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Bablyo: il primo social (italiano) dove il prodotto non sei tu [la mia intervista per Startup News]

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Questa intervista è stata pubblicata su Startup News il 27 settembre 2021

Il mantra che ormai tutti abbiamo imparato a memoria è semplice: “Se su Internet qualcosa è gratis, il prodotto sei tu”. Prendi per esempio un social come Facebook: iscrizione e uso sono a costo zero, ma in realtà si tratta di un baratto, hai una vetrina e uno strumento di relazione ma in cambio loro si prendono i tuoi dati. Una logica diffusissima, non solo nel mondo social, ma che evidentemente non sta bene a tutti. Bablyo non funziona così: questa nuova piattaforma di servizi social è a pagamento e non usa i dati per fare business. Quando l’ho scoperto ho subito voluto conoscere chi ha avuto questa idea. Allora ho scambiato quattro chiacchiere con Gianluca Brenelli, Ceo di Teiasoft Srls, e con Alessandra Saponaro, vice presidente di Teiasoft e responsabile del progetto Bablyo.

Gianluca e Alessandra, come è nata l’idea di Bablyo?

Gianluca: l’idea di un social a pagamento mi è venuta qualche anno fa, osservando le dinamiche delle piattaforme tradizionali. Era evidente come, in contro tendenza rispetto agli inizi del periodo 2004/2006, queste avessero basato il loro business model esclusivamente sulla vendita di pubblicità, portando l’utente (e il suo tempo) a diventare il prodotto da vendere agli inserzionisti. Nel 2019 abbiamo quindi deciso che i tempi erano maturi per iniziare a lavorare sul progetto. Stavano infatti cominciando ad emergere le prime avvisaglie di quei problemi nel mondo dei social che oggi sono noti a tutti. Parlo ad esempio della viralità delle fake news, i danni e i rischi per la salute mentale degli adolescenti (secondo una recente inchiesta del Wall Street Journal, Instagram avrebbe un effetto negativo, rispetto alla percezione di sé e del proprio corpo, su una parte delle teenager, ndr), e molti altri ancora. Abbiamo poi iniziato a lavorarci giornalmente in concomitanza con l’inizio della pandemia e finalmente da pochi giorni siamo presenti sullo Store di Google in versione beta.

Qual è il modello di business?

Gianluca: il nostro modello di business rovescia completamente il paradigma dei social tradizionali. L’utente non è più il prodotto da vendere agli inserzionisti, ma è il nostro cliente.

Alessandra: questa è probabilmente la vera rivoluzione, se mi passi il termine. Dal momento in cui l’utente paga un abbonamento mensile si aspetta in cambio un servizio e, soprattutto, che questo rispetti veramente la sua privacy.

Gianluca: questo cambio di paradigma ci ha dato la libertà di creare un luogo virtuale che rispondesse a poche semplici domande: “Questa feature è utile per il Cliente? Il nostro servizio è di qualità?”. Noi non cerchiamo di far stare le persone il più a lungo possibile dentro Bablyo, non abbiamo inserzionisti ai quali mostrare i dati delle persone che hanno visto la loro inserzione pubblicitaria.

Alessandra: questo è un altro aspetto fondamentale. Non avendo pubblicità al nostro interno, trattiamo i dati dei nostri clienti solo per le finalità di erogazione del servizio, ovvero per far funzionare Bablyo.

Quali sono le principali caratteristiche di Bablyo?

Gianluca: la feature più importante per noi sta nella gestione dei minorenni all’interno della piattaforma. Ti faccio un esempio: in Bablyo non ci si può iscrivere se minorenni, ma io posso iscrivere i miei figli creando fino a quattro account “child” (compresi nel costo dell’abbonamento mensile). Come account “padre” manterrò il controllo della password e avrò una serie di opzioni configurabili.

Alessandra: alla fine ci saranno due social distinti in Bablyo. Uno dedicato ai minorenni e uno agli adulti. Le opzioni configurabili permetteranno punti di contatto tra i due mondi e saranno a carico dell’account padre.

Gianluca: essendo una piattaforma di servizi social, la scelta dei contenuti da vedere è a carico del cliente, che noi affettuosamente chiamiamo Bablyer. Venendo a mancare il concetto di amicizia o follower (almeno, nel modo in cui tradizionalmente li si intende), in Bablyo sono i contenuti, e gli argomenti che li definiscono, ad essere seguiti. Se io sono un appassionato di modellismo, configurerò gli argomenti e i contenuti che intendo seguire attraverso l’inserimento nell’apposita sezione di argomenti relativi al mondo del modellismo.

Alessandra: tra gli incentivi che pensiamo essere tossici, abbiamo anche eliminato la risposta ai commenti. Abbiamo notato infatti come troppo spesso sotto contenuti anche di qualità si aprano thread di commenti infiniti che esulano dal contenuto stesso.

Quali problemi e sfide avete affrontato durante lo sviluppo?

Alessandra: una volta raccolta l’idea ci siamo posti il problema di come strutturare Bablyo, sia da un punto di vista filosofico e conseguentemente tecnico. Possiamo dire che abbiamo lavorato per sottrazione. Studiando le piattaforme tradizionali ci siamo chiesti quali potessero essere quegli incentivi tossici che andavano eliminati, cosa portare al centro della piattaforma e cosa lasciare in disparte.

Gianluca: non è stato facile infatti scegliere di non avere, ad esempio, i like sui contenuti. Può sembrare una sciocchezza, ma in realtà ha un peso enorme nell’economia generale di una piattaforma social. Diciamo quindi che le sfide maggiori sono state più concettuali che tecniche.

Quali saranno i prossimi passi?

Gianluca: termineremo a breve la fase beta e, spero per fine anno, usciremo sull’Apple Store. Parallelamente ci concentreremo sulla ricerca di investitori che credano nel progetto. Non è facile, soprattutto in Italia, ma siamo sicuri della nostra idea e convinti che la risposta del pubblico sarà sicuramente premiante.

Alessandra: ovviamente svilupperemo tutte le idee che abbiamo in mente, e sono davvero molte. Vogliamo infatti fare di Bablyo uno strumento che possa essere utile anche nella vita reale.

 

Hippo e l’algoritmo della fiducia: intervista a Massimiliano Baiocco per StartUP-NEWS

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[Questo articolo è stato pubblicato su StartUP-NEWS il primo ottobre 2020]

Hippo e l’algoritmo della fiducia: intervista a Massimiliano Baiocco

Non sarebbe tutto più semplice se esistesse un sistema per misurare la fiducia tra le persone e migliorarne le relazioni? Ecco, questo si è tradotto in Hippo.

Hippo è un’app che permette di applicare, in concreto, i principi del nudging e delle scienze comportamentali alle interazioni di ogni giorno, lavorative e non. L’ha ideata Massimiliano Baiocco: gli abbiamo chiesto qual è stata la genesi del progetto e come l’ha concretizzato.

Ciao Massimiliano, ci racconti in breve che cosa è Hippo?

Hippo è prima di tutto un sogno e, al tempo stesso, la risposta a un problema. Nella mia carriera ho ricoperto tutti i ruoli: da dipendente a manager, da imprenditore a startupper. Mi sono sempre reso conto che quello che conta in qualsiasi contesto lavorativo – ma direi nella vita in generale – è la relazione che instauri con gli altri. Anzi, ancora di più: la fiducia. Non nascondo che mi sono spesso trovato nella situazione di avere problemi da questo punto di vista. Allora, un giorno, mi sono detto: non sarebbe tutto più semplice se esistesse un sistema per misurare la fiducia tra le persone e migliorarne le relazioni? Ecco, questo si è tradotto in Hippo. L’acronimo sta per Help Improve Permently Positive Organisation, in poche parole: ricercare la positività nelle persone che operano in ambienti positivi.

Facciamo un passo indietro: ingegnerizzazione e misurazione delle relazioni non è il fulcro di tutti i social, da Facebook a LinkedIn?

Sì, ma in quei casi manca qualcosa. Prendi il social selling index di LinkedIn: la misura della capacità di costruire relazioni riguarda azioni basilari (cercare collegamenti, mandare messaggi, commentare i post altrui) ma non misura la qualità delle relazioni che poi si traducono in fiducia! Oppure prendi Facebook: il fine dell’algoritmo non è migliorare le relazioni, ma misurare i legami per capire a chi mostrare un contenuto o, in ultima istanza, innescare conversazioni al solo fine di farti rimanere all’interno della piattaforma il più a lungo possibile. Basta dare un’occhiata al cupo “The social dilemma” su Netflix per rendersene conto. Per me questo è inconcepibile: non vi è alcuno scopo di miglioramento dell’individuo in questi sistemi.

Hippo invece si pone l’obiettivo di valorizzazione dell’altro attraverso l’incremento del “capitale umano”, a partire dal miglioramento delle interazioni che abbiamo con la nostra rete sociale, grazie per esempio a meccanismi di nudging, pungoli, gamification e quindi dinamiche ludiche. Bisogna cambiare le carte in tavola nel mondo del business: rivoluzionare i modelli di management, un nuovo modo di concepire le organizzazioni, le imprese. Un nuovo paradigma.

Entriamo un po’ nel dettaglio: come funziona Hippo?

Hippo è una piattaforma di analisi predittiva dei comportamenti, in grado di coniugare e allineare perfettamente sia una nuova cultura (intendendo valori e comportamenti) sia le strutture (intendendo metodi, processi e appunto tecnologie abilitanti). Per venire al dunque tutto questo si configura come piattaforma (dashboard) e app da usare quotidianamente.

A seguito di ogni interazione possiamo restituire, e ricevere, iNUDGE ovvero pungoli. Hai appena finito una riunione tra colleghi, un confronto fra amici, una telefonata di lavoro? Attraverso la app puoi esprimere le sensazioni relative all’interazione, basandoti su quattro cardini: motivazione, credibilità, capacità e risultati. L’altro, come detto, può fare lo stesso con te.

È come dare giudizi?

Assolutamente no! Hippo restituisce nudge preziosi, spunti e consigli “gentili” per migliorare i comportamenti, sulla base delle sensazioni ed emozioni percepite da te e dai tuoi interlocutori in qualsiasi tipo di interazione vissuta nella quotidianità. A differenza del feedback, che ha insito in sé un giudizio, e che ha come obiettivo quello di rilevare un miglioramento della performance, donare e ricevere un iNUDGE vuole dire aumentare la consapevolezza di te stesso attraverso suggerimenti che doni e ricevi, aiutando a migliorare i comportamenti quotidiani. Non c’è nessun obbligo, né spazio per valutazioni positive o negative, ma solo gratitudine per qualcosa di oggettivo e costruttivo che da soli non sempre riesci a individuare. Per intenderci esistono due tipi di iNUDGE: di conferma (+) e rafforzativi (-).

Come rendere tutto questo concreto? Dal punto di vista pratico, se la piattaforma rileva se abitualmente inizi il lavoro al mattino o la riunione del pomeriggio con umore grigio, e potrebbe darti delle dritte – e perché no, anche dei contenuti – per strapparti un sorriso! Chiaramente la piattaforma sarà arricchita sempre più di stimoli, contenuti mirati, moduli formativi personalizzati e così via.

Ma dietro tutto questo c’è un modello?

Assolutamente sì, ed è coerente con le più sentite esigenze di “identity shapling”, ovvero un nuovo paradigma di concepire le persone e le organizzazioni in genere. L’ho battezzato “H-shaped model” (e stiamo registrando il brevetto internazionale): modello a forma di H che richiama l’ormai classico modello a T delle competenze generaliste e specialiste. Torno ai quattro cardini che ho menzionato prima, e ne aggiungo uno. Ogni persona può essere “rappresentata” attraverso un grafico a forma di H che racconta il percorso personale, sulla base di quattro più uno cardini. Rispetto ai già menzionati motivazione, credibilità, capacità e risultati, aggiungo anche l’energia.

In che senso l’energia?

È un concetto nuovo o quantomeno poco praticato in ambito business: quando interagiamo, inviamo e riceviamo energia (nulla di new age o metafisico, per carità!). Alla base della Hippo app c’è proprio la rilevazione e misurazione di questa energia (o stato di flow), ma soprattutto la condivisione di sensazioni e sentimenti, addirittura la richiesta di aiuto per uscire da uno stato di energia basso. Anche qui si può dare o ricevere. Hai notato che il collega è giù di tono? Puoi aiutarlo, e anche l’app ti aiuta a farlo. Qui entra in campo l’innovazione: i più innovativi modelli di intelligenza artificiale aiutano interrogando l’utente, con domande mirate, per comprendere il suo stato.

Per chi risulta ideale l’app Hippo?

Partendo dal presupposto che la fiducia sarà la nuova moneta dell’imminente futuro per chiunque, Hippo è una soluzione utile ai singoli, ma soprattutto alle nuove organizzazioni che dovranno riprogettare i loro modelli organizzativi a partire dalle persone. Piattaforma e app contribuiranno a rendere perseguibile, in pratica, quello che oggi è poco più che un mantra spesso senza fondamento: “mettere le persone al centro”…

Sappiamo che Hippo è in fase di sperimentazione, quando sarà sul mercato?

A oggi abbiamo più di 500 “hipper”, persone che si stanno aggregando attorno al manifesto di Hippo. Da oltre un anno mi stanno aiutando, da un lato a correggere gli inevitabili bug – data la straordinaria complessità tecnologia che caratterizza la nostra soluzione – dall’altro a migliorare la UX, la user experience.

Stiamo ultimando le ultime verifiche in termini di GDPR, anche a livello internazionale, e soprattutto stiamo implementando le ultime funzionalità che garantiranno ai nostri utenti che mai nessuno avrà accesso ai dati personali. Per rispondere concretamente alla domanda: contiamo di rendere disponibile la soluzione entro dicembre di quest’anno (2020).

In conclusione, puoi regalare qualche dritta agli startupper che hanno tanto bisogno di costruire relazioni positive?

Per gli startupper sarà fondamentale conoscere il “trust index” delle persone con cui entreranno in contatto. Stiamo entrando in un nuovo paradigma che mi piace definire “economia della fiducia”, che sarà governata da una semplice equazione: > FIDUCIA = > VELOCITÀ x < COSTI.

La seconda dritta che regalo a tutti i sognatori (“startupper” mi piace poco) è che il tempo è la risorsa più preziosa alla quale prestare attenzione: non va assolutamente sprecato. Attraverso il trust index posso rendermi conto del livello di fiducia che l’interlocutore è in grado di trasmettermi, e decidere quindi se investire del tempo nel coltivare questa relazione.

Se nella mia esperienza personale avessi avuto la Hippo app, sicuramente non avrei investito tempo e denaro in relazioni che poi si sono dimostrare sterili, sottraendo energia preziosa.

I profili fake sui social: la mia intervista a Radio Capital del 18/4/20

Sabato 18 aprile la DJ La Mario di Radio Capital mi ha intervistato sul tema dei profili fake sui social. Puoi riascoltare l’intervista qui:

Nell’intervista ho citato lo strumento Social Blade, qui puoi vedere come funziona:

Qui ritrovi l’articolo dove raccontavo la mia esperienza di acquisto di follower finti:

Qui puoi riascoltare le altre mie interviste a Radio Capital

 

“I trend social del 2020”: la mia intervista per il settimanale F

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La giornalista Tamara Ferrari del settimanale F di Cairo Editore (il primo femminile in Italia con 110.000 copie) mi ha intervistato sul tema dei trend social del 2020. L’articolo è stato pubblicato sul numero 2/2020 in edicola il 14 gennaio 2020.

Ecco l’intervista sui trend, sul benessere digitale, sulle app più usate dagli adolescenti, sull’intelligenza artificiale e la realtà aumentata:

Selfie e identità: 4 cose che i genitori devono sapere

Questo articolo è stato pubblicato su Mamamò, a questo indirizzo.

In un recente articolo sul perché i ragazzi amano tanto i social, in cui sottolineavo il fatto che partecipare, confrontarsi con gli altri online e ricevere dei feedback positivi sia un loro bisogno, parlavo anche di selfie, come strumento per definire la propria identità e accrescere l’autostima. L’occasione per approfondire questo tema viene dalla lettura del libro Selfie. Narcisismo e identità di Giuseppe Riva.

Il libro di Riva, breve ma intenso, dà molti spunti. Ecco le quattro cose che un genitore deve sapere sui selfie.

Selfie: iniziamo dal nome

Selfie è il diminutivo di self-portrait, autoritratto, autoscatto tipicamente fatto con uno smartphone o una Webcam e condiviso sui social. Pare che il termine si sia diffuso a inizio secolo, come hashtag, sulla piattaforma di condivisione di foto Flickr. L’esplosione si è avuta nel 2010 quando si diffusero i primi smartphone con fotocamera anteriore. Fino a diventare, nel 2013, la parola dell’anno dell’Oxford Dictionary. C’è anche una pagina dedicata sul sito dell’Accademia della Crusca, dove  si scopre che ormai è ufficiale l’uso al maschile e che esistono anche delle varianti: Delphie è il selfie mentre si guida, Welfie in palestra, Belfie del “lato b”.

La storia del termine o della tecnologia contano poco. Quello che conta è la data, 3 marzo 2014: durante la notte degli Oscar Ellen Degeneres scatta il selfie più condiviso della storia. Nello scatto si vedono diverse star come Meryl Streep, Jared Leto, Julia Roberts, Brad Pitt, Angelina Jolie, Kevin Spacey e altri. Era una trovata pubblicitaria di Samsung ma in quel momento il selfie è diventato un comportamento socialmente desiderabile: se lo fanno anche i personaggi famosi… Seguiranno altri selfie VIP come quelli del papa o di Totti durante un derby.

Narcisismo, malattia dei nostri anni

Ivan Cotroneo ha scritto:

Se negli ultimi 30 anni la malattia da curare era la depressione, per i prossimi sarà il narcisismo”.

Siamo tutti narcisisti?

Riva riprende il mito di Narciso per fare delle precisazioni. Nel mito il protagonista non cerca la propria immagine ma la subisce, invece il selfie è sempre un atto intenzionale, con il preciso scopo di condividere. Per Riva chi fa un selfie non è necessariamente un narcisista (ma certamente un narcisista si fa molti selfie).

Ma allora perché scattiamo i selfie? È una questione di definizione dell’identità. La nostra soggettività ha due facce: IO, come mi vedo da dentro (sé personale), e ME, come mi vedo e come mi vedono da fuori (sé sociale). Per chi sta ancora definendo la propria identità, come i preadolescenti, lo smartphone e i social permettono di entrare in contatto con il proprio ME. Definiscono la propria identità, anche nel confronto con gli altri. In questo contesto, i selfie stanno diventando uno degli strumenti più utilizzati dai ragazzi per definire ciò che sono e che vorrebbero diventare. Allo stesso tempo i social permettono di verificare la posizione degli altri e confrontarla con la propria per decidere chi si è e chi si vuole essere.

I tre paradossi dei selfie

Utili per definire la propria identità, i selfie però si portano appresso tre paradossi.

  • Primo paradosso: se i selfie sono un modo efficace per mostrarsi e raccontarsi agli altri, allo stesso tempo non sono in grado di rappresentarci in maniera completa. Anzi assumono vita propria, continuando a raccontarci nello stesso modo anche quando siamo cambiati (quella foto sbagliata alla festa ci può perseguitare).
  • Secondo paradosso: se attraverso i selfie possiamo modificare fugacemente la nostra identità sociale, è però vero che i nostri selfie possono anche essere utilizzati da altri per modificarla anche se non lo vogliamo (vedi l’uso ricattatorio del sexting).
  • Terzo paradosso: se attraverso i selfie possiamo scegliere quali caratteristiche sottolineare della nostra identità sociale all’interno delle diverse reti che frequentiamo, tutti i frammenti possono essere rimessi insieme per individuare la nostra vera identità (vedi i ragazzi che passano la prima selezione del personale per un buon CV o un preciso profilo LinkedIn ma poi vengono scartati per le foto che condividono su Facebook e Instagram).

I numeri dei selfie degli adolescenti

Veniamo infine ai numeri: Riva cita diverse ricerche sul tema selfie. In particolare mi ha colpito una ricerca dell’Osservatorio sulle tendenze e comportamenti degli adolescenti su 7000 ragazzi tra i 13 e i 18 anni. Ci dà un’esatta dimensione del fenomeno selfie.

I ragazzi si scattano una media fra i 3 e gli 8 selfie al giorno, con punte di 100!

Il 31% degli adolescenti si fa i selfie per ricordo, l’11% per noia e l’8,5% per ridere. Il 15,5% condivide tutti i selfie sui social e WhatsApp, soprattutto le ragazze. Un adolescente su 10 fa selfie pericolosi in cui mette potenzialmente a repentaglio la propria vita, soprattutto i maschi (purtroppo esiste anche il fenomeno del killfie: il selfie letale).

Un’altra ricerca su 150 giovani, proprio di Riva per l’Università Cattolica e la fondazione IBSA, approfondisce il tema della relazione tra tratti della personalità e selfie. Ci sono i ragazzi estroversi e quelli coscienziosi. I primi usano i selfie per mostrarsi (fino ad arrivare all’oggettivazione del proprio corpo, usato come strumento per piacere), in particolare le donne sono molto sensibili ai commenti che i selfie scatenano sui social. Chi è coscienzioso usa i selfie in maniera più strategica per trasmettere una specifica immagine di sé, ed è meno interessato ai commenti degli altri, positivi o negativi che siano.

Ascolta la puntata del mio podcast “Genitorialità e tecnologia” sui selfie

Ascolta “1×10 I selfie: 4 cose che i genitori devono sapere” su Spreaker.

Perché i ragazzi amano così tanto i social network?

Per molte persone, diversi genitori compresi, i social network sono solo una perdita di tempo, roba da “fannulloni”. Non si capacitano di come qualcuno possa passare tutto quel tempo a ficcare il naso nelle vite altrui.
Peccato che questi “presunti fannulloni” siano parecchi.
Basta un giretto su Internet Live Stats per scoprire che, nel momento in cui scriviamo, ci sono quasi due miliardi di iscritti a Facebook nel mondo, oltre trenta milioni solo in Italia.
I social network sono un bisogno, anzi rispondono a più bisogni. Pensate alla piramide dei bisogni di Maslow:

Lo psicologo statunitense ideò nel lontano 1954 una gerarchia dei bisogni umani.
Alla base della piramide ci sono le esigenze fisiologiche, i bisogni primari come mangiare e dormire, subito dopo troviamo altri bisogni legali alla socialità e all’autorealizzazione. Questi ultimi sono soddisfatti, al giorno d’oggi, dai social.

Giuseppe Riva argomenta questa tesi (qui):

“I social network possono aiutare i propri utenti a soddisfare le seguenti categorie di bisogni. Bisogni di sicurezza: nel social network le persone con cui comunico sono solo amici e non estranei. Posso scegliere chi è un amico, controllare che cosa racconta di sé e commentarlo. Bisogni associativi: con questi amici posso comunicare e scambiare opinioni, risorse applicazioni. Se voglio, posso perfino cercarci l’anima gemella. Bisogno di stima: io posso scegliere gli amici ma anche gli altri possono farlo. Per questo, se tanti mi hanno scelto come amico allora valgo. Bisogno di autorealizzazione: posso raccontare me stesso (dove sono e cosa faccio) come voglio e posso usare le mie competenze anche per aiutare qualcuno dei miei amici che mi ascolta”.

I social sono stati definiti anche come un “lubrificante sociale”, espressione un tempo usata per l’alcol.

 

PS. Questo articolo è tratto dal libro “Prontuario per genitori di nativi digitali“, che puoi acquistare su Amazon:

Social media: privacy, sicurezza e lati oscuri a Nessun Dorma (Espansione TV)

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Perché i nostri dati sono così preziosi? Quando e come li cediamo? Come proteggerli? Venerdì 23 marzo 2018 ho avuto il piacere di partecipare alla puntata di Nessun Dorma su Espansione TV dedicata al tema Privacy insieme a Riccardo Saporiti, giornalista collaboratore di Wired Italia, Gianluca Lombardi di Mondoprivacy,  e Luca Ganzetti, responsabile dell’azienda di sicurezza informatica Waylog, con cui abbiamo dato risposta a queste e altre domande.

Il video del mio intervento

In particolare ho parlato di nativi digitali, sharenting, social network e privacy, reputazione online, bufale, digital detox, fomo e rischi legali. Qui puoi vedere il video con i miei interventi:

Il link all’intera puntata

Ecco il link alla puntata intera: https://goo.gl/WSuZmk

Fan page di Facebook e illeciti: l’intervista all’avv. Marisa Marraffino

L’avv. Marisa Marraffino è esperta di reati informatici e dei rischi della Rete in generale, collabora a progetti contro il cyberbullismo nelle scuole, a Master universitari e con la sezione “Norme e Tributi del Sole 24 Ore”. È anche, con me, docente a Primopiano per i corsi (di dentologia) per i giornalisti.
In questa breve intervista si parla di social media, e in particolare degli aspetti legali legati alla gestione di una fan page di Facebook. Secondo l’avvocato Marraffino, gli illeciti che si possono commettere gestendo una pagina Facebook sono sostanzialmente tre:

  • violazioni della legge sul diritto d’autore;
  • sostituzione di persona;
  • diffamazione aggravata, per commenti con frasi denigratorie.

Per guardare un’altra intervista dell’avvocato Marraffino (su social, genitorialità e minori) fai clic qui.

I Premi di Studio e di Laurea 2017 della BCC Milano di Carugate

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Il 17 dicembre 2017 sono stato invitato dalla BCC Milano, sede di Carugate, per l’evento “I Premi di Studio e di Laurea 2017”: la banca ha premiato i migliori studenti dell’anno scolastico 2017/18, i laureati e una start-up che ha finanziato.
Ho parlato di uso consapevole dei social network davanti a 500 persone, tra genitori e figli. Queste le foto dell’evento:

Qui invece trovate le slide che ho usato durante la presentazione:

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