, senza dover aggiornare i vari CV caricati sui siti di ricerca ogni volta.
Secondo: non sottovalutare la potenza della Rete, ci sono risorse fantastiche. Prendete, per esempio, Glassdoor (www.glassdoor.com, ndr): è un sito che raccoglie le informazioni sui salari in base a qualifica, ruolo e nazione ma soprattutto le domande tipiche che i recruiter fanno ai propri candidati in base al ruolo; così si può andare a un colloquio sapendo quando si vale sul mercato…”.

E la terza dritta?

“La terza è in realtà la prima. Non si può iniziare un percorso di ricerca del lavoro senza prima sapere che cosa si vuole. Per questo si può usare la Rete per capire se la propria passione si può trasformare un lavoro, e come si muovono quelli bravi. Ma soprattutto bisogna avere una presenza online coerente, che faccia capire al potenziale datore di lavoro perché sei diverso e perché dovrebbe scegliere proprio te”.

In una parola: posizionamento.

 


Approfondirò i temi della ricerca del lavoro online ai tempi dei social network in un convegno che mi vedrà salire sul palco del Salone del libro di Torino, venerdì 19 maggio alle ore 18, con David Buonaventura (ideatore del metodo Colloquio Diretto e con l’esperto di inbound marketing Andrea Cannizzaro.
L’evento “Il marketing di se stessi: il binomio personal branding e social media”, aperto a tutti, si terrà al padiglione 1, stand Regione Piemonte – Agenzia Piemonte Lavoro, sala IOLAVORO. Vi aspetto!

Cercare lavoro: come sfruttare le leggi del marketing

Il marketing, come qualsiasi disciplina umana, ha delle regole. Discutibili, “deperibili”, forzate se volete, ma delle regole ci sono. Prendete per esempio le 22 immutabili leggi del marketing di Al Ries e Jack Trout: è vero che si tratta di un testo con le rughe, ma alcune verità possono essere riconosciute ancora come attuali. La mia sfida, qui, è quella di applicare alcune di quelle leggi (cinque o sei su 22) alla ricerca del lavoro, come se il prodotto o servizio da piazzare sul mercato fossi tu.

  1. La legge della leadership e della categoria

Questa legge è per molti spiazzante: è preferibile essere i primi e non i migliori. Eppure molti continuano a puntare sulla qualità del prodotto, sul confronto con i competitor, sul benchmarking e non sul posizionamento – parola per me chiave. Per dire: chi si ricorda il nome del secondo aviatore che ha fatto la traversata dell’Atlantico?

Come tradurre questo in campo lavorativo? Se non puoi essere il primo di una categoria, inventatene una nuova in cui diventarlo. Nel 1934 Joseph Lamberth pubblicò il primo libro sul cake design e creò un metodo, che si chiama “metodo Lamberth”.

  1. La legge della focalizzazione 

L’essenza del marketing è restringere la focalizzazione: non puoi rappresentare una cosa specifica se insegui tutto. C’è un vecchio modo di dire inglese che recita: “Jack of all trades and master of none”, che si può tradurre con “esperto di tutto, maestro di niente”. Sempre più persone invece perdono la focalizzazione e disperdono le energie su più fronti, tanto che la studiosa canadese Emilie Wapnick ha coniato il termine “multipotenziale” proprio per indicare una persona con molti interessi e occupazioni creative. È una persona che posta di fronte alla domanda: “Che cosa vuoi fare da grande?”, prova disagio. È una persona che si appassiona per un periodo a una determinata attività, illudendosi per un momento di aver trovato la propria vocazione, fin quando la parabola si consuma e la noia sopraggiunge. Puoi guardare la conferenza Ted di Emilie e questo indirizzo: bit.ly/Wapnick.

  1. Legge del sacrificio

Questa legge si lega alla precedente: bisogna rinunciare a qualcosa per ottenere qualcosa. Il mondo del lavoro, così come quello degli affari, è popolato da grandi generalisti altamente diversificati e piccoli specialisti estremamente focalizzati. Il generalista di solito è debole, la nicchia spesso vince. Parliamo anche di mercato: chi l’ha detto che devi risultare interessante per tutti? Coca-cola stravinceva e allora Pepsi si è concentrata sui giovani: si parlava infatti di Pepsi generation.

  1. La legge della sincerità

Se ammetti una qualità negativa, il cliente potenziale ne riconoscerà una positiva. Ammettere un problema va contro la natura umana e aziendale. Uno dei modi più efficaci per entrare nella testa del cliente potenziale è invece ammettere un fatto negativo e trasformarlo in qualcosa di positivo. Avis, per esempio, era la numero due nel mercato del noleggio auto. L’ha ammesso e ha trasformato questo handicap in un punto di forza: è vero, siamo in numeri due ma proprio per questo ci metteremo ancora più impegno.

 

  1. La legge dell’imprevedibilità.

Non è possibile prevedere il futuro, ma occorre farsi un’idea di quali saranno le tendenze del mercato, in modo da trarre profitto dal cambiamento. Altro errore è pensare che il futuro sarà una replica del presente. La soluzione per gestire l’imprevedibilità? La flessibilità e la formazione continua: lavori che oggi paiono ormai consolidata, come il social media manager e il brand reputation manager, dieci anni fa non esistevano e, chissà, fra dieci anni non esisteranno più.

EXTRA La legge del fallimento. Il fallimento va messo in conto, va accettato. E, all’americana, va visto come un’opportunità.

Puoi acquistare il libro di Al Ries e Jack Trout qui:

Curriculum: ecco perché ne mandi centinaia e non ti risponde nessuno

Sono ormai anni che tengo corsi sul cercare lavoro online, e sempre più spesso mi sento rivolgere la fatidica domanda: “Perché mando centinaia di curriculum e non mi risponde mai nessuno?” Sono anni che do sempre la stessa, spiazzante risposta: “Mi stupirei se qualcuno ti rispondesse…” Non è una provocazione. È solo che quasi tutte le persone che cercano lavoro fanno lo stesso banale errore: mandano a tutti lo stesso CV (senza nemmeno usare un curriculum vitae modello originale) e con la medesima lettera di accompagnamento, ormai diventata una mail. Ripeto: mandano gli stessi documenti a tutti, che si tratti del pizzicagnolo sotto casa, dell’Esselunga o della Apple. “Quindi mi stai dicendo che se personalizzo CV e messaggio poi mi prendono?”, questa è la seconda domanda che mi rivolgono. Non proprio, sto solo dicendo che quello è un primo passo. A seconda dell’azienda e del settore (a patto di conoscerli: non avete idea di quanta gente ho visto andare ai colloqui e non sapere nemmeno di che cosa si occupasse l’azienda) occorre mettere in evidenza alcune esperienze e qualità. Questa è la base, ma non basta. Il grosso problema è una mancanza di consapevolezza di quelli che sono i meccanismi della comunicazione umana. Mi spiego meglio, partendo da lontano. Nel 1936 Daniel Carnegie (nella foto sotto) scrisse il libro “Come trattare gli altri e farseli amici”.

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Un testo fondamentale (l’ho inserito nella lista dei libri che mi hanno cambiato la vita), un libro che farei leggere in tutte le scuole, un volume che i venditori più accorti tengono sul comodino. Che cosa dice questo libro che ha ormai 80 anni? Lo reinterpreto con parole mie, ne prendo quello che mi serve; il libro ruota intorno a due verità inconfutabili: le persone pensano prevalentemente a sé stesse e vogliono sentirsi importanti. Se vuoi farti benvolere da qualcuno, quindi, devi parlare di lui, non di te. Esempio banale: devi ricordarti a memoria il suo nome. Questo, declinato in ottica commerciale, suona come: non parlare di quanto la tua azienda è bella, importante, ricca e così via, parla dei problemi dei clienti e di come puoi risolverli. Che cosa c’entra tutto questo con la ricerca di lavoro e con un curriculum? C’entra, eccome. Chi riceverà la tua candidatura ha un problema: c’è un posto vacante nella sua azienda e occorre trovare una persona capace, se possibile anche in fretta. Il responsabile della selezione, già immerso nei suoi problemi personali (non gli importerà nulla dei tuoi problemi personali, ne ha già abbastanza dei suoi), ha quasi certamente un capo o un intero reparto che fanno pressione affinché risolva quel problema, trovi la persona giusta. È per questo che quando si manda un CV non bisogna concentrarsi su sé stessi (ho fatto questo, ho fatto quello), ma su quel problema e su quel destinatario (a proposito: come si chiama il destinatario? Bisogna sempre scoprire il nome del responsabile della selezione, per esempio usando LinkedIn). Perché stai mandando il curriculum? Semplice: perché hai trovato l’inserzione online e, date le tue esperienze e le tue qualità, saresti la persona giusta per quel posto. Occorre dirlo, fare in modo che la mail di accompagnamento porti all’apertura del CV per un approfondimento. La morale di tutta questa storia? È inutile mandare centinaia di curriculum tutti uguali, è come sparare alla cieca sperando di colpire l’obiettivo grazie a un colpo di fortuna. Meglio una decina di CV, ma tutti mirati, personalizzati. Solo così si ha la possibilità che il CV risulti realmente efficace.

Tre videocorsi gratuiti sulla ricerca del lavoro

Vuoi cambiare lavoro o conosci qualcuno che lo sta cercando? Mandagli questo link: ci sono tre miei videocorsi GRATUITI per cercare lavoro online.

Le nuove professioni del Web

Il libro presentato in questa puntata di TATC era “Le nuove professioni del Web” (Hoepli):

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