Articoli

5 strumenti per creare il tuo podcast

,

I podcast esistono da tanti anni, ma solo ultimamente sono esplosi (si stima li usino 14 milioni di italiani). Perché? Per lo stesso motivo per il quale la televisione non ha ucciso la radio, alla faccia dei The Buggles!

La radio si ascolta anche quando non puoi prestare attenzione con gli occhi, addirittura il podcast è on demand e lo puoi ascoltare quando preferisci: io, per esempio, mentre corro al mattino.

Per creare un podcast uso Spreaker: un’ottima app italiana, apprezzatissima a livello internazionale. È così ben fatta che c’è chi la usa per creare una sorta di propria radio privata via web.

La caratteristica più entusiasmante di Spreaker è la condivisione automatica delle puntate su tante piattaforme: da Google Podcast ad iTunes (Apple podcasts), fino a Spotify e perfino YouTube (il video è creato in automatico tenendo fissa l’immagine della puntata). Per raccogliere tutti questi canali in un’unica pagina uso Gopod.me: https://gopod.me/1377532934.

La versione gratuita di Spreaker offre cinque ore di archiviazione e live podcast sino alla durata di 15 minuti. Con la versione On-Air Talent, quella che uso io, ho 100 ore di archiviazione e live podcast da 45 minuti. Esitono anche versioni a pagamento con più opzioni.

Nell’aprile del 2018 ho creato il mio primo podcast, l’unico in Italia sull’uso consapevole della tecnologia in famiglia: Genitorialità e tecnologia (www.gianluigibonanomi.com/podcast): ogni lunedì pubblico informazioni, aggiornamenti, approfondimenti e interviste sul tema.

 

Gli strumenti per la gestione dell’audio

L’elemento che apprezzo di più nell’app Spreaker è che mi permetta di creare un podcast senza che debba acquistare nulla: è sufficiente lo smartphone, ormai una protesi per me. Spesso le puntate di Genitorialità e tecnologia si basano su interviste telefoniche: per questo uso la app Call recorder per registrare tutte le telefonate, in ingresso e in uscita: poi converto il file audio risultante, in formato ARM, con il gratuito Online Audio Converter (https://online-audio-converter.com) per ottenere un MP3. Per editare i file audio uso il mitico Audacity (gratis e open source).

Va detto che il microfono integrato nei dispositivi mobili non è dei migliori, non foss’altro per le sue dimensioni. Quindi, se si desidera una qualità audio migliore, è il caso di pensare a un microfono esterno. Ne ho comprati due: uno da tavolo, USB, da usare con il PC; e un lavalier, detto anche “clip mic” perché si attacca con una piccola clip alla cravatta o al bavero: ne ho comprato una versione con jack audio per usarlo direttamente con il microfono (online si trovano a costi ridicoli).

Perché ho iniziato a fare i podcast? La mia intervista per “Esperienze digitali”

Da più di un anno, ogni maledetto lunedì, pubblico una puntata del podcast “Genitorialità e tecnologia“. Ho parlato del perché ho iniziato a fare podcasting, e come mi ha cambiato la vita, a Simone Capomolla, conosciuto come Capogeek, in un’intervista durante una maratorna live del suo podcast “Esperienze digitali“. Ecco l’intervista:

Ascolta “Intervento di Gianluigi Bonanomi nella Maratona 8h” su Spreaker.

Il podcast “Genitorialità e tecnologia” è su GoPod.me

,

 

Il mio podcast “Genitorialità e tecnologia”, che da mesi – ogni lunedì, offre spunti sull’uso consapevole della tecnologia in famiglia ha ora una sua pagina sul servizio Gopod.me. È questa (fai clic sul logo per visitarla):

Che cos’è Godpod.me?

Ho scoperto Gopod.me ascoltando un’intervista fatta a Francesco Tassi da Giulio Gaudiano, nel suo podcast “Strategia Digitale“. Si tratta di una piattaforma per creare una pagina di riferimento del proprio podcast, con tutti i link alle varie piattaforme per ascoltarlo: da Spotify ad iTunes, da Google Podcasts a Spreaker.

Challenge letali su Youtube: la testimonianza di Ramon Maj

Martedì 20 novembre non ho tenuto una serata sui pericoli della Rete come tutte le altre. Ho avuto l’onere di intervistare Ramon Maj, il padre di Igor Maj.

La storia di Igor Maj

La notizia, sconvolgente, fu data così dal Corriere della Sera:

Il 6 settembre, giovedì della scorsa settimana, in un appartamento della prima periferia di Milano, viene trovato morto un adolescente, un ragazzo di 14 anni, biondo, col fisico atletico, appassionato di scalate in montagna, come suo padre. Il ragazzo si è soffocato con una corda da roccia, e i carabinieri hanno trasmesso alla Procura per i minorenni notizie e primi accertamenti sul «suicidio», perché quella, all’inizio, era la scena.
È passata una settimana, e la morte di quel ragazzo, per quanto sostiene la sua famiglia, ha una spiegazione diversa dal suicidio. Lo racconterebbe almeno un video, tra le ultime pagine Internet visitate e rimaste memorizzate nella cronologia di navigazione del giovane rocciatore, un video che rientra nella categoria «cose pericolose in Rete» e parla di blackout, o «gioco» del soffocamento, una sorta di sfida che consisterebbe nello sperimentare una carenza di ossigeno, fin quasi allo svenimento.

Le parole del padre di Igor sul Corriere della Sera

A quattordici anni sei un po’ leone e un po’ bambino. Cerchi il brivido della sfida, le prove di coraggio. Poi però vai dalla mamma o dal papà, e ti rannicchi un po’ con loro. […] Nostro figlio era irrequieto e vivace, era bravo a scuola e faceva tanto sport. […] In un momento in cui era da solo a casa ha cercato su youtube due parole: “sfida ragazzi” […]. È partito un video “5 Challenge pericolosissime che gli adolescenti fanno”. “Ci sono moltissimi giochi che diventano virali e di tendenza – diceva la voce – . Senza usare un po’ di testa, si rischia di finire molto male”. Sottinteso: tu che hai la testa, puoi sfidare il limite. Ce la fai. L’ultima sfida era una sorta di “gioco” al soffocamento […] e ha provato convinto di poter controllare tutto con la sua forza e la sua intelligenza. […] È così che è morto Igor, appeso, per colpa di un inganno online. Strangolato da una corda. Da una di quelle che in arrampicata servono per salvarsi la vita. […] Ad Igor non erano “negate” le sfide o le cose strane, però le ragionavamo assieme […], l’ho sempre indirizzato sul come farle e sul non farle da solo e  pensavo (evidentemente sbagliando) che lui avesse capito, che avesse gli strumenti per valutare.”
(Ramon Maj, Corriere della sera di giovedì 11 ottobre 2018)

La challenge black out

La challenge, sfida in inglese, di cui si parla si chiama black out: prevede che i giovani si comprimano la carotide fino a svenire per soffocamento. Una pratica che online raccoglie migliaia di fan, non solo in Italia, e accompagnata persino da centinaia di video-tutorial. In realtà la sfida al soffocamento esiste da decenni (è anche una pratica sessuale), ma la Rete ha reso virale la diffusione di questo “gioco” conosciuto anche con i nomi di pass-out challenge o chocking game.

Challenge su Youtube: che cosa sono?

Che cos’è esattamente una challenge? Va detto che queste sfide non sono tutte pericolose, anzi. Nascono come social challenge innocue: una persona si sfida con un’altra o più persone in giochi molti buffi, come per esempio la whisper challenge, che consiste nel capire il labiale dell’altro mentre si ascolta musica.

Peccato però che alcune challenge siano molto pericolose. Tutti citano la controversa Blue Whale (inizialmente entrata nel nostro Paese come una fake news, come hanno ammesso Le Iene, ma poi diffusasi per emulazione): consiste nel seguire un percorso di prove folli e autolesionistiche fino a buttarsi giù dal tetto di un palazzo. Per alcune settimane sembrava che fossero a decine i casi in Italia, poi l’allarme è rientrato.

Ma sono molte, come segnala Avvenire, le pratiche “estreme” propugnate sul Web e che finiscono con esercitare attrattiva sui ragazzi più fragili, o meno seguiti nelle ore passate davanti a computer e smartphone: si va dal balconing (la pratica di gettarsi da un palazzo all’interno di una piscina o di un altro balcone) alla moda dei selfie sui binari del treno o sulla strada (a volte purtroppo si trasformano in selfie mortali: killfie) fino al knockout (che consiste nel buttare a terra i passanti con un pugno o un calcio dato all’improvviso) e all’eyeballing (buttarsi vodka sugli occhi in cerca di allucinazioni e sballo immediati).

Perché i ragazzi sono attratti dalle challenge? Sono delle specie di riti di iniziazione, spiegano gli psicologi: i ragazzi devono dimostrare qualcosa a se stessi e agli altri. Devono dimostrare di essere dei duri, di sapere superare i propri limiti, devono sentirsi parte di un gruppo, sballarsi o soltanto per fare qualcosa di diverso, inusuale, da raccontare l’indomani agli amici.

La serata di Carate Brianza

Così l’Associazione genitori e dall’Istituto parrocchiale Vescovi Valtorta e Colombo ha presentato l’evento con Ramon Maj:

Martedì 20 novembre 2018 alle ore 21 presso il Cineteatro L’Agorà di Carate Brianza, in via Amedeo Colombo n. 2, si terrà il primo incontro del ciclo La trappola della rete in una rete di trappole in un dialogo tra il giornalista Gianluigi Bonanomi, esperto in cyberbullismo, e Ramon Maj, padre di Igor, il ragazzo 14enne milanese deceduto il 6 settembre 2018 a causa di un “gioco” troppo pericoloso.

L’incontro è aperto a tutti con ingresso libero fino ad esaurimento posti ed è promosso dall’Associazione genitori e dall’Istituto parrocchiale Vescovi Valtorta e Colombo di Carate Brianza con l’intento di offrire al territorio un momento di riflessione e di scambio sui temi della genitorialità e dell’educazione, che mai come oggi si pone quale priorità per giovani che hanno di fronte una società che offre pericoli e grandi contraddizioni.

La testimonianza di Ramon Maj

Durante la serata di Carate ho registrato parte dell’intervento del padre di Igor, Ramon. Ne presento qui la registrazione, che è diventata una puntata del mio podcast “Genitorialità e tecnologia“:

 

 

YouTube Kids: che cos’è e prova sul campo

Sono un papà di due bambine: una di sei anni e l’altra di due anni. Entrambe, già dall’età di un anno, si divertivano a guardare i video su YouTube, su smartphone e tablet, con la supervisione di mia moglie o con la mia.

Il problema è che già da piccolissime – native digitali come sono – avevano imparato che, facendo scorrere il ditino dalla parte bassa dello schermo in su, potevano accedere a un mondo di video correlati. Partivano da Peppe Pig e si ritrovavano su video russi di giocattoli strani o su altri contenuti non meglio identificati.

È arrivata YouTube Kids

Dal 12 settembre 2018 è ufficiale: è arrivata in Italia YouTube Kids, la app pensata per le famiglie e i bambini, in pratica una versione protetta di YouTube in cui i bambini dai tre ai dieci anni possano guardare cartoni animati, video musicali e filmati didattici. I filtri sono informatici ma esiste anche una redazione in carne e ossa per le segnalazioni. La app è disponibile gratuitamente su Google Play e su App Store. Il sito Web di riferimento in lingua italiana è www.youtube.com/intl/ALL_it/yt/kids.

La prova sul campo di YouTube Kids

All’avvio l’app chiede l’intervento di un genitore, che deve inserire l’anno di nascita. Il suo, non quello del figlio o della figlia. In seguito l’app riconosce l’account Google del genitore (protetto da passcode, per esempio una moltiplicazione). Il sistema, subito dopo, ammette di non essere infallibile: chiede, in caso di video non appropriato, di segnalarlo.

Quasi subito è possibile disabilitare la ricerca: in questo modo il minore può vedere solo canali verificati da YouTube Kids: l’app ha in primo piano molti contenuti italiani per bambini: per esempio Zecchino d’Oro, filastrocche di Coccole Sonore, Winx e Lego Ninjago.

Al primo uso ho deciso di tenere attiva la ricerca, possibile anche con dettatura per i bimbi che non sanno scrivere (o gli adulti pigri): provando con “sesso” non è stato mostrato alcun risultato, mentre con “calcio” sono stati mostrati contenuti come Sam il pompiere che gioca a pallone, lo stesso per Oddbods, Masha e Orso, Pocoyo ma anche guide e gli highlights di partite vere. Tutto sotto controllo. Il genitori può anche impostare un timer, fino a 60 minuti.

E la pubblicità?

Per quello che riguarda la pubblicità, i progressi di Google sono da sottolineare, e sono dettati dal GDPR, la nuova severa legge europea sulla privacy. Non viene mostrato più di uno spot ogni quarto d’ora (spot che non riguardano alimenti o videogiochi e non hanno link e non portano altrove) e Google non raccoglie i dati dei minorenni (solo quelli d’uso: smartphone, sistema operativo ma anche indirizzo IP e cronologia visualizzazioni), anche perché è possibile usare la app senza avere un profilo. Non sono mostrati spot targettizzati, a quanto ha dichiarato Gregory Dray, numero uno Kids, Family ed Education di YouTube in Europa.

Che cosa ne pensa la Polizia Postale?

“Apprezziamo l’impegno di Google per rendere la navigazione online un’esperienza sicura anche per i più piccoli, ma sappiamo che affinché tali sforzi siano efficaci è necessario un dialogo costante con le istituzioni. Per questa ragione, da molti anni Polizia Postale e Google collaborano per garantire agli utenti un ambiente online sicuro e positivo”

Questo quello che dice Nunzia Ciardi, Direttore del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni.

Anche in podcast!

Questo argomento è stato oggetto anche del mio podcast “Genitorialità e tecnologia”. Puoi ascoltare la puntata dedicata a YouTube Kids direttamente qui:

Ascolta “#23 Che cos’è Youtube Kids e come funziona?” su Spreaker.

Il mio podcast “Genitorialità e tecnologia” è su Spotify

,

Il mio podcast “Genitorialità e tecnologia”, dedicato all’uso consapevole della tecnologia in famiglia, è disponibile da tempo su questo sito, su Spreaker, su iTunes, su YouTube. Da qualche giorno è possibile ascoltare tutte le puntate gratuitamente anche sulla più celebre piattaforma di streaming musicale: Spotify. Puoi ascoltare il mio podcast a questo link: Genitorialità e tecnologia su Spotify.

 

Che cos’è la dieta mediale? L’intervista a Marco Gui

,

La quindicesima puntata del podcast “Genitorialità e tecnologia” è dedicata all’intervista con il professor Marco Gui (nella foto sopra), ricercatore presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università Bicocca. Ho intervistato Marco perché si occupa di sociologia dei media ed è un grande esperto di uso consapevole della tecnologia in famiglia. Tra l’altro è l’autore di uno dei libri più interessanti che ho letto sul tema: “A dieta di media. Comunicazione e qualità della vita”.

Il problema

Come si evince dall’intervista, breve (una decina di minuti in tutto) ma intensa, il tema del libro è la sovrabbondanza comunicativa permanente. In particolare Gui sostiene che l’obesità e la sovrabbondanza comunicativa colpiscano le fasce con meno risorse socio-culturali, quindi toccano chi ha meno strumenti per difendersi. Data l’analogia tra cibo e tecnologia, si parla quindi di dieta mediale.

Nel corso della puntata Gui ha precisato che le vere dipendenze (IAD, Smartphone addiction e dipendenza dai videogiochi) sono rare, ma sempre più spesso si verifica un sovra-consumo, un uso disfunzionale della Rete, che si associa a diversi problemi: di tipo relazionale, di rendimento nello studio o sul lavoro, di qualità del sonno o della capacità di godersi in modo rilassante momenti di svago.

I rimedi

Quali i rimedi? Gui suggerisce, soprattutto ai genitori, di avere un strategia nell’uso dei media, in modo da usare consapevolmente tutti gli schermi che ci circondano ma soprattutto per essere un esempio per i ragazzi. Prima di tutto occorre analizzare l’uso che si fa della tecnologia. Per questo possono essere utili strumenti come RescueTime.

L’intervista

Per ascoltare la puntata del podcast fai clic su Play qui:

Ascolta “#15 A dieta di media in famiglia: l’intervista a Marco Gui” su Spreaker.

Per contattare Marco puoi visitare la sua pagina sul sito dell’Università Bicocca, scrivergli a marco.gui@unimib.it oppure visitare il sito del suo progetto sul benessere digitale.

Se vuoi invece riascoltare tutte le puntate del podcast “Genitorialità e tecnologia”, fai clic qui:

Navigazione familiare: l’intervista (on the road) al professor Danilo Piazza

Lo scorso sabato 19 maggio, all’alba, ero in auto con il professor Danilo Piazza, già fondatore con me della società di formazione ClasseWeb nonché coautore del libro “Navigazione familiare“, per una trasferta in provincia di Varese. Stavamo andando a tenere dei corsi di navigazione familiare in una scuola secondaria di secondo grado.

Ne abbiamo approfittato per realizzare un’intervista, in realtà una chiacchierata, che è finita dritta dritta nel mio podcast “Genitorialità e tecnologia” (puoi riascoltare le puntate precedenti qui).

È stata un’occasione per spiegare come è nato il progetto dei corsi di navigazione familiare, come si svolgono i nostri corsi – i suoi sulla navigazione in famiglia e i miei sull’uso consapevole e sulle regole d’uso della tecnologia in famiglia – e, soprattutto, come intendiamo il ruolo della tecnologia tra le mura domestiche.

Ecco il risultato della nostra chiacchierata:

Ascolta “1×05 Navigazione Familiare: l’intervista a Danilo Piazza” su Spreaker.

Fammi sapere che cosa ne pensi!

 

Questo libro parlerà malissimo degli eBook (ma potrebbe non riuscirci)

Nella puntata zero di Techradio ho parlato del libro di Nicola Cavalli per Editrice Bibliografica (fai clic su Play per ascoltare l’intera puntata):

La rece scritta per Computer Idea

La diatriba tra i libri tradizionali e quelli elettronici è un tema caldo, quasi da bar ormai. Questo perché gli eBook, nonostante i numeri ancora da “poco virgola”, stanno entrando nelle nostre vite, complici la diffusione dei tablet e gli eReader a prezzi accessibili. Questo simpatico pamphlet, scritto da uno studioso del fenomeno nonché editore tradizionale e digitale qual è Nicola Cavalli, raccoglie alcune delle questioni più controverse riguardo lo “scontro” carta-bit: l’azione dello sfogliare, leggere sotto il sole, prendere note o inserire segnalibri, andare in libreria o in biblioteca, consultare di un dizionario, il ruolo dell’editore, la copertina, il mercato dell’usato, gli autografi e le dediche e altro ancora.
Da leggere: in cartaceo o digitale, non fa differenza…

Acquistalo su Amazon:

Fai di te stesso un brand

Nella terza puntata di Techradio ho parlato di “Fai di te stesso un brand” di Scandellari (dal minuto 7):

Il tema del personal branding, vale a dire dell’autopromozione su Internet, e quello strettamente collegato della gestione della reputazione on-line, sono da mesi caldissimi. Sono diversi i libri che stanno uscendo sull’argomento, vedi quello di Centenaro, e questo di Riccardo Scandellari, giornalista e consulente (e fondatore, con Rudy Bandiera, di NetPropaganda), risulta tra i più interessanti perché affronta la questione da più punti di vista, ma soprattutto è utile sia per i privati che per le aziende. Dentro vi si trova di tutto: dalla gestione dei social all’apertura di siti e blog, dal monitoraggio della reputazione con strumenti specifici (vedi Mention) al fare networking. Molti gli interventi di ospiti.

Compralo su Amazon: