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Politici italiani su LinkedIn, il caso Tajani: la mia intervista per Affaritaliani.it

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Il 12 agosto 2022 sono stato intervistato da Affaritaliani.it, in piena campagna elettorale, per parlare dell’uso che fanno di LinkedIn i politici italiani (“La campagna elettorale corre sui social: LinkedIn trascurato, ma non da Tajani“).

Mi sono concentrato sul caso di Tajani, ecco il mio contributo.

Affaritaliani.it ha chiesto un parere sul tema al comunicatore digitale Gianluigi Bonanomi, che forma aziende, professionisti ed enti sull’uso strategico di LinkedIn: “L’utilizzo di questa piattaforma da parte dei politici italiani è particolarmente controverso. Sono pochi gli esempi virtuosi. Tra questi segnalo Antonio Tajani. Il suo profilo ha tre caratteristiche vincenti:

  • presenta buone immagini (la parte visuale sui social è sempre più importante);
  • è tutto sommato completo;
  • infine, è attivo, con un buon ritmo in termini di post”.

Gianluigi Bonanomi, che è anche autore del libro Il candidato digitale: L’arte della campagna elettorale nell’epoca dell’algocrazia e del post-Covid (con il vicedirettore di Affari Lorenzo Zacchetti), dà anche delle indicazioni pratiche: “Stando sul caso pratico di Tajani, il suo profilo per risultare perfetto avrebbe bisogno di queste altre tre cose:

1) Ulteriore completamento del profilo, segnalando competenze e progetti;

2) Uso strategico degli hashtag nei contenuti cosa spesso trascurata dai politici, che invece dovrebbero ‘cavalcare’ i temi del momento (per esempio la #flattax);

3) Puntare di più sui video, tipologia di contenuto che tutte le piattaforme social ora bramano.

Sono molti, viceversa, i politici che hanno aperto il profilo e non lo stanno sfruttando al meglio. Anzi, in alcuni casi i profili si rivelano boomerang comunicativi”.

Il corso sui social per la PA

Ho parlato abbondantemente di questi temi (LinkedIn per la pubblica amministrazione compreso) nel videocorso che ho registrato per Primopiano: “Web e social per la PA“.

[VIDEO] Perché i prezzi finiscono con il 9?

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In questo video parlo dell’effetto ancoraggio tirando in ballo i prezzi che finiscono con il 9, l’età di Pippo Baudo, lo champagne nei menù dei ristoranti e le offerte sui social “a partire da”…

Buona visione:

Cultura e digitale: come i classici e il pop aiutano a capire Web e social

Per vedere altri video su come classici e cultura pop possono spiegarci il mondo del digitale, fai clic qui.

Perché le foto social di Trussardi fanno schifo? 3 ipotesi campate per aria

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Alla fine del 2021 ho scoperto in alcuni gruppi di discussione dedicate alla comunicazione digitale delle conversazioni relative alla pagina Facebook di Trussardi. Il tenore delle opinioni riguardo i post, e in particolare le foto dei prodotti, era irrispettoso, come se si stesse discutendo di un lavoro di qualità infima, fatto dal classico cugino e senza budget. Mi pareva esagerato, allora sono andato a controllare. In effetti le foto erano un pugno nell’occhio:

Il tenore dei commenti era questo:

Lo stile comunicativo di Trussardi

Lo stile usato sui social da Trussardi contrasta con il posizionamento dell’azienda e con le dichiarazioni di Luna Carlotta Colferai nel 2018. L’ex Digital Marketing & Content Manager di Trussardi dichiarava:

Quindi c’è qualcosa che non va: quelle foto e quei post non trasmettono certo i valori della ricercatezza e della qualità.

La campagna social di Trussardi: 3 ipotesi campate per aria

Tra Natale 2021 e capodanno 2022 mi sono divertito a realizzare questo video dove analizzo la comunicazione di Trussardi e lancio tre ipotesi:

  1. Differenziazione
  2. Effetto nostalgia
  3. Provocazione

Nel video parlo, tra le altre cose, di vinili, shitposting, una vecchia campagna Diesel e altro ancora. Puoi guarda il video qui:

Come scrivere una social media policy aziendale per la comunicazione digitale e i social [esempi]

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Essere sui social network (anche se dovrei dire: “essere social”) e sul Web è fondamentale per qualsiasi azienda o brand: è importante farlo in modo efficace e trovare gli strumenti adatti e stabilire una strategia social mirata. L’immagine di un’azienda è definita dallo stesso brand e anche dagli stessi dipendenti: la comunicazione diventa fondamentale. Per farlo in modo efficace sui vari Facebook, Instagram, Twitter e compagnia bella (persino TikTok e Twitch!) è importante conoscere tutte le funzionalità offerte da queste piattaforme e considerare non solo benefici e vantaggi, ma anche i possibili rischi causati da una pessima gestione mediatica. Per tutelarsi dai cosiddetti danni collaterali, la maggior parte delle aziende presenti sui canali social ha predisposto una “Social Media Policy”: una serie di regole che i dipendenti devono seguire quando utilizzano una di queste piattaforme di comunicazione.

Anche la Camera dei Deputati ha la sua policy pubblica:

Che cos’è una Social Media Policy?

Si tratta di un documento indirizzato al personale della tua azienda in cui vengono stabilite le cosiddette “regole d’ingaggio” per quanto concerne l’uso corretto dei social media (sia internamente, sia esternamente). Dai comportamenti da tenere sul web fino ai commenti o ai post da scrivere, la Social Media Policy non è altro che un prezioso vademecum che aiuterà te e il tuo personale a gestire il delicato rapporto con i clienti in Rete. Di solito le aziende hanno una Social Media Policy interna per regolare la comunicazione tra l’azienda e i suoi stessi dipendenti e una esterna per stabilire il comportamento da tenere con i propri clienti/utenti in Rete.

Per esempio il Pescara Calcio presenta, contrapponendole, da una parte la policy interna e dall’altra quella esterna:

Insomma, un manuale di comportamento con tanto di indicazioni, norme e persino sanzioni da condividere con il personale aziendale: tenere un buon comportamento sui canali social è fondamentale per evitare guai ed errori potenzialmente devastanti per il proprio business.

Come scrivere una Social Media Policy

Scrivere una Social Media Policy è il primo passo che un’azienda deve compiere: è importante regolare la comunicazione tra l’azienda e i suoi dipendenti. Innanzitutto, devi specificare a cosa serve il documento, a chi è rivolto e chi intende tutelare. Una SMP interna, per esempio, deve innanzitutto stabilire e definire in modo chiaro il comportamento che il personale aziendale deve tenere sui social network.

Per un Social Media Manager (o per chi scrive un documento di questo tipo, a volte il responsabile HR) è importante essere chiaro e preciso (deve essere letto e compreso da tutti) nel momento in cui si trova a spiegare un determinato argomento o una particolare norma: è fondamentale specificare cosa ci si aspetta dal proprio dipendente o dal cliente in ogni possibile situazione. Dulcis in fundo, devi ricordare a tutti che il documento che stai redigendo ha valore legale: scrivilo in un linguaggio coerente con quello della tua azienda ed evita l’uso di termini burocratici o estremamente prolissi (vedi il “legalese”).

La prima regola da seguire è far capire ai tuoi dipendenti a cosa serve una “Social Media Policy” interna e quanto sia importante per la tua azienda il rispetto di tali norme comportamentali, onde evitare inconvenienti spiacevoli e possibili problemi. Devi individuare le principali norme di comportamento che i tuoi dipendenti/collaboratori devono osservare nel momento in cui accedono ai social network tramite un account aziendale oppure uno personale, quando si parla direttamente o indirettamente dell’attività svolta o del ruolo ricoperto e così via.

Per esempio, se la tua azienda è presente su tutti i principali social media è importante stabilire in modo chiaro e preciso le priorità e le finalità di ogni canale utilizzato. Se utilizzi Facebook per avere un’interazione migliore con i tuoi clienti/utenti, durante una campagna mediatica vanno stabilite delle norme ad hoc. Se con Twitter gestisci la comunicazione ufficiale della tua azienda hai bisogno di altre regole, idem su un social network come LinkedIn, dove ti trovi a interagire con un pubblico di professionisti e spesso con i dipendenti stessi della tua azienda.

ATM presenta LinkedIn così:

Una finestra rivolta a professionisti e al mercato del lavoro, che vuole dare visibilità alle opportunità di carriera e raccontare l’Azienda a 360 gradi.

Inail parla così di YouTube:

È lo strumento per veicolare i contenuti relativi alla multidimensionalità delle funzioni svolte dall’Inail attraverso la forza comunicativa dell’immagine in movimento, dare visibilità agli eventi, diffondere e supportare le campagne informative, valorizzare l’archivio storico dell’Istituto e i progetti della sala multimediale e sperimentare il live streaming.

Ogni social network va gestito con un’attenta pianificazione e in modo professionale nella consapevolezza che nel web non esiste una vera e propria separazione tra pubblico e privato: un utilizzo scorretto, infatti, può danneggiare anche gravemente l’immagine e la reputazione dell’azienda (e delle persone che ci lavorano).

Una sospensione o una cancellazione del profilo aziendale può avere ripercussioni sulla crescita dell’azienda, mentre l’uso scorretto di materiale tutelato dal copyright o un linguaggio non appropriato possono portare a cause legali con richieste di risarcimento e così via. La tua Social Media Policy deve essere chiara e precisa e, soprattutto, deve tutelare tutti: è responsabilità di tutti i dipendenti rispettarla. È importante incoraggiare i propri dipendenti/collaboratori a essere sempre responsabili, rispettosi e professionali sui social media, indipendentemente da quello che c’è scritto nella policy aziendale.

Va detto, se necessario, anche a cosa NON servono i canali di comunicazione. Ecco l’esempio di Roche:

Effetti indesiderati o eventi avversi relative a prodotti Roche
Gli utenti che ritengono di aver avuto un effetto indesiderato o una reazione dopo l’assunzione di un prodotto Roche, sono invitati a riferirlo immediatamente al proprio medico, a un farmacista o a un altro operatore sanitario.
Vi ricordiamo che questa pagina non è deputata alla segnalazione di eventuali effetti indesiderati e/o eventi avversi.

Lo stesso fa Iren:

Assistenza clienti

Attualmente i canali social non possono essere considerati canali di assistenza paragonabili ai contact center del Servizio Clienti del Gruppo.

Eventuali richieste ricevute attraverso i diversi sistemi di messaggistica integrata delle rispettive piattaforme, saranno reindirizzate ai canali opportuni di contatto.

Le 5W della Social Media Policy: l’esempio del Comune di Monza

Il Comune di Monza ha pubblicato online in PDF la sua social media policy. Vi si trova anche un paragrafo dove, usando la tecnica delle 5 W del giornalismo, racconta il team che gestisce i social:

  • CHI è il social media manager
  • COME: quali sono le regole
  • COSA: i contenuti
  • QUANDO: gli orari del social media team
  • DOVE: la sede di lavoro del team

Vi si trovano anche delle tabelle molto chiare. Questa, per esempio, riguarda i temi da trattare (e da non trattare!) online:

Cosa fare o non fare sui social network

È sempre importante specificare in modo chiaro cosa fare o non fare su un canale social: per esempio, è possibile mettere un “mi piace” a un prodotto o condividere un articolo di un sito? Devi stabilire quali azioni i tuoi dipendenti e collaboratori possono fare: per esempio possono pubblicare una foto scattata in ufficio? Possono commentare un prodotto/servizio aziendale e in che modo? Molto frequente: i dipendenti, per esempio i commerciali, possono parlare dei clienti, per esempio raccontando casi di successo?

Prepara una lista delle cose che possono fare in Rete e sulle piattaforme social che utilizzano e cerca di far capire loro quanto sia importante rispettare certe regole per il bene dell’azienda e per la loro stessa carriera. Rendere “partecipi” i tuoi dipendenti è una delle chiavi per una buona “Social Media Policy” interna: avere dei “brand ambassador” può aiutarti in questo processo.

Per quanto riguarda i comportamenti da evitare in Rete, devi stabilire anche qui una serie di normative precise che il tuo personale deve seguire. Qualcuno ha postato una fake news sulla tua azienda o una serie di commenti negativi su un tuo prodotto: come si devono comportare i tuoi collaboratori? C’è stato un uso improprio del materiale aziendale, che cosa devono fare i tuoi dipendenti?

Se gestisci un account aziendale devi tenere sempre un comportamento corretto, professionale ed empatico con i tuoi utenti/clienti: è importante avere un atteggiamento positivo, saper ascoltare critiche e commenti negativi e, soprattutto, dare risposte in tempi rapidi rispettando la modalità previste dalla social media policy interna. E, soprattutto, devi evitare litigi e non rispondere mai alle provocazioni.

La pubblicazione dei contenuti

Un altro aspetto che devi considerare riguarda la pubblicazione di contenuti e materiale di vario (foto, video, testi e altro) che devono rispondere a una serie di criteri prestabiliti. Questo vale per la pubblicazione di una semplice notizia o per un link a una pagina istituzionale e così via. Chi pubblica un qualsiasi tipo di contenuto deve farlo nel completo rispetto delle norme che regolano la privacy e il trattamento dei dati personali, deve verificare che non ci siano materiali aziendali o informazioni sensibili o che violino le leggi che regolano il copyright. Quindi, prima di pubblicare qualsiasi cosa su un canale istituzionale e privato, ricordati di verificare che i tuoi contenuti siano inattaccabili. Nel dubbio è meglio non pubblicare nulla: richiedi il parere di un social media manager nella tua azienda.

Per esempio nella sua Social Media Policy l’azienda Fenzi specifica:

Con la produzione e pubblicazione dei contenuti FENZI SPA promuove sui propri canali social contenuti testuali, fotografici e video, che nel momento della pubblicazione devono rispondere sempre a tutti i seguenti criteri:

  • diffusione di novità relative a progetti, eventi, servizi dell’azienda di concreta utilità per il target;
  • attualità della notizia a cui il contenuto social deve riferirsi, con testi e/o immagini che ne testimonino o l’accadere in tempo reale (es. un convegno, una conferenza stampa, una fiera, ecc.) o il realizzarsi in breve tempo (una scadenza, il lancio di un nuovo prodotto);
  • link a pagine del sito istituzionale o, dove esistenti, ai siti di progetto, dove si fa riferimento o si approfondisce il contenuto.

Il linguaggio

Il linguaggio che utilizzi deve essere contestualizzato allo stile del social network utilizzato. È ormai assodato che le dinamiche linguistiche utilizzate nei canali social sono diverse da quelle usate nei contesti reali, mentre l’abuso di neologismi è ormai una consuetudine. Ogni piattaforma è diversa e funziona in una determinata maniera e ha un proprio pubblico di riferimento: per ottenere dei buoni risultati devi prestare attenzione ad alcune cose e, soprattutto, ai dettagli. Per esempio, Twitter è uno strumento apprezzatissimo per la comunicazione aziendale (viene considerato l’agenzia stampa del mondo digitale) e per cinguettare al massimo devi sfruttare gli hashtag “#”, “concentrare” i tuoi messaggi in pochi caratteri (dai 140 caratteri degli inizi si è arrivati ai 280 attuali) e farli circolare velocemente. LinkedIn, invece, è la piattaforma professionale per eccellenza ed è stata sviluppata appositamente per permettere ai professionisti del settore di interagire tra di loro.

Quando pubblichi un contenuto per questo canale social ricordati di utilizzare un linguaggio professionale e serio. Una comunicazione sobria ti può aiutare a mettere in evidenza le competenze/qualità della tua azienda e ad ampliare la tua rete dei tuoi contatti e altro ancora. Con Facebook è richiesto uno stile più vicino al pubblico e un linguaggio semplice e “informale”. Un tono troppo confidenziale potrebbe essere persino eccessivo, soprattutto ora che il colosso di Menlo Park si sta orientando sempre di più verso il business mettendosi in competizione diretta con leader indiscusso del settore, sua maestà LinkedIn. Con Instagram invece devi puntare sui i contenuti “personali”, chiaramente accompagnati da un uso sapiente delle immagini e dei video e soprattutto degli hashtag. Con le “Instagram Stories”, infatti, la comunicazione è stata rivoluzionata ancora una volta e sarà più facile per te condividere la quotidianità in ufficio o in azienda.

Come utilizzare un account privato

Il dipendente/collaboratore è tenuto a rispettare le norme di comportamento previste nella policy interna, anche quando utilizza un account privato sui social media. Nel caso decidesse di rendere nota la propria attività lavorativa, il dipendente deve necessariamente specificare la qualifica rivestita all’interno dell’azienda (citando anche l’account istituzionale se disponibile) e ribadire che “le opinioni espresse hanno carattere personale”. In questo modo viene tutelata l’azienda e le persone che ci lavorano.

Chiaramente ogni dipendente può (dovrebbe!) condividere sui propri profili privati il materiale e i contenuti pubblicati sul sito istituzionale dell’azienda. Non può invece divulgare informazioni riservate della propria azienda o di terze parti e altro ancora.

Quando usa il proprio account privato deve evitare di diffondere messaggi minatori o ingiuriosi, commenti e dichiarazioni pubbliche offensive nei confronti della propria società o di alcuni membri. È tenuto a rispettare la privacy dei propri colleghi e a non divulgare foto, video o altro materiale multimediale senza l’esplicita autorizzazione dell’azienda e delle persone coinvolte.

Senza autorizzazione preventiva non può aprire blog, pagine o altri canali a nome della propria società o che trattino argomenti riferiti all’attività lavorativa svolta. È importante ribadire ancora una volta che i propri contenuti – anche se privati – una volta messi in Rete hanno una cassa di risonanza incredibile, e un semplice post può infatti raggiungere un numero elevato di persone attraverso retweet, commenti e like, alimentando il reato di diffamazione. Per risolvere la questione, puoi far inserire un apposito “disclaimer” nel profilo dei tuoi dipendenti per rendere più semplice la differenziazione tra un account personale e quello lavorativo.

La nota multinazionale fast food Mc Donald’s ha messo online la propria Social Media Policy. Riporto qui la parte che riguarda l’uso dei canali social personali:

Si invita i dipendenti a essere consapevoli dei seguenti aspetti quando utilizzano i Social Media, anche ad uso personale ma in situazioni in cui viene specificamente indicato il marchio McDonald’s :

  • Tutto ciò che viene pubblicato su internet può essere letto da manager, colleghi, partner commerciali, giornalisti, concorrenti, fornitori e dal pubblico in generale.
  • Invitiamo i dipendenti a pensare a quello che stanno scrivendo nello stesso modo in cui lo farebbero per comunicare con le persone che non conoscono personalmente.
  • In particolare, occorre tenere conto delle seguenti linee guida:
    • Non devono essere scaricate e/o pubblicate immagini offensive o inappropriate.
    • Non devono essere scaricati e/o pubblicati commenti offensivi o inappropriati.
    • Non devono essere pubblicati commenti offensivi o inappropriati su colleghi o clienti.
    • Ogni informazione che possa violare qualunque delle azioni e delle procedure di McDonald’s, non deve essere pubblicata.
    • Non si deve fare alcun riferimento a qualsiasi affiliazione a organizzazioni politiche.
  • Le informazioni riservate (informazioni finanziarie, lancio nuovi prodotti, attività di business in genere) o proprietarie di McDonald’s non devono mai essere divulgate. I termini e le condizioni applicabili ai dipendenti di McDonald’s già vietano questo in generale, e internet non fa eccezione a questa regola.
  • Qualora l’uso di canali di Social Media sia insito nel ruolo lavorativo del dipendente, l’uso personale dei Social Media deve avvenire esclusivamente nel suo tempo libero e non deve includere l’uso dell’indirizzo e-mail aziendale di McDonald’s (qualora il dipendente ne abbia uno).
  • I dipendenti non devono mai accedere né utilizzare qualsiasi sito web o servizio riprovevole o illegale utilizzando i dispositivi messi a disposizione da McDonald’s. L’Ufficio IT ha individuato i siti web cui il nostro sistema non permetterà l’accesso. Qualsiasi tentativo di accesso ai siti proibiti dal sistema è bloccato e l’utente riceverà un messaggio all’interno del browser che conferma che l’accesso è precluso. I dipendenti devono essere consapevoli che le pubblicazioni personali nei canali di Social Media possono restare visibili per tutti negli anni a venire.
  • Ai dipendenti è severamente vietato utilizzare i loghi e/o i marchi di McDonald’s in qualsiasi situazione personale senza la preventiva autorizzazione scritta da parte del team legale di McDonald’s.

L’uso dei sistemi di messaggistica istantanea

I sistemi di messaggistica  (WhatsApp, Telegram, Signal, Facebook Messenger solo per citare i più utilizzati) stanno diventando delle vere e proprie chat lavorative vale lo stesso discorso dei social network. Anche qui è importante trovare l’equilibrio tra l’utilizzo per motivi di lavoro e quello per scopo privati, soprattutto durante l’orario lavorativo.

È importante ricordare nella Social Media Policy interna che i messaggi scambiati in WhatsApp sono equiparabili a prove documentali e sono moltissimi i casi in cui le chat testuali o vocali usate nell’app di messaggistica di proprietà di Facebook sono state usate come prova in tribunale. Per questo motivo devi adottare una social media policy dettagliata per fornire al tuo dipendente tutte le informazioni su “cosa potrà fare e non fare” con l’account aziendale/privato, quali immagini condividere, quali amici aggiungere, come utilizzare i social network durante l’orario di lavoro e altro ancora.

L’importanza del “Tone of voice”

Quando rappresenti la tua azienda sui canali social è importante scrivere correttamente, rispettando tutte le regole ortografiche, morfologiche, sintattiche e fonetiche previste dalla grammatica italiana. Tra acronimi, sigle, neologismi e un uso smodato della terminologia inglese spesso è una missione impossibile…

Un altro aspetto da definire è il cosiddetto “Tone of voice” che si vuole dare alla comunicazione: lavorare nella pubblica amministrazione richiede un approccio di un certo tipo, nel settore privato un altro. Il dipendente si deve riconoscere nell’azienda/brand per cui lavora: quindi, oltre a scrivere in un italiano corretto e comprensivo devi scegliere uno stile/forma che rispecchi e sia coerente con quello tenuto finora dalla comunicazione della tua azienda.

Quindi, scegli uno stile che sia efficace e al tempo stesso efficace e che sia soprattutto chiaro. Il requisito essenziale di una buona social media policy è la chiarezza: deve essere facilmente comprensibile e memorizzabile e fugare ogni possibile dubbio, soprattutto per quanto riguarda il capitolo “sanzioni e provvedimenti”. Stabilire delle linee guida con quello che si può o non può fare è un’ottima base di partenza, così come avere un glossario o un’infografica/video in cui illustrare quali sono i social attivi nella tua azienda e altro ancora. Prima di far leggere a tutti i dipendenti la social media policy che hai scritto è consigliabile sottoporla al parere dell’ufficio legale, marketing, risorse umane e le altre istituzioni presenti nella tua azienda. Tutelare gli interessi del personale aziendale è fondamentale. Una volta ottenuto il benestare di tutte le parti in causa, puoi far leggere a tutti i dipendenti la social media policy che hai preparato.

Un esempio di Social Media Policy interna (PDF)

Unioncamere Emilia Romagna ha reso disponibile sul proprio sito il PDF della sua Social Media Policy interna. Eccolo:

Esempio_SOCIAL_MEDIA_POLICY_INTERNA_UnioncamereER.pdf

La video Social Media Policy di Xerox

Xerox ha caricato un video sul suo canale Youtube presentandolo così:

Se sei un dipendente o un terzista Xerox che pubblica notizie o informazioni su Xerox correlate al proprio lavoro su blog, forum, social network o qualunque altro genere di social media, queste linee guida sono per te. Queste linee guida si applicano inoltre a singoli consulenti e ad agenzie terze che lavorano per o a nome di Xerox.

Ecco il video (in inglese con sottotitoli in italiano):

Perché scrivere una Social Media Policy Esterna?

Oltre a scrivere una Social Media Policy interna devi prepararne una esterna per regolamentare il rapporto con la clientela e la community. Con lo sviluppo dei social media molti utenti comunicano con le aziende attraverso i loro canali, per qualsiasi tipo di esigenza. La social media policy esterna è fondamentale per regolamentare il rapporto fra gli utenti e chi gestisce le piattaforme social dell’azienda. Si tratta di una relazione delicata perché coinvolge direttamente il nome dell’azienda e la credibilità stessa e del proprio marchio (la cosiddetta “brand reputation”). Una Social Media Policy deve stabilire le modalità di comunicazione con gli utenti (dal trattamento dei dati personali fino all’attività di moderazione e così via), cosa fare in caso di diffusione di informazioni sensibili per l’azienda, commenti negativi, hashtag, post e video creati dagli utenti e altro ancora.

Come scrivere una Social Media Policy Esterna

Tendenzialmente vale lo stesso discorso fatto in precedenza con la preparazione di una Social Media Policy interna. Quindi, specifica a cosa serve il documento, a chi si rivolge e chi vuole tutelare. Per ogni piattaforma social utilizzata è importante definire il modus operandi: spiega in modo chiaro a cosa serve avere un account ufficiale e a cosa non serve. Una volta definito il ruolo e le finalità della nostra pagina/account social devi stabilire una serie di norme/regole comportamentali che gli utenti devono rispettare. Dai comportamenti non tollerati fino ai commenti inappropriati o alla promozione di attività illegali, tutto deve essere regolamentato per evitare spiacevoli sorprese o eventuali strascichi legali. Cerca di essere il più chiaro possibile e di fornire degli esempi esplicativi su quello che è accettato/tollerato e quello che non lo è.

Per esempio nella social media policy di The Math House si legge:

In particolare, verranno rimossi i contenuti:

  • politici o di propaganda elettorale;
  • spam, che promuovano attività commerciali e a fini di lucro;
  • che presentino un linguaggio inappropriato, violento, minaccioso, volgare, ingannevole o in violazione dei diritti di terzi;
  • discriminatori per genere, razza, etnia, lingua, credo religioso, opinioni politiche, orientamento sessuale, età, condizioni personali e sociali, disabilità fisica o mentale;
  • illeciti o che incitino, promuovano e sostengano attività illecite;
  • che divulghino dati e informazioni personali o che possano ledere la privacy e la reputazione di terzi;
  • che contengono dati sensibili;
  • di carattere osceno, pornografico o pedopornografico o che offendano la morale comune;
  • che violino il copyright o che usino impropriamente un marchio registrato;
  • che compromettano la sicurezza nazionale o dei sistemi pubblici.

Elenca le possibili sanzioni per chi non rispetta le regole, soprattutto in caso di comportamenti illegali. Stabilire delle sanzioni è un modo piuttosto semplice per conferire autorevolezza alla tua Social Media Policy esterna o interna che sia.

Il Ministero dello sviluppo economico specifica che cosa si intende per moderazione e che cosa accade quando non si rispetta la policy esterna:

La moderazione da parte dell’amministrazione all’interno dei propri spazi avviene a posteriori, ovvero in un momento successivo alla pubblicazione, ed è finalizzata, unicamente, al contenimento di eventuali comportamenti contrari alle norme d’uso: tutti hanno il diritto di intervenire ed esprimere la propria libera opinione in quanto nei canali social del Ministero non è prevista alcuna moderazione preventiva.

Nei casi più gravi – e in modo particolare in caso di mancato rispetto delle regole condivise in questo documento – il Ministero si riserva la possibilità di cancellare i contenuti, allontanare gli utenti dai propri spazi e segnalarli ai filtri di moderazione del social network ospitante ovvero, nello specifico, saranno rimossi commenti e post che violino le condizioni esposte in questo documento.

Se i dipendenti/collaboratori utilizzano la strumentazione informatica dell’azienda è importante stabilire anche un codice di comportamento ad hoc, con le relative sanzioni disciplinari in caso di mancata ottemperanza dei divieti. Una volta preparato il documento ricordati di sottoporlo all’ufficio legale della tua azienda (o a quello di un esterno) e agli altri uffici interessati (marketing, risorse umane e altro) per poter essere approvato e diffuso a tutto il personale lavorativo.

A proposito di tutela legale, spesso si fa riferimento anche alla privacy. Così Trenord:

PROTEZIONE DATI PERSONALI

Si ricorda che il trattamento dei dati personali degli utenti risponde alle policy in uso sulle piattaforme utilizzate (Twitter, YouTube, Instagram e LinkedIn).

Si rammenta che i dati sensibili postati in commenti o post pubblici all’interno dei canali social di Trenord verranno rimossi. I dati condivisi dagli utenti attraverso messaggi privati, spediti direttamente ai canali di Trenord, saranno trattati nel rispetto della normativa di legge di tempo in tempo vigente ed applicabile in materia di trattamento dei dati personali.

L’Informativa Privacy di Trenord è consultabile sul sito internet di Trenord, che qui si richiama integralmente ed a cui si rinvia.

Come far rispettare le Social Media Policy

Per controllare ogni possibile violazione alla Social Media Policy aziendale è necessario avere una struttura o del personale preposto per questo compito. L’azienda deve essere in grado di monitorare il comportamento dei propri dipendenti che utilizzano i canali social. Controllare l’attività su tutte le piattaforme social utilizzate dall’azienda di tutti i soggetti coinvolti (compresi gli account personali) richiede una struttura ben organizzata e oliata. Avere sanzioni disciplinari/pecuniarie senza che nessuno possa farle rispettare non serve a nulla. È importante che la Social Media Policy sia facilmente consultabile dai dipendenti/collaborati: preparare una versione riassuntiva o in stile FAQ può essere di grande aiuto.

Il mondo dei social media è in costante evoluzione. Di conseguenza anche la Social Media Policy che hai preparato rischia di diventare obsoleta nel giro di pochi mesi. Senza tener conto dei possibili cambiamenti aziendali per quanto riguarda le strategie di comunicazione e marketing: quindi, aggiorna e controlla regolarmente la tua Social Media Policy su ogni canale social utilizzato dalla azienda. Ricordati che una Social Media Policy ben fatta e aggiornata stimola gli impiegati a utilizzare in modo responsabile i canali social. Un dipendente o collaboratore deve sempre prestare attenzione alla Social Media Policy: deve conoscere le regole della Privacy, deve sapere postare su una piattaforma sociale e cosa può far vedere agli amici o ai famigliari e così via.

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Come creare un blog che converte grazie al potere dei social media

Creare un blog che converte è utile per aumentare l’autorevolezza del brand. Ma c’è di più. Infatti, con un blog ottimizzato puoi educare e fidelizzare i tuoi lettori in pochi passi. Il blog-post d’eccellenza attrae utenti sul sito e aumenta l’engagement. Infatti, un articolo di successo è intriso di unicità, empatia e fornisce consigli utili.

Un contenuto di qualità, però, merita di raggiungere quanti più utenti possibili. In questo modo sarà più facile acquisire rilevanza nel mercato e diventare influenti. Come fare dunque? Semplice, hai bisogno di alcuni alleati: i social media.

Infatti, un blog che converte usa i social per attirare nuovi utenti e fidelizzare i vecchi. In questo articolo ti mostrerò come supportare il tuo blog con Instagram e YouTube.

Crea un blog che converte: l’identikit del blog-post

Un blog che converte e che apporti benefici al lettore deve essere il tuo punto di arrivo. Ma come fare per creare contenuti di qualità e che convertono gli utenti in lead? Semplice, devi dedicare molto tempo ricerca.

  • Target. Il primo passo è comprendere cosa stanno cercando le tue buyer personas.
  • Keyword. Un contenuto di valore non raggiungerà la tua audience se non è ottimizzato. Una solida conoscenza della SEO e dei principali tools è indispensabile.
  • Una headline accattivante. Il titolo è l’elemento testuale di maggior importanza nell’attrarre nuovi utenti. Una headline di successo, infatti, cristallizza con poche parole i benefici dell’articolo. Se desideri un titolo attraente conosco usa il tool gratuito Free Headline Analyzer.
  • Contenuti verticali. Un blog di successo attira traffico e invoglia l’utente a fidarsi dell’azienda. Per farlo, però, bisogna mostrare fin da subito l’autorevolezza del brand. Infatti, in questa fase i contenuti rivestono un ruolo importante. Per renderli gradevoli da vedere e facili da consultare il tool perfetto è HemingwayApp. Inoltre, un contenuto originale e competitivo è ricco di statistiche e dati. Il miglior luogo dove reperire queste informazioni è il sito Statista.

Perché promuovere il blog con i social media?

I social media sono un potente amplificatore per diffondere contenuti e notizie. Integrandoli nella tua strategia di marketing riesci ad intercettare una nuova audience. La cosa più interessante è che la pubblicazione costante ti aiuta a costruire una community.

Affinché tu ci riesca, però, l’ingrediente imprescindibile è la pianificazione. Infatti, pianificazione dei contenuti strategici apporta diversi benefici come rafforzare la community. Inoltre, crei un percorso specifico per educare i potenziali clienti alla tua visione! Così facendo aumenti l’engagement e l’interesse dei tuoi utenti con contenuti utili e accattivanti. Ma non finisce qui! La pianificazione dei contenuti è utile per fidelizzare gli utenti usando empatia. Inoltre, favorirai lo scambio di opinioni.

4 Step per avere un profilo Instagram che supporta il tuo blog

Instagram è una piattaforma di content discovery. È un valido alleato per attrarre una nuova audience. A differenza di altri social, la pubblicazione costante è fondamentale. I contenuti pubblicati su Instagram hanno una durata breve nel feed degli utenti.

Purtroppo, buona parte dei contenuti organici non sempre vengono visualizzati dai followers. Infatti, per crescere sul social è necessario investire mensilmente in Instagram Advertising. In questo modo tuteli la notorietà del brand e l’engagement degli utenti.

Ecco cosa fare per avere un profilo professionale su Instagram:

  1. Usa immagini di altissima qualità per attirare l’attenzione. Per rendere il brand più genuino e autentico usa foto originali. In alternativa potresti trovare utilissimi siti royalty-free come Pexel e Unspalsh.
  2. Massimizza la tua bio. Online esistono siti che ti permettono di potenziare l’unico link messo a disposizione da Instagram. Uno dei migliori è senza dubbio LinkTree – è disponibile anche in versione gratuita.
  3. Aumenta la frequenza di pubblicazione e rendila standard. Instagram penalizza gli account che non pubblicano contenuti con scadenza regolare. La penalizzazione comporta una bassissima esposizione dei contenuti organici. Usa il calendario editoriale per supportare la pubblicazione dei contenuti. Aumenta l’esposizione dei post con la pubblicità a pagamento. 
  4. Dai valore a strumenti come Stories e Reels. Sono potentissimi per rafforzare il legame della tua audience e dare un tocco umano alla tua azienda. Usali per fare teasing sui contenuti. Oppure mostra i dietro le quinte sulla creazione degli articoli.

YouTube: Il motore di ricerca alternativo per spingere i contenuti del blog

YouTube è un incubatore di contenuti ed è un motore di ricerca vero e proprio. Trattandosi di una piattaforma di content consumption, YouTube è ricco di contenuti di approfondimento.

A differenza di Instagram, i contenuti pubblicati su YouTube performano per anni. Infatti, ciò accade grazie alla SEO e alla scelta delle keyword corrette.

Ecco perché YouTube è uno dei social migliori per far crescere un blog di successo:

  1. I video sono utili per alimentare la fase di Lead Nurturing tramite email marketing. Aumenti l’autorevolezza del brand, mostri le competenze e fidelizzi i vecchi clienti.
  2. Creare una community solida su YouTube è più facile. Ovviamente non accadrà in pochi mesi. Per far crescere un canale YouTube ci vogliono anni. Così come accade per un blog. Gli utenti appassionati alimentano il passaparola, commentano e condividono i video. Ciò favorisce l’esposizione dei contenuti ad una audience nuova. Ma esistono altri due vantaggi derivati dalla creazione di una community. Gli utenti che commentano aiutano l’algoritmo a mostrare i contenuti a nuovi utenti. Inoltre, i commenti sono ricchi di spunti e idee per creare contenuti mirati per il target.
  3. L’algoritmo è dalla tua parte. Headline e descrizione del video spiegano all’algoritmo i temi trattati. Infatti, includere le keywords in entrambe le parti è molto vantaggioso. Il motivo principale è che il video appare fra i primi contenuti della ricerca. Infine, una headline accattivante e una thumbnail graziosa attraggono l’utente.

Conclusione

Un blog che converte è sostenuto dai social media. Infatti, un profilo ben ottimizzato su queste piattaforme consente di attirare nuovi utenti e di coltivare una relazione che dura nel tempo.

Fra i social più consigliati per sostenere il blog, ci sono Instagram e YouTube. Ognuno di essi assolve ad un compito specifico: il primo attrae utenti nuovi, il secondo favorisce lo sviluppo della community. I contenuti video, inoltre, sono utilissimi per fidelizzare i nuovi clienti in fase di lead nurturing. Infatti, i contenuti in generali sono fantastici per sottolineare la professionalità e l’autorevolezza dell’azienda.

Salvini su TikTok: la mia intervista per Affaritaliani.it

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Il 17 novembre 2019 sono stato intervistato dal quotidiano online Affaritaliani.it in occasione dello sbarco su TikTok di Salvini. Ecco l’articolo.

Perché Salvini ha fatto flop su TikTok? Parola all’esperto Gianluigi Bonanomi

Il “Guru” della comunicazione spiega: “L’inizio è stato un disastro, ma la strada è quella giusta: deve ‘solo’ cambiare stile, adeguandosi al target”

L’ESORDIO DI MATTEO SALVINI SU TIKTOK SI RIVELA UN FLOP – INTERVISTA A GIANLUIGI BONANOMI, “GURU” DELLA COMUNICAZIONE IN RETE E PROFONDO CONOSCITORE DEI CANALI FREQUENTATI DAGLI ADOLESCENTI

Come funziona la strategia di Matteo Salvini sui social? Tutti parlano (a ragione) della capacità di influire sul consenso della “Bestia”, la corpulenta macchina della comunicazione approntata dal leader della Lega e messa sotto la lente di ingrandimento anche dalle ultime puntate di “Report”, a proposito del presunto utilizzo di chatbot e altri strumenti di propaganda.

La comunicazione di Salvini sembrava davvero non sbagliare mai un colpo, fino a quando “il Capitano” non si è imbattuto in Tik Tok, strumento sempre più popolare tra i giovanissimi e ancora sconosciuto a molti adulti.

Salvini ha avuto il merito di essere il primo politico a sbarcarvi, ma molto presto si è imbattuto con una serie di reazioni negative, derivanti dal fatto che per le giovani generazioni vivere in una società multietnica  sembra ormai normale e anche da alcune scelte comunicative che si sono rivelate fallimentari.

Ma perché Salvini ha fatto flop su TikTok? Per esaminare questo curioso fenomeno abbiamo chiesto il parere di Gianluigi Bonanomi, vero e proprio “guru” della Rete. Oltre a essere un formatore richiestissimo dalle aziende (ad esempio per il corretto uso di LinkedIn), tiene interessanti corsi per ragazzi e genitori sui pericoli del Web e le sue competenze cominciano a essere richieste anche in politica, dove i budget sempre più esigui destinati alle campagne elettorali rendono fondamentale usare al meglio l’uso di Internet e dei social.

Gianluigi Bonanomi, partiamo dal principio: perché Salvini è andato su TikTok?

“Sebbene TikTok, ex Musically (con cui si è fuso), sia considerato solo un passatempo per preadolescenti e adolescenti, le cose stanno radicalmente cambiando: un miliardo e mezzo di utenti stanno ingolosendo tanti, a partire dalle aziende che iniziano a stanziare budget di advertising. Finora nessun politico si era azzardato a metterci il naso. Anche perché molti, immagino, non sanno nemmeno che cosa diavolo sia TikTok. Non di certo Salvini, che con la sua Bestia ha dimostrato di aver compreso che per ottenere risultati diversi, in termini di attenzione e partecipazione, occorre fare cose diverse: non solo cartelloni pubblicitari e quarte di copertina, ma advertising sui social e meme.Per rispondere alla domanda: ovviamente Salvini puntava ai minorenni; del resto è, al momento, l’unico personaggio politico che ha delle chance per strapparli all’astensionismo. Sta preparando la strada per il futuro prossimo.”

Come giudicherebbe i primi passi di Salvini su questo social così particolare?

“Direi un disastro. Questa app, dedicata alla musica, al ballo e alla “recitazione” non è adatta ai mini-comizi live di Salvini: contenuti che invece su Facebook sono perfetti e mandano in visibilio orde di quarantenni e gattini. Tra una challenge e un balletto, i ragazzi di TikTok si sono ritrovati un video malfatto del Senatore che stringe mani ai Carabinieri e un altro video, preso da un talk show, con le solite invettive contro gli immigrati. Per non dire del terzo, dove Salvini parla di un albero umbro. Tre contenuti mai visti su TikTok e che non sono piaciuti per niente ai ragazzi. Anzi, spesso mi è capitato di vedere su TikTok contenuti anti-razzisti e sulla tolleranza, e infatti molti commenti sono stati impietosi”.

Cosa insegna questa storia a chi si occupa di politica e comunicazione?

“La morale è sempre quella: canali diversi esigono stili comunicativi e contenuti diversi, perché spesso sono diversi i target e gli obiettivi. Altrimenti che senso avrebbe distinguere tra Facebook, Twitter, LinkedIn e altro? Cerco disperatamente di farlo capire nei corsi e nelle consulenze alle aziende: se ribalti il contenuto di Facebook su Twitter, così com’è e in automatico, non solo stai sbagliando tecnicamente, perché sono canali con regole e grammatiche diverse, ma dimostri di non aver capito che prima si parte dall’analisi del target e poi si crea il contenuto. Non viceversa. Non puoi prendere i contenuti che funzionano su Facebook, dove non si trova un minorenne neanche per sbaglio, e metterlo in un social così particolare, così diverso. È vero che Salvini ha provato a semplificare il messaggio e sclerotizzarlo: il primo video, quello con i Carabinieri, aveva in sottofondo una musica trionfalistica e in sovraimpressione scritte sull’onore, ma ribadisco: una ragazzina dodicenne, che ha appena finito di vedere una sfida, challenge, di scarpette, come può prendere un contenuto del genere?Ultimo esempio: il quarto video vede Salvini che canta Vasco Rossi. Ai tredicenni pazzi per ‘Carote, carote, solo carote’ che cosa può importare una canzone di un quasi settantenne? In ogni caso la strada è giusta. Basterebbe cambiare stile”.

Come rispondere alle critiche feroci online con il metodo C.A.R.P.

Nel mondo del social esistono due categorie di attori:

– quelli che comunicano bene e non hanno paura di confrontarsi con utenti e clienti;

– quelli paralizzati dal terrore di non poter controllare eventuali critiche, come succedeva ai tempi dei numeri verdi e delle mail di lamentela.

In effetti aprire i canali social vuol dire mostrare il fianco a utenti scontenti, che per far male rendono pubblica la loro rabbia per informare altri consumatori, oppure ai provocatori (troll).

Come si risponde alle critiche feroci online dei primi? Esiste un metodo e viene dall’America.

Il metodo C.A.R.P.

Nel libro “La rivoluzione del customer service” dell’amico Paolo Fabrizio, ho scoperto dell’esistenza del metodo C.A.R.P., che poi ho approfondito grazie all’articolo “Control – Acknowledge – Refocus – Problem Solve – Conflict Resolution Model” e ho raccontato brevemente in questo video:

Le quattro fasi del metodo C.A.R.P.

The first priority in conflict situations is to CONTROL the emotional climate and behaviors occurring.

La prima fase è quella dell’autocontrollo: concentrati sul fatto che non ce l’hanno con te. Sembra una banalità ma risulta fondamentale per evitare di farsi coinvolgere emotivamente.

You need to PROVE to the other person that you understand his/her emotional state.

Grazie alla fase 2, acknowledge, occorre anche smorzare l’ardore dell’utente, riconoscendo non tanto la sua ragione ma il dispiacere per la situazione (con una frase del tipo: “Anche io, nei suoi panni…”). In questo modo, grazie a un po’ di sana empatia, si dispone bene l’interlocutore.

Refocusing the discussion involves moving it away from focusing on the emotions and returning back to the conflict issue.

A questo punto arriva la parte più interessante. Grazie alla fase del refocus, si riporta la discussione sul problema, che poi deve essere risolto nella fase finale, appunto, del problem solve.

Use problem-solving techniques to address the root or presenting conflict issue.

Risolvere il problema vuol dire dare risposte certe, dettare tempi, offrire soluzioni concrete. Questo viene solitamente molto apprezzato.

Il video del creatore del metodo C.A.R.P.

In questo video, Robert Bacal, spiega il metodo C.A.R.P.:

Un esempio di applicazione del metodo C.A.R.P.

Nell’esempio che segue si vede come le quattro fasi possono essere gestite senza schemi prederminati, ma in modo molto naturale.

L’esercizio sul metodo C.A.R.P.

Durante i miei corsi sulla comunicazione digitale, anche per chi lavora nel settore pubblico (per esempio bibliotecari), propongo il seguente esercizio. Chiedo di rispondere a questo messaggio molto critico:

Ieri mi sono presentato allo sportello un minuto prima dell’orario di chiusura e mi avete respinto, anche se dovevo solo consegnare una ricevuta: operazione da pochi secondi. Mi costringete a prendere un’altra ora di permesso per tornare.
È inaudito. Complimenti davvero: sapete proprio come trattare chi vi paga lo stipendio…

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Se vuoi organizzare un corso sulla comunicazione digitale presso la tua azienda o il tuo ente, scrivimi qui:

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Corso sui pericoli della Rete: l’articolo del corriere dei social media

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Il corriere dei social media ha dedicato, lo scorso 28 ottobre, un articolo al corso che ho tenuto presso Primopiano sui pericoli della Rete. Questo il contenuto dell’articolo:

MILANO: La cooperativa giornalistica Primopiano di Milano ha ospitato sabato scorso il corso del giornalista e formatore Gianluigi Bonanomi. Il corso, al quale hanno partecipato numerosi giornalisti rientrava nel programma di formazione continua per i professionisti del settore che vede la cooperativa  fra i più importanti centri accreditati dall’Ordine dei Giornalisti. Primopiano, infatti, da anni affianca al proprio impegno di creatore di contenuti e informazioni per importanti media del settore radio televisivo anche  la formazione con corsi legati al settore dei social, del content marketing, linkedin, deontologia professionale e video ripresa.

Il corso di Gianluigi Bonanomi dal titolo Web e social, i pericoli della rete“è stato un compendio di educazione digitale per giornalisti, genitori, docenti e studenti. Tutti interessati in un modo o in un altro con il mondo di internet e con i suo miti da sfatare.Fra i temi della mattinata i problemi legati alla dipendenza, alla salvaguardia della reputazione sulla rete e al crescente fenomeno del cyberbullismo, declinato secondo varie tipologie che possono passare attraverso i conflitti verbali ,la denigrazione o ancora l’esclusione sociale che spesso interessa gli studenti.

Gianluigi Bonanomi da tempo ha affiancato il suo ruolo di comunicatore digitale e giornalista a quella di formatore con un occhio di riguardo a i temi  delle nuove tecnologie e la genitorialità. Per questo ha organizzato diversi corsi e seminari, nonchè progetti con le scuole. Suoi due libri sul tema come “Prontuario per genitori di nativi digitali   e “Navigazione familiare”  entrambi editi da Ledizioni.      

Si è inoltre parlato degli aspetti legali legati alla diffamazione, al cyberbullismo e alla pubblicazione di immagini non autorizzate sui social o sui servizi di messaggistica grazie all’intervento dell’avvocato Marisa Maraffino, specializzata in Diritto delle telecomunicazioni, giornalista e docente su temi legati alla deontologia. Luigi Paonessa

Social recruiter: 10 cose che devi sapere se vuoi fare questo mestiere

Quando ho intervistato il social recruiter Osvaldo Danzi (leggi qui), tra una risposta e l’altra ha citato il libro “Social recruiter” di Martini e Zanella, edito da FrancoAngeli. Allora l’ho letto.

Un buon testo, completo, che fa il punto della situazione su una nuova professione – quella del selezionatore votato al Web e ai social – in forte ascesa. Ho capito che se vuoi fare questo nuovo mestiere, devi sapere le seguenti dieci cose.

  1. Se tutto il mondo va sui social, anche il recruiter non può fare altrimenti. Una delle autrici lavora per Adecco e giustamente cita uno dei maggiori studi su Internet e ricerca del lavoro: vale a dire Work Trends Study. Tra le altre cose si scopre che i lavoratori usano i social anche per tenersi in contatto con i recruiter.
  2. Nell’era di TripAdvidsor, dove ci fidiamo più delle recensioni di altri utenti come noi e non della comunicazione istituzionale, anche le aziende sono state travolte dalla cosiddetta “peer review”. È il caso, per esempio, di Glassdoor. Ma guarda anche l’italiano Sopo. Per questo i responsabili del personale devono puntare sulla employee advocacy: devono coinvolgere i dipendenti in attività che possano farli sentire parte di una community, addirittura di una famiglia.
  3. I social non vengono utilizzati solo per pubblicare offerte, come fossero job board. Servono soprattutto per controllare le informazioni sui candidati, confrontandole con quelle riportate sul CV, nonché per attirarli e infine per contattarli direttamente. I social permettono anche di scoprire il lato umano dei candidati, le competenze trasversali (come quelle comunicative), la loro rete, i loro veri interessi.
  4. I social non servono solo per intercettare i candidati attivi, ma soprattutto per scovare quelli passivi: quelli che non stanno cercando un lavoro.
  5. Non solo LinkedIn, moltissimi recruiter usano anche gli altri social. Facebook prima di tutti, ma anche Twitter, Instagram e Pinterest, oppure YouTube. Microsoft, per esempio, usa l’account Instagram Microsoftlife per fare employer branding.
  6. Per employer branding si intende “la reputazione di un’organizzazione nel suo ruolo di potenziale datore di lavoro”.
  7. Pure i sistemi di messaggistica fanno la loro parte. Cisco, in questo post sul blog ufficiale, spiega come usa Snapchat per raccontare l’azienda e attrarre candidati (soprattutto giovani). WhatsApp può essere un modo efficace per tenere contatti informali con i candidati.
  8. I recruiter devono usare la Rete, e i social in particolare, anche per fare personal branding. Posizionarsi, condividere contenuti di qualità, attirare “personalmente” i candidati.
  9. I recruiter devono lavorare anche moltissimo sul networking. Non quello dei candidati, il proprio.
  10. Se il social recruiter è colui che riceve, legge e cataloga curriculum e domande inviate a seguito di posizioni lavorative aperte, esistono altre figure della filiera della ricerca dei lavoratori. Per esempio c’è il sourcer, che svolge la ricerca “creativa” di candidati qualificati per posizioni aperte o programmate, spesso andando a caccia di candidati passivi. Poi c’è l’HR manager, funzione che si occupa per prima cosa di diffondere la cultura aziendale, le competenze e i modelli organizzativi. Infine esiste anche il consulente per la ricollocazione, un professionista ingaggiato dalle aziende quando, per ragioni organizzative, si devono ridurre gli organici.

Se vuoi leggere altre recensioni di testi a tema tecnologico, fai clic qui.

Mission e vision nel profilo LinkedIn: intervista a Giovanni Dalla Bona

In questo sito ho spesso usato strumenti aziendali per lavorare sul proprio personal branding: per esempio applicando le leggi di Ries o l’approccio di Sinek alla corstruzione del proprio brand. Ora faccio un passo oltre: vorrei capire se anche i concetti di mission e vision possono essere utili per arricchire il proprio profilo LinkedIn. Per farlo ho chiesto aiuto a un amico, nonché uno dei migliori formatori sui temi del digitale e del social in circolazione: Giovanni Dalla Bona. Sul suo profilo LinkedIn si presenta così: “Aiuto le aziende e liberi professionisti ad usare le opportunità offerte da Internet e dai social media, seguendole in tutte le fasi: definizione degli obiettivi, scelta delle strategie, creazione e distribuzione dei contenuti, misurazione dei risultati”.

– GIOVANNI, CHE DIFFERENZA C’È TRA MISSION E VISION?

Rispondo alla tua domanda scombinando le carte e dicendo che mission e vision, per essere definite, hanno bisogno di un terzo elemento: i valori. I valori definiscono e spiegano COME facciamo il nostro lavoro nel presente (=mission) e DOVE vogliamo arrivare con esso in futuro (=vision).

Se i valori da esprimere sono scelti con attenzione (ne puoi trovare una bella lista nel sito Corevalueslist, https://corevalueslist.com/) ne ricavi quasi automaticamente la mission, che è la loro messa in pratica giorno per giorno.

Ad esempio:

Se sono un consulente e il mio valore è l’innovazione, allora il mio impegno, la mia mission sarà quella di offrire ai miei clienti soluzioni sempre tecnologicamente all’avanguardia.

Se sono un’impresa edile e il mio valore è la bellezza, allora nella mia mission ci saranno l’attenzione ai dettagli e la cura dei particolari.

Faccio un esempio famoso: fra i valori di IllyCaffè c’è l’eccellenza e da questa nasce la sua mission.

Come puoi intuire da questi esempi, la mission ha un carattere molto pratico e, se ci impegniamo a mantenerla, i clienti la riconosceranno e diventerà il nostro punto di forza.

La vision, invece, proietta il nostro lavoro nel futuro, passando dal “ciò che siamo” al “ciò che vogliamo diventare”. La vision dà continuità ai valori di fondo, ma sposta in avanti gli obiettivi e formula desideri, più o meno concreti, su ciò che vogliamo ottenere per noi e per gli altri.

Sono esempi di vision: il ristorante tipico regionale, che vuole diventare una catena di ristoranti dedicati alla cucina locale e regionale; o il fotografo che ama viaggiare e che aspira a pubblicare sulle principali riviste dedicate al turismo.

La Vision migliori sono quelle che vanno oltre gli aspetti concreti ed entrano nel campo delle emozioni e del sogno, come ad esempio la famosa “rendere la gente felice” di W. Disney, oppure “un computer in ogni casa” di Bill Gates. Il valore di queste mission è nella loro concisione e chiarezza, ma soprattutto nel fatto che, invece di essere autoreferenziali, guardano anche al bene dei clienti o, ancora più in là, al bene di tutti. Su questi temi consiglio di vedere il famoso video in cui Simon Sinek spiega la sua teoria del Golden Circle:

 

 

– CONSIGLI DI INSERIRLE IN LINKEDIN PER PRESENTARSI?

Certamente sì, ma con una distinzione fra pagine aziendali e profili personali.

Come sai i termini “mission” e “vision” sono tipicamente usati per le descrizioni aziendali e quindi va benissimo che le aziende, per coerenza, riportino nella propria pagina LinkedIn le stesse informazioni che hanno nel sito o nei documenti di presentazione aziendale.

Per quanto riguarda i profili personali, invece, eviterei espressioni del tipo “la mia mission/vision è…”. Preferisco sostituire la mission con la descrizione dei punti di forza, magari raccontati evidenziando i propri valori e le passioni.

La vision, invece, in alcuni casi è proprio complicata da aggiungere nei profili personali. Di fatto corrisponde alle aspirazioni personali, ma bisogna valutare di caso in caso se renderla esplicita o meno: ad esempio, se sei un blogger puoi aspirare a diventare un influencer nel tuo settore e lo puoi dichiarare apertamente; ma come puoi inserire la tua vera aspirazione se, come mi è successo, sei un impiegato e ti stai adoperando per lasciare tutto e diventare un massoterapeuta? Purtroppo non ci sono ricette valide per tutti.

– CI FAI UN ESEMPIO DI UTENTE CHE HA ESPRESSO CON EFFICACIA QUESTI CONCETTI?

Proprio poche settimane fa ho aiutato un’amica, Lia Gotti, a scrivere il suo “riepilogo” di Linkedin. Non volevamo fare una lista delle competenze, ma soprattutto descrivere come Lia svolga il suo lavoro. L’uso di aggettivi come “curiosa” e “creativa”, parole come “grinta” ed ”entusiasmo” descrivono Lia al di là delle sue mansioni, sottolineando il suo carattere, le sue passioni e la sua unicità.

Inoltre, quando dice che i suoi due principali obiettivi sono “organizzare eventi memorabili e far sentire ogni partecipante una persona unica e speciale”, Lia sta di fatto descrivendo la sua mission e il suo impegno.

Ecco, partendo dal riepilogo di Lia, potremmo riassumere in questo modo l’utilità della mission e della vision: servono per poter dire in modo convincente “altri potrebbero fare le stesse cose che facciamo noi, ma nessuno potrebbe farle bene come le facciamo noi”.

Riporto integralmente il riepilogo di Lia:

Da sempre curiosa, creativa e con una sfrenata passione per il Cinema, ora sono Theatrical Operations and Special Projects Supervisor presso The Walt Disney Company Italia.
Amo lavorare in Team con grinta e determinazione per organizzare eventi speciali, proiezioni, anteprime, festival cinematografici ed eventi corporate.

Affronto ogni nuovo progetto con entusiasmo e con due obiettivi: organizzare eventi memorabili e far sentire ogni partecipante una persona unica e speciale.

Do il mio meglio quando sono libera di gestire programmi articolati e stimolanti, che uniscano competenze diverse e che permettano lo scambio di esperienze fra persone di provenienza e di cultura diversa.

L’ area del mio lavoro in cui concretizzo di più il mio amore per il Cinema? La Produzione! Che sia un contenuto speciale, una clip divertente, un documentario o un sizzle, quando si tratta di produrre, la mia creatività si scatena!

 

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