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Politici italiani su LinkedIn, il caso Tajani: la mia intervista per Affaritaliani.it

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Il 12 agosto 2022 sono stato intervistato da Affaritaliani.it, in piena campagna elettorale, per parlare dell’uso che fanno di LinkedIn i politici italiani (“La campagna elettorale corre sui social: LinkedIn trascurato, ma non da Tajani“).

Mi sono concentrato sul caso di Tajani, ecco il mio contributo.

Affaritaliani.it ha chiesto un parere sul tema al comunicatore digitale Gianluigi Bonanomi, che forma aziende, professionisti ed enti sull’uso strategico di LinkedIn: “L’utilizzo di questa piattaforma da parte dei politici italiani è particolarmente controverso. Sono pochi gli esempi virtuosi. Tra questi segnalo Antonio Tajani. Il suo profilo ha tre caratteristiche vincenti:

  • presenta buone immagini (la parte visuale sui social è sempre più importante);
  • è tutto sommato completo;
  • infine, è attivo, con un buon ritmo in termini di post”.

Gianluigi Bonanomi, che è anche autore del libro Il candidato digitale: L’arte della campagna elettorale nell’epoca dell’algocrazia e del post-Covid (con il vicedirettore di Affari Lorenzo Zacchetti), dà anche delle indicazioni pratiche: “Stando sul caso pratico di Tajani, il suo profilo per risultare perfetto avrebbe bisogno di queste altre tre cose:

1) Ulteriore completamento del profilo, segnalando competenze e progetti;

2) Uso strategico degli hashtag nei contenuti cosa spesso trascurata dai politici, che invece dovrebbero ‘cavalcare’ i temi del momento (per esempio la #flattax);

3) Puntare di più sui video, tipologia di contenuto che tutte le piattaforme social ora bramano.

Sono molti, viceversa, i politici che hanno aperto il profilo e non lo stanno sfruttando al meglio. Anzi, in alcuni casi i profili si rivelano boomerang comunicativi”.

Il corso sui social per la PA

Ho parlato abbondantemente di questi temi (LinkedIn per la pubblica amministrazione compreso) nel videocorso che ho registrato per Primopiano: “Web e social per la PA“.

Salvini su TikTok: la mia intervista per Affaritaliani.it

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Il 17 novembre 2019 sono stato intervistato dal quotidiano online Affaritaliani.it in occasione dello sbarco su TikTok di Salvini. Ecco l’articolo.

Perché Salvini ha fatto flop su TikTok? Parola all’esperto Gianluigi Bonanomi

Il “Guru” della comunicazione spiega: “L’inizio è stato un disastro, ma la strada è quella giusta: deve ‘solo’ cambiare stile, adeguandosi al target”

L’ESORDIO DI MATTEO SALVINI SU TIKTOK SI RIVELA UN FLOP – INTERVISTA A GIANLUIGI BONANOMI, “GURU” DELLA COMUNICAZIONE IN RETE E PROFONDO CONOSCITORE DEI CANALI FREQUENTATI DAGLI ADOLESCENTI

Come funziona la strategia di Matteo Salvini sui social? Tutti parlano (a ragione) della capacità di influire sul consenso della “Bestia”, la corpulenta macchina della comunicazione approntata dal leader della Lega e messa sotto la lente di ingrandimento anche dalle ultime puntate di “Report”, a proposito del presunto utilizzo di chatbot e altri strumenti di propaganda.

La comunicazione di Salvini sembrava davvero non sbagliare mai un colpo, fino a quando “il Capitano” non si è imbattuto in Tik Tok, strumento sempre più popolare tra i giovanissimi e ancora sconosciuto a molti adulti.

Salvini ha avuto il merito di essere il primo politico a sbarcarvi, ma molto presto si è imbattuto con una serie di reazioni negative, derivanti dal fatto che per le giovani generazioni vivere in una società multietnica  sembra ormai normale e anche da alcune scelte comunicative che si sono rivelate fallimentari.

Ma perché Salvini ha fatto flop su TikTok? Per esaminare questo curioso fenomeno abbiamo chiesto il parere di Gianluigi Bonanomi, vero e proprio “guru” della Rete. Oltre a essere un formatore richiestissimo dalle aziende (ad esempio per il corretto uso di LinkedIn), tiene interessanti corsi per ragazzi e genitori sui pericoli del Web e le sue competenze cominciano a essere richieste anche in politica, dove i budget sempre più esigui destinati alle campagne elettorali rendono fondamentale usare al meglio l’uso di Internet e dei social.

Gianluigi Bonanomi, partiamo dal principio: perché Salvini è andato su TikTok?

“Sebbene TikTok, ex Musically (con cui si è fuso), sia considerato solo un passatempo per preadolescenti e adolescenti, le cose stanno radicalmente cambiando: un miliardo e mezzo di utenti stanno ingolosendo tanti, a partire dalle aziende che iniziano a stanziare budget di advertising. Finora nessun politico si era azzardato a metterci il naso. Anche perché molti, immagino, non sanno nemmeno che cosa diavolo sia TikTok. Non di certo Salvini, che con la sua Bestia ha dimostrato di aver compreso che per ottenere risultati diversi, in termini di attenzione e partecipazione, occorre fare cose diverse: non solo cartelloni pubblicitari e quarte di copertina, ma advertising sui social e meme.Per rispondere alla domanda: ovviamente Salvini puntava ai minorenni; del resto è, al momento, l’unico personaggio politico che ha delle chance per strapparli all’astensionismo. Sta preparando la strada per il futuro prossimo.”

Come giudicherebbe i primi passi di Salvini su questo social così particolare?

“Direi un disastro. Questa app, dedicata alla musica, al ballo e alla “recitazione” non è adatta ai mini-comizi live di Salvini: contenuti che invece su Facebook sono perfetti e mandano in visibilio orde di quarantenni e gattini. Tra una challenge e un balletto, i ragazzi di TikTok si sono ritrovati un video malfatto del Senatore che stringe mani ai Carabinieri e un altro video, preso da un talk show, con le solite invettive contro gli immigrati. Per non dire del terzo, dove Salvini parla di un albero umbro. Tre contenuti mai visti su TikTok e che non sono piaciuti per niente ai ragazzi. Anzi, spesso mi è capitato di vedere su TikTok contenuti anti-razzisti e sulla tolleranza, e infatti molti commenti sono stati impietosi”.

Cosa insegna questa storia a chi si occupa di politica e comunicazione?

“La morale è sempre quella: canali diversi esigono stili comunicativi e contenuti diversi, perché spesso sono diversi i target e gli obiettivi. Altrimenti che senso avrebbe distinguere tra Facebook, Twitter, LinkedIn e altro? Cerco disperatamente di farlo capire nei corsi e nelle consulenze alle aziende: se ribalti il contenuto di Facebook su Twitter, così com’è e in automatico, non solo stai sbagliando tecnicamente, perché sono canali con regole e grammatiche diverse, ma dimostri di non aver capito che prima si parte dall’analisi del target e poi si crea il contenuto. Non viceversa. Non puoi prendere i contenuti che funzionano su Facebook, dove non si trova un minorenne neanche per sbaglio, e metterlo in un social così particolare, così diverso. È vero che Salvini ha provato a semplificare il messaggio e sclerotizzarlo: il primo video, quello con i Carabinieri, aveva in sottofondo una musica trionfalistica e in sovraimpressione scritte sull’onore, ma ribadisco: una ragazzina dodicenne, che ha appena finito di vedere una sfida, challenge, di scarpette, come può prendere un contenuto del genere?Ultimo esempio: il quarto video vede Salvini che canta Vasco Rossi. Ai tredicenni pazzi per ‘Carote, carote, solo carote’ che cosa può importare una canzone di un quasi settantenne? In ogni caso la strada è giusta. Basterebbe cambiare stile”.

Appunti da un’intervista a Jacques Séguéla

All’università feci un esame di scienza della politica (per alcuni un ossimoro…), dove scoprii l’acqua calda: i politici vedono gli elettori come clienti, il prodotto che vendono dovrebbe essere il loro programma ma in realtà vendono sé stessi, l’elettorato è un insieme di numeri distribuiti su una curva gaussiana e così via.
Tutte queste cose le ho ritrovate nel libro “Presidente da vendere”: si tratta di un’intervista di Domenico Pasquariello a Jacques Séguéla, vera e propria leggenda della comunicazione politica: basti pensare che, come ampiamente testimoniato nel testo, su venti campagne presidenziali ne ha vinte 19.

Da buon pubblicitario, quando Séguéla parla, spara claim. Ho deciso di appuntare tutte le chicche trovate nel testo e le ripropongo, in rigoroso ordine sparso, qui di seguito.

L’uomo politico è una marca.

Non esistono buone interviste, solo buoni intervistatori.

Il denaro non ha idee. Ma solo le idee producono denaro.

Il XIX è stato il secolo dei mercanti. Il XX di industriali e banchieri. Questo è per creativi e visionari, e si parla di “Rivoluzione infostriale”.

Il consumo è un sistema di vasi comunicanti. Una delle branche è il desiderio, l’altra la fiducia.

La coscienza politica è la prima coscienza dell’uomo.

Elezione è seduzione.

Nessuno vince un’elezione. È l’avversario che la perde.

Giornalista una volta, giornalista per sempre.

La vita è un percorso predeterminato, che si decide tra infanzia e adolescenza.

Esiste un punto mediano di comunicazione: al di là degli intellettualismi, tutti hanno le stesse reazioni di fronte alla vita e alla morte.

L’istinto è animale, l’intuito è umano.

Bisogna pensare per immagini, non più parole. Le parole devono essere al servizio dell’immagine.

Occorre liberare il consumatore dal senso di colpa: la pubblicità ha trasformato l’atto di acquisto in atto culturale.

La moda diventa propria moda a seconda delle marche che uno sceglie. La combinazione dei marchi acquistati è personale ed esprime la propria creatività.

Che cosa differenzia un oggetto da un uomo? La parola

La comunicazione è ormai indissociabile dall’esercizio del potere.

“Calunniate, calunniate, qualcosa resterà” (cit. Francis Bacon)

 La società della comunicazione è diventata la società di conversazione. Non si parla più di società di massa ma di persone. Quindi la comunicazione diventa personale. Ogni cittadino è un medium: basta dargliene i mezzi.

“Prossimità” è la nuova parola d’ordine.

Il terzo millennio sarà femminile. Uomo dà morte, guerra. Donna dà la vita, parto.

Ogni atto di consumo è sessuale. Vi è il piacere nell’acquisto. Senso di potere e soddisfazione. La stessa cosa vale per il voto.

La debolezza della sinistra, prima di essere degli uomini e delle idee, è la debolezza della comunicazione.

La vecchiaia è il culto dell’egoismo.

Postpubblicità: Nike rinuncia allo slogan Just do it e lascia solo il simbolo.

Non più martellamento con uno slogan, ma vibrazione. Energia di auto-trasmissione (passaparola).

L’Idea lascia alla storia lo scettro della persuasione: ora vale solo lo Storytelling.

Ma ogni internauta può deformare il messaggio, perché è di fatto comproprietario del messaggio. Ognuno da destinatario diventa emittente.

La comunicazione è sorprendere. Chiedo a un banchiere che cos’è la neve quando si scioglie? Lui risponde: diventa acqua. Per me la neve che si scoglie diventa primavera.

La buona pubblicità è quella che tocca la pancia, non la testa.

Nell’era dell’immagine non avere il look del proprio elettorato è una tara insormontabile.

Solo la sostanza conta, ma è la forma quello che passa.

Il Titanic l’hanno costruito dei professionisti, l’arca di Noè dei dilettanti.

Ogni elezione è una drammatizzazione.

Si vota per il futuro, non per il passato. Nell’urna non esiste gratitudine. Per questo il cambiamento è l’arma fatale di ogni lotta politica.

Il voto è sociologico, non politico. Si sceglie col cuore e non con la ragione.

Sono sempre gli indecisi a decidere un’elezione.

Si vota per lo straordinario, non per l’ordinario. Una campagna è uno spettacolo.

Si vota per un vincitore, non per un perdente.

Non bisogna essere il candidato che si vede di più. Ma quello che si vede meglio.

Si vota per un valore. Non per un’immagine.

 

 

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