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L’arte di scrivere i titoli (e comunicare online): intervista a Massimo Salomoni

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Massimo Salomoni ha un passato da creativo e un presente da (vero) esperto social: ha una sua agenzia, Smack – Comunicazione di parola a Milano e un incarico di docenza allo IED. Abbiamo fatto quattro chiacchiere sulla creazione dei contenuti e in particolare sui titoli. Ne è venuta fuori una discussione stimolante (non avevo dubbi, conoscendo Massimo da anni) sulla comunicazione online in generale.

Ci sono delle regole che ti sei dato quando fai un titolo/oggetto per un articolo online?

Sono profondamente convinto che esista una sola regola fondamentale quando si parla, o si vuole parlare, con qualcuno: cercare di utilizzare un registro, uno stile, un tono di voce in grado di farsi comprendere e, allo stesso tempo, riconoscere.

Parlare su Instagram a una community di appassionati di un brand di beauty, per esempio, esige parole e costruzioni sintattiche differenti da quelle utilizzate per parlare su Linkedin di un’azienda specializzata in Artificial Intelligence e analisi dei Big Data.
Prima di prendere in mano la penna (in partenza sono ancora profondamente analogico, aiuta a prendersi il tempo di riflettere) o di poggiare le dita sulla tastiera è bene cercare di capire chi siano i propri interlocutori, quali le loro passioni, i loro interessi.

Già piattaforma come Facebook, senza ricorrere a sofisticati strumenti di identificazione della buyer’s personas, mette a disposizione tutti gli strumenti per individuarli: basta leggere gli insight e scoprire le riviste, i programmi TV, le serie più amate dal proprio pubblico.

Tutto questo, ovviamente, va messo in relazione con il primo asset di ogni comunicatore: la conoscenza della Brand Identity del cliente e la capacità di rispettarla.

Esistono dei trucchi del mestiere (uso punteggiatura, posizione keyword, enfasi su emozioni, ecc.) che puoi rivelare?

I trucchi sono fatti per essere scoperti, e con il numero spropositato di contenuti che circolano ogni minuto sulla rete quelli più efficaci durano il proverbiale spazio di un mattino. All’inizio sembravano imprescindibili i titoli click-bait con i loro richiami “Non riuscirai a credere che cosa hanno scoperto” che portavano inevitabilmente alla delusione per una rivelazione inesistente, poi è stata la volta dell’instant marketing con stuoli di post praticamente tutti identici ispirati allo stesso evento che rendevano indistinguibile l’identità dell’azienda che li firmava.

Ora sta iniziando a prendere piede il posizionamento su cause politiche o sociali che oltre a rischiare di svilire, logorandoli,
concetti nobilissimi come “Sostenibilità” o “Corporate Social responsibility” inevitabilmente portano a un’ulteriore polarizzazione delle posizioni di cui francamente non abbiamo bisogno.

Inizio ad avere la stessa sensazione anche sulle regole matematiche della SEO: un keyword a inizio di frase, se messa in modo forzato, equivale alla strizzatina d’occhio o al colpo di gomito fatto all’amico cui si sta raccontando una battuta sulla cui efficacia si è poco convinti. Sono sempre più convinto che il trucco migliore sia quello di non averne: in fondo lo diceva già Oscar Wilde che la spontaneità è la posa più difficile da mantenere.

Puoi indicare un titolo/oggetto, tuo a altrui, che ti piace particolarmente e perché?

Quando si affrontano periodi di cambiamento come questo che stiamo attraversando, e ormai ne ho attraversati alcuni, cerco sempre di tornare ai classici. Nel campo della comunicazione, i classici sono quelli della storia della pubblicità.

Fra tutti i miei preferiti restano quelli storici della Volkswagen Beetle, che ha sovvertito i canoni abituali del mercato automobilistico USA puntando sull’originalità della forma e del concetto stesso che stava dietro all’auto. Riuscendo a far entrare in sintonia con i gusti di una generazione ribelle un’auto che, ricordiamolo, era stata voluta da Adolf Hitler in persona.

Perché i brand, quelli veri, devono saper attraversare i tempi, le mode, i mezzi che cambiano. O forse, più filosoficamente, lasciare che sia il tempo ad attraversarli.

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Web writing: 10 titoli infallibili secondo Joe Vitale

Mi occupo di scrittura, e Web writing in particolare, da diversi anni e ho letto sull’argomento tantissimi libri. Ma uno, in particolare, mi ha lasciato secco: “La scrittura ipnotica” di Joe Vitale. L’avevo adocchiato tanto tempo fa, ma l’avevo sempre snobbato per colpa di quell’“ipnotica” nel titolo: aggettivo che mi attirava ma, al tempo stesso, mi faceva pensare a Giucas Casella.


Insomma, temevo fosse un libro-fuffa, come ne ho letti tanti, invece si è rivelato uno dei migliori sul tema.
Tra le tante tematiche trattate – per esempio il metodo di lavoro o alcuni trucchi per indurre nel lettore uno stato di trance (nulla di illegale, anche Agatha Christie usava la scrittura ipnotica) – una delle più rilevanti è, a mio avviso, quella dei titoli. È il titolo che fa decidere al lettore se leggere un pezzo o un post, o al contrario scappare a gambe levate (dovremmo calcolare una specie di “headline bounce rate”, la percentuale di rimbalzo del lettore per nulla incuriosito da un titolo). Pensate al clic-bait, l’uso di titoli sensazionalistici per fare traffico su un sito, oppure al fatto che la maggior parte della gente che condivide un articolo sui social si limita a leggerne solo il titolo (vedi l’esperimento di Science Post che pubblicò un titolo accattivante e un testo fatto del riempitivo loren ipsum: http://www.ilpost.it/2016/06/21/6-persone-su-10-condivideranno-questo-articolo-senza-leggerlo).

Joe Vitale propone diversi titoli vincenti, senza dover necessariamente ricorrere alla tanto abusate liste. Ne ho scelti 10, alla faccia delle liste.

  1. Ai lettori importa solo di sé stessi, non di voi che scrivete. Quindi se un titolo promette un beneficio (credibile) diventa interessante. Esempio: Liberi dal mal di schiena in 20 minuti.
  2. Puntare sul gratis. Acquistare è faticoso, perché il compratore si mette in gioco. Se il prezzo non è più un problema, non proverà il classico rimorso dell’acquirente. Esempio: Un report gratuito spiega come pagare meno tasse.
  3. Porre una domanda intrigante (una domanda aperta, non deve risolversi con un perentorio sì o no), che faccia leva sull’innata curiosità del lettore. Esempio: Commetti anche tu questi errori?
  4. Creare un titolo istruttivo, gli “how to” o “come fare” funzionano sempre (ve lo dice uno che ha scritto per 10 anni le guide “Passo a passo” della rivista Computer Idea). Esempio: Come abituare i vostri figli ad ascoltare.
  5. Sfidare i lettori. Esempio: Quanto siete intelligenti? Rispondete a questo quiz e lo saprete.
  6. Usare la parola “perché”. Un titolo come “Le nostre barche non affondano mai” è scialbo, mentre “Perché le nostre barche non affondano mai” è più intrigante.
  7. Usare nel titolo le parole “io” e “me”. Sebbene nella gran parte dei casi il titolo debba essere “lettore-centrico”, in alcune circostanze metterci la faccia, si fa per dire, può risultare molto efficace. Esempio: “Hanno riso quando mi sono seduto al pianoforte, ma quando ho iniziato a suonare…”
  8. Usare la parola “rivoluzionario”. Ci sono delle parole che accendono qualcosa nella mente del lettore. Esempio: “Il metodo rivoluzionario per sconfiggere la calvizie”.
  9. Usare la domanda “chi altro?” È dare per scontato che la soluzione proposta sia già stata collaudata. Esempio: “Chi altro è riuscito a pagare meno tasse con questo metodo?”
  10. Enfatizzare il beneficio. Questa categoria è la logica evoluzione della numero 1, solo che in questo caso si calca ancora di più la mano sul risultato, sul “guadagno” per il lettore. Esempio: “Smettila di dormire da cane, dormi da re”.

Tengo corsi di Web writing, dove parlo anche dei titoli. Per informazioni sui corsi o per organizzare un corso personalizzato presso la tua azienda/associazione/biblioteca, scrivimi.