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A che età arriva il primo smartphone?

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In un nuovo studio pubblicato dal Centro di ricerca Benessere Digitale dell’Università Bicocca di Milano, intitolato “L’età dello smartphone. Un’analisi dei predittori sociali dell’età di accesso al primo smartphone personale e delle sue possibili conseguenze nel tempo”, si trovano molti dati e indicazioni pratiche per i genitori che sono alle prese con la fatidica domanda: quando possiamo dare il primo smartphone?

Solitamente gli esperti – soprattutto medici, psicologi, pedagogisti, ma anche scienziati sociali nel campo della comunicazione – non sono propensi a dare una risposta netta a questo tipo di domande: lasciano che siano i genitori a rendersi conto di quando il proprio figlio, o figlia, sia in grado di gestire il device. Ma la domanda rimane, anche a tutti i miei incontri pubblici con mamme e papà. Per dare una risposta servivano i dati e finalmente, grazie alla ricerca della Bicocca, li abbiamo.

La ricerca

Il progetto “Benessere Digitale – Scuole”, co-finanziato da Università di Milano-Bicocca e Fastweb (del 2018), ha coinvolto 3600 ragazzi e ragazze delle seconde classi di 18 scuole secondarie di secondo grado delle province di Milano e Monza-Brianza. Sono stati usati dei questionari con informazioni sull’età in cui hanno ricevuto il loro primo smartphone, la percezione di uso problematico di questo strumento e il loro grado di soddisfazione generale per la propria vita, attraverso scale riconosciute a livello internazionale. È stata poi testata la loro competenza digitale.

I risultati della ricerca

I risultati della ricerca mostrano come l’età di arrivo dello smartphone vari a seconda delle diverse caratteristiche personali e socio-demografiche prese in esame.

Ecco che cosa ci dice il grafico:

  • La maggioranza degli studenti intervistati ha ricevuto il primo smartphone personale a 11 anni (28,7%) o a 12 (29,2%).
  • L’arrivo più precoce riguarda invece il 21% dei casi, che dichiara di averlo ottenuto a un’età inferiore agli 11 anni (13% a 10 anni e 8,4% a 9 anni o meno).
  • Gli studenti che hanno ottenuto lo strumento tardivamente, ovvero a 13 anni o più, rappresentano complessivamente il 20,6 % del campione.

Un paio di considerazioni sulle differenze di genere:

  • le ragazze ricevono lo smartphone un po’ più precocemente (il 9,1% delle ragazze lo ottiene, infatti, a 9 anni o meno, contro il 7,5% dei ragazzi).
  • Solo il 18% delle ragazze lo riceve da 13 anni in poi, contro il 23% dei ragazzi.

La ricerca evidenzia anche un’influenza del titolo di studio dei genitori: il 12% dei genitori in possesso di licenza media consegna lo smartphone ai propri figli a 9 anni o prima, questo avviene solo per l’8% dei genitori con istruzione secondaria di secondo grado e per il 7% di quelli con la laurea. Parliamo quindi di un “digital divide rovesciato”. Altre ricerche italiane avevano già messo in luce come nelle famiglie con meno risorse socio-culturali fossero maggiormente presenti alcune tecnologie costose come le consolle per videogiochi e gli abbonamenti alle TV a pagamento.

Le conseguenze dell’arrivo precoce dello smartphone

L’età precoce di arrivo del dispositivo è associata a risultati scolastici inferiori, oltre che all’uso eccessivo dello smartphone. Per esempio si osserva un salto nelle performance nel test di italiano tra chi riceve lo smartphone a 10 anni o meno e chi lo riceve dopo. Gli studenti che a 15/16 anni mostrano le performance migliori sono coloro che ricevono il proprio smartphone dopo gli 11 anni. La stessa cosa si rileva per i test di matematica e, paradossalmente, si rileva anche per le competenze digitali e l’uso della tecnologia per studiare.

L’arrivo precoce dello smartphone sembra essere associato sia ad una maggiore pervasività dello strumento negli anni a seguire, sia ad una maggiore esposizione al rischio di “smartphone addiction”, la dipendenza dal telefonino.

Infine non si registrano variazioni degne di nota nella soddisfazione complessiva per la propria vita al variare dell’età di arrivo dello smartphone. Emerge invece una relazione negativa tra l’età di accesso allo smartphone e la soddisfazione degli intervistati per la propria vita scolastica.

Leggi l’intero report

età-smartphone-ricerca-bicocca-2020

 

L’intervista per Radio Capital

L’articolo per giovani genitori

 

 

 

Smartphone in ferie: intervista allo sharing daddy Facchini

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Si definisce lo “sharing daddy”, ma tiene molto all’uso consapevole della tecnologia in famiglia e all’uso virtuoso di smartphone e schermi per stimolare la creatività dei ragazzi, senza danneggiarli o metterli in imbarazzo. All’anagrafe è Francesco Facchini e di mestiere fa il formatore sul tema del mobile journalism (è da anni che non usa un PC, ci tiene a sottolineare).
Ho intervistato Francesco per questa nuova puntata del podcast, mentre girava per le vie di Milano e proprio alla vigilia della partenza per le vacanze con il figlio, lo sharing kid. Mi ha raccontato di come userà lo smartphone con il ragazzo di sei anni durante il soggiorno in Slovenia, per esempio creando dei filmati con una app che si chiama Stop Motion Studio (qui disponibile per iOS). Poi ha dato alcune dritte per l’uso corretto e virtuoso della tecnologia in famiglia: un suo suggerimento, tra gli altri, è quello di creare uno scrigno digitale delle creazioni e dei file riguardanti i figli, senza condividerli (è contro quindi allo sharenting), e di consegnarli ai ragazzi quando avranno l’età per creare una loro identità digitale. Dal punto di vista degli strumenti, oltre a Stop Motion, ha suggerito di creare delle storie, girare i video e montarli usando iMovie in ambiente Apple e KineMaster in ambiente Android.
Per seguire Francesco puoi collegarti al suo sito personale sul mobile journalism, a Sharing Daddy oppure sostenere la sua attività professionale su Patreon.

Ascolta l’intervista direttamente qui:
Ascolta “#16 Come usare lo smartphone in vacanza: intervista allo sharing daddy Francesco Facchini” su Spreaker.

Dipendenza da smartphone: 15 statistiche incredibili

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Sebbene siano poche le persone che soffrono di una vera dipendenza da smartphone (per capirci: il livello è quello del ricovero), molti soffrono invece di nomofobia (“no mobile fobia”: paura di restare senza connessione in mobilità) e tutti noi stiamo cambiando le nostre abitudini di vita, sociali e lavorative, per colpa dei telefonini.

In un bel libro, Digital Detox di Alessio Carciofi (Hoepli), si citano tantissime statistiche riguardo a questo fenomeno. Vi segnalo le dieci più impressionanti (e alcune fonti di approfondimento).

1) Veniamo interrotti ogni 180 secondi. Le distrazioni consumano il 28% della nostra giornata.

2) Lavoriamo due ore in più per recuperare il tempo perso tra notifiche, gruppi WhatsApp, mail e conferenze call.

3) L’80% degli americani tra i 18 e i 44 anni controlla lo smartphone appena svegli, come prima azione della giornata. In Italia la percentuale è del 70%, mentre sono il 63% quelli che lo guardano prima di addormentarsi. Il 68% degli italiani guarda lo smartphone anche se non ci sono notifiche (per approfondimenti: Rapporto Coop 2016).

4) Uno studio Microsoft ha rilevato che, una volta interrotti da una notifica email, i lavoratori impiegano 24 minuti per tornare proficuamente al compito sospeso.

5) Uno studio della University of San Diego ha rivelato che l’81% degli utenti interrompe le conversazioni o i pasti per controllare il dispositivo.

6) Una ricerca Cisco rivela che 3 utenti su 5 trascorrono più tempo libero con lo smartphone che con il proprio coniuge.

10) Nove persone su dieci soffrono della sindrome della vibrazione fantasma (fonte Ansa).

11) Non riusciamo ad allontanarci dallo smartphone per più di 20 centimetri.

12) Negli usa 1000 persone sono rimaste ferite perché camminavano a testa bassa con il cellulare.

13) Il 40% delle cause di separazione e divorzio è causato da WhatsApp, usato come prova dell’infedeltà (fonte: Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani, vedi articolo su Il Giorno).

14) Un utente su tre controlla WhatsApp 12 volte all’ora, ogni cinque minuti (fonte: The social Science Journal, vedi articolo Ansa).

15) Tre incidenti stradali su quattro sono causati da distrazione, sempre più per colpa dello smartphone. Guardare il telefono vuol dire distrarsi, e guidare bendati, per 10 secondi, 110 metri. Dati confermati dal rapporto 2017 sulla sicurezza stradale di Dekra Italia: il 90% dei sinistri è colpa dei comportamenti sbagliati delle persone, riconducibili, nell’80% dei casi, all’uso dello smartphone (fonte ACI).

Consiglio vivamente di vedere questo impressionante video interattivo:

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Di seguito trovi le informazioni sul mio corso per le scuole superiori sul tecnostress e sul benessere digitale:

Il primo smartphone: a che età?

[Articolo pubblicato sulla rivista e sul sito di Giovani Genitori]

L’Italia è al primo posto in Europa per diffusione di telefoni cellulari e i bambini lo usano in età precocissima. I pediatri dicono che bisogna limitarne l’uso e non regalarlo prima dei 10 anni di età, ma da quel momento tutto pare permesso, al punto che è raro trovare undicenni o dodicenni senza smartphone. Sul cellulare la prima app che scaricano è Instagram (snobbano Facebook per non incrociare noi genitori e i nonni o gli insegnanti),anche se l’età minima d’uso sarebbe di 13 anni. E immediatamente dopo arriva WhatsApp, dove l’età minima sarebbe di 16 anni (lo sapevate?). Nelle scuole elementari molti bambini di 9, 10 anni hanno già in tasca questi strumenti potentissimi. È un bene o un male? Esiste una età minima per dotare i ragazzi di un telefonino?

Belle domande

Il fatto che i bambini siano online in età sempre più precoce è un dato di fatto. Lo dicono i dati: la più autorevole fonte europea sul tema, la ricerca EU Kids Online (www.lse.ac.uk/media@lse/research/EUKidsOnline), dimostra che negli ultimi anni ci sia stato un boom delle connessioni a Internet anche per i bambini sotto gli 8 anni. La maggioranza dei piccoli tra i 6 e gli 8 anni ha accesso alla rete. E questo ormai dal “lontano” 2007. Chiunque tra noi adulti ha sperimentato la miglior confidenza che i “nativi digitali” hanno nell’uso delle interfacce touch di smartphone e tablet. Il problema è che spesso mancano di competenze. Per esempio, non sanno cosa sia la netiquette, vale a dire non conoscono le regole minime di buon comportamento nelle interazioni in rete.

Come si connettono?

A detta di uno dei maggiori esperti italiani del tema, Paolo Ferri: “I nativi considerano le tecnologie digitali come elemento naturale del loro ambiente di vita. Fin da piccoli si relazionano con la tecnologia attraverso il gioco e, a volte, per prove ed errori costruiscono da soli i propri giochi senza consultare nessun manuale e senza nemmeno saper leggere, personalizzando la tecnologia secondo le proprie esigenze, come fanno con i Lego”. I nativi usano per lo più dispositivi touch e considerano i notebook scomodi e ingombranti. Del resto anche in alcune scuole si usano già i tablet ed esistono decine di migliaia di app rivolte direttamente alla prima infanzia. Non siamo ai livelli della Norvegia, dove la metà dei bambini tra i 3 e i 4 anni usa un tablet e il 25% uno smartphone, ma la percentuale di nativi schermodotati sta aumentando notevolmente anche da noi.

Valutiamo la maturità

Non abbiamo ancora risposto alla domanda se esista o meno un momento giusto per dotare i bambini di uno smartphone. Perché una risposta non c’è. Un altro grande esperto del tema bambini e tecnologia, Alberto Pellai (nella foto), sottolinea che “non esistono linee guida di pediatri o psicologi in questo senso; il momento più indicato è quello dell’inizio della scuola superiore: da quell’età i ragazzi e le ragazze sono capaci di essere autonomi nell’utilizzo e hanno anche sviluppato la capacità di proteggersi da una certa impulsività che potrebbe danneggiarli”.

Che “digital parent” sei?

L’età giusta, possiamo ragionevolmente dire, dipende dalla sensibilità dei genitori e dalla maturità dei figli. La ricercatrice Alexandra Samuel ha individuato tre categorie di approccio al digital parenting: ci sono i “digital enablers”, che pongono pochissime restrizioni su come i bambini usano i dispositivi; ci sono i “digital limiters” che cercano in modo attivo di limitare l’uso dei dispositivi da parte dei bambini; ci sono i “digital mentors”, che tentano attivamente di partecipare all’utilizzo dei dispositivi assieme ai figli.

Proibire a prescindere non è mai stata una strategia vincente, quindi il trucco sta nell’uso condiviso dello strumento. Alberto Pellai mette in guardia dai pericoli dell’uso di queste tecnologie (li conosciamo: contenuti inappropriati, bullismo, sexting e via dicendo) sottolineando l’importanza del ruolo del genitore come educatore, anche se papà e mamma non sono particolarmente ferrati in tema tecnologico.

Supervisione e buon esempio

Anche se non siamo dei maghi del computer, possiamo essere ottimi “digital mentors”. Il nostro compito sarà supervisionare, dare il buon esempio e soprattutto condividere l’uso degli strumenti. Possiamo chiedere come si usano le chat di WhatsApp e magari imparare alcune regole di base che i ragazzi conoscono benissimo e tanti genitori no (vietato l’off-topic, niente catene di sant’Antonio, distinguere sempre tra quel che è pubblico e quel che è privato).

Rispettiamo i loro confini: possiamo chiedere di avere accesso al loro cellulare, ma dobbiamo anche dare fiducia e non abusare dello strumento per soddisfare le nostre curiosità, mettendoli in difficoltà o in imbarazzo (avrà o no la fidanzata? Avrà dato il primo bacio?). Incoraggiamoli a diventare adulti che sanno come comportarsi online, in modo sano e responsabile. In ogni caso, sottolinea Pellai, la strategia migliore è sempre la stessa: parlare, parlare, parlare.

I servizi di protezione

Fiducia, quindi. Ma i rischi ci sono, e sono concreti: quindi è bene lasciare libertà ai propri figli ma in un ambiente protetto. Si possono usare, anche sui telefonini come sui pc, delle funzioni di parental control, per consentire l’accesso a contenuti e modi di utilizzo appropriati. Le funzioni di parental control consentono di scegliere le impostazioni che sono appropriate sia per un adolescente che per un bambino più piccolo. È possibile agire su differenti categorie di contenuti. Per esempio, i contenuti relativi a siti di appuntamenti, giochi d’azzardo, droghe, violenza o pornografia sono bloccati di default per i minorenni di qualunque età. È possibile anche porre dei limiti temporali all’uso degli strumenti, e anche dei “limiti temporali selettivi”: per esempio si può scegliere di consentire l’accesso a Instagram solo per un’ora al giorno e non porre alcun limite a siti utili per lo studio, come Wikipedia.

Kit per stare al sicuro

Anche se il 99% del tempo i ragazzi usano il telefonino per Internet, non sottovalutiamo il problema delle telefonate in entrata. Le chiamate di determinati numeri possono essere inserite in una blacklist e quindi bloccate in automatico, senza possibilità di lasciare un messaggio in segreteria. I genitori possono inoltre ottenere l’accesso alla lista di chiamate bloccate che sono state ricevute. Esistono anche funzioni di antifurto, che permettono di localizzare un telefono smarrito o rubato, oppure quelle app enormemente diffuse negli Stati Uniti che permettono al genitore di localizzare la posizione del figlio.

Quali sono gli strumenti che fanno tutto questo? Il primo da citare è Spazio Bimbi di Kiddoware, disponibile solo per Android (gratis), perché permette di limitare facilmente l’accesso allo smartphone o alle app, tramite PIN, creando profili personalizzabili. Altra app gratuita consigliata è Net Nanny (per iOS e Android). Molti produttori di smartphone (vedi, tra gli altri, Samsung che fornisce funzionalità come il blocco dello spegnimento del dispositivo) e quasi tutti gli operatori di telefonia includono servizi di sicurezza, che spesso gli utenti non usano semplicemente perché non sanno di averli. In altri casi esistono soluzioni ad hoc degli operatori come nel caso, per esempio, di Tim Protect (protect.tim.it): soluzione di sicurezza a tutto tondo offerta da Tim e sviluppata da F-Secure, che include, tra gli altri, anche un servizio di parental control. Vodafone, a sua volta, propone Smart Tutor, app che consente ai genitori di scegliere i numeri di dati con cui possono entrare in contatto i propri figli, selezionare insieme a loro le app più adatte, evitare che la prole abbia distrazioni nei momenti in cui deve concentrarsi, grazie alla possibilità di limitare le funzioni a una determinata fascia oraria e bloccare i contatti indesiderati.

Due libri da leggere

Se siete nella fase in cui i ragazzi cominciano a usare lo smarphone, procuratevi questi due libri: Paolo Ferri, “I nuovi bambini” (BUR, 2014) e “Tutto troppo presto” di Alberto Pellai (De Agostini, 2015). Quest’ultimo affronta anche un tema scottante e specifico: l’educazione sessuale dei ragazzi nell’era di smartphone e tablet. Dell’autore potete anche consultare il blog www.tuttotroppopresto.it.

Sexting: che cos’è e come prevenirlo

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Il tema “nativi digitali e tecnologia” mi è molto caro, per lavoro e in quanto genitore (seppure le mie bimbe siano piccole). Anche se, apro e chiudo parentesi, sulla questione “nativi digitali”, sulle competenze dei ragazzi che non sanno nemmeno cosa sia una mail, ci sarebbe da discutere. Ragazzi, preadolescenti e adolescenti, vivono lo smartphone come una protesi, e i problemi sono all’ordine del giorno. Anche se spesso mi chiamano nelle scuole per “alfabetizzare” e prevenire, a volte invece la frittata è già stata fatta. Episodi di sexting, adescamento, cyberbullismo, dipendenza da pornografia online si stanno diffondendo anche nelle secondarie di primo grado: le medie, per intenderci. Sì, a undici anni hanno tutti lo smartphone e sì, a quell’età sono tutti su (almeno) un social o usano un sistema di messaggistica (per me WhatsApp è un social). Anche se, a dirla tutta, non potrebbero usare quegli strumenti: quanti di voi sapevano che l’età minima per l’uso dei social è 13 anni ma di WhatsApp 16?

Fatta questa lunga introduzione, vengo al punto: era tempo che cercavo il libro “definitivo” sul tema “educazione sessuale nell’era di Internet”. Finalmente l’ho trovato, e lo consiglio davvero, di cuore, a tutti: si chiama “Tutto troppo presto” (De Agostini) ed è stato scritto da Alberto Pellai, terapeuta dell’età evolutiva (suggerisco anche di seguire il suo blog www.tuttotroppopresto.it). È un libro molto interessante, chiarissimo, pieno di casi di studio; si trovano persino delle tracce di conversazioni da fare con i propri figli sul tema, magari dopo aver visto uno dei film o dei video suggeriti alla fine di ogni capitolo. Un testo anche molto pratico, quindi.

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I temi trattati sono diversi e tutti caldissimi. Ma quello che più mi interessa in questa sede è il sexting. Di che cosa parliamo, che cos’è il sexting? La definizione è grosso modo questa: nata dalla crasi delle parole inglesi sex e texting, la parola indica “l’atto di condividere messaggi, foto o video a contenuto social più o meno esplicito, prodotti attraverso cellulare, computer, tablet, palmari e scambiati via chat, social network e programmi di messaggistica istantanea”. Di solito il meccanismo è questo: lui e lei si mettono insieme. A tredici/quattordici anni sembrano vivere la storia della vita, che dura… un mese. Lui chiede a lei delle foto osé. Lei decide di mandarle perché si fida e perché, in alcuni casi (come fa notare Pellai), si tratta di un surrogato del sesso, a volta una palestra per misurarsi con l’immagine del proprio corpo sessuato. Lei lascia lui, e lui si vendica inviando le immagini ad amici, alla classe (se i video sono a sfondo sessuale, si parla di “revenge porn”). Oppure lui condivide le immagini con gli amici per vantarsi. A lei crolla il mondo, con conseguenza psicologiche e sociali devastanti; in alcuni casi si è arrivati al tentativo di suicidio.

Detto cos’è il sexting, come prevenirlo? La ricetta di Pellai è sempre la stessa per tutti questi fenomeni: bisogna parlare con i ragazzi. Nel caso specifico bisogna fargli capire che il sexting è un autogol (l’immagine che lascia lo smartphone è persa, non se ne avrà mai più il controllo), rovinerà la reputazione anche per il futuro e, cosa che sottovalutano tutti i ragazzi, può avere conseguenze penali. Proprio così: possedere immagini a sfondo sessuale di minorenni può esporre al rischio di un procedimento penale, secondo la legge contro gli abusi sui minori e la pedopornografia. Se le immagini vengono distribuire all’insaputa del soggetto ritratto o ripreso, il reato si aggrava: non si parla più solo di detenzione, ma anche di distribuzione.

Insomma, Pellai suggerisce di parlare apertamente con i ragazzi di sexting, del perché i giovani lo fanno: anche solo attirare l’attenzione, mettersi in mostra, manifestare interesse per – o fiducia in – qualcuno. Ma soprattutto occorre spiegare bene come comportarsi se ci si trova in una situazione del genere: occorre sempre confessarlo a un adulto, genitore o insegnate, qualcuno di cui ci si fidi.

Prima ho accennato al fatto che Pellai suggerisce di vedere con i ragazzi dei film o video, e di parlarne con loro. In merito al sexting indica questo filmato, Exposed, distribuito gratuitamente su YouTube (in inglese ma con i sottotitoli in italiano):

Questo articolo è stato di ispirazione per una puntata del mio podcast “Genitorialità e tecnologia”, che puoi ascoltare direttamente qui:
Ascolta “1×03 Sexting: 10 cose che devi sapere” su Spreaker.

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